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Foscolo, "Ultime lettere di Jacopo Ortis": introduzione e genesi del romanzo
Buongiorno. Oggi inizieremo a parlare di Ugo Foscolo e del suo celebre romanzo Ultime lettere di Jacopo Ortis. Come suggerisce il titolo, è un romanzo epistolare, cioè un romanzo in cui lo svolgersi della trama è scandito per intero dalle lettere che i personaggi si scambiano tra loro. L’edizione che normalmente troviamo in commercio è quella del 1817; si tratta, in realtà, di un’edizione che Foscolo aveva già pronta nel 1816, ma che poté pubblicare soltanto l’anno successivo perché aveva avuto dei contrasti con l’editore. La prima edizione del romanzo, tuttavia, risale al 1798 quindi dalla prima versione all’ultima trascorrono 19 anni e questo ci dice quanto importante fosse questo romanzo per l’autore che vi ha lavorato a più riprese per tutto questo periodo e, come vedremo, ci dà anche una prima spia di quello che è il carattere dell’autore: vive con estrema passione la letteratura, soprattutto la propria, e la vive come qualcosa che sente fisicamente nelle sensazioni e che poi va a esprimere linguisticamente. Foscolo, un uomo di impeto e di genio, già nel 1796 pensa a un romanzo epistolare: nel suo Piano di studi, cioè un insieme di appunti in cui aveva segnato delle opere che aveva intenzione di comporre e delle letture che considerava importanti per la sua formazione di letterato, appunta la dicitura “Laura, lettere”, quindi Laura doveva essere sia il nome della protagonista, o della figura importantissima del romanzo, sia il titolo del romanzo.
Dicembre 1796: due eventi importanti si collegano in questo Piano di studi e ci fanno capire le intenzioni dell’autore:
il soggiorno a pochi chilometri a sud-ovest di Padova, verso i colli Euganei; un luogo importante perché nelle Ultime lettere di Jacopo Ortis fa da sfondo alle vicende del romanzo, quindi Foscolo vede questo luogo, vi soggiorna per un po’ e ne è ispirato sia dalla natura che dalla sua bellezza;si suicida uno studente padovano, Girolamo Ortis; cognome che naturalmente prenderà di peso e trasporterà del romanzo. È un evento che lo colpisce e del quale ritroviamo alcune tracce negli epistolari. Come personalità tormentata, ha sempre avuto un rapporto particolare con la morte e molto spesso per lunghe parti si è trovato a meditare sul suicidio. Proietta su di sé, su questo giovane che si è suicidato, molte delle sue pulsioni più profonde e quindi ci sono dei meccanismi identificativi che lo aiuteranno a creare il suo Ortis.
Come detto, la prima edizione del romanzo non è del 1796 bensì del 1798; arriva due anni dopo ed esce presso l’editore Marsigli di Bologna. Foscolo, infatti, in quel periodo soggiornava in questa città. Poi che succede? Arriva l’esercito austro-russo e Foscolo lascia la città per combatterlo, dovendo così interrompere il romanzo alla lettera 45. L’editore si trova con un romanzo che sostanzialmente è quasi pronto, quindi si trova costretto a decidere se non farlo uscire o trovare un sistema per farlo uscire. Opta per questa seconda ipotesi: prende quello che oggi si chiama ghost writer, tale Angelo Sassoli, e gli fa finire il libro. Attenzione: a livello critico si è molto dibattuto su quanto di Foscolo ci fosse in questa parte del Sassoli o se addirittura non fosse una trovata letteraria, cioè se avesse finto che l’avesse finito Sassoli. In realtà, se si legge con attenzione questa seconda parte, si nota che è scritta cercando di ricalcare molto artificiosamente quella che è la scrittura del Foscolo, senza riuscirci perché in molte parti l’intento è quasi parodistico, tant’è vero che Foscolo arrivò a sconfessare pubblicamente questa edizione. La trama a livello lineare parla dell’amore tormentato, infelice che si concluderà tragicamente tra Jacopo e Teresa: Teresa che è amata dal protagonista Jacopo, ma che è promessa sposa di un altro, ossia Odoardo.
La seconda edizione esce nel 1802. Foscolo finisce la guerra, ritorna, molto innervosito da questa idea dell’editore Marsigli e si mette a lavoro per completarla. L’edizione del 1802 può essere considerata la prima edizione completa dell’Ortis. In questa edizione è forte il tema politico: il suicidio del protagonista, oltre alla motivazione amorosa perché Teresa andrà in sposa a Odoardo, è compiuto come protesta nei confronti di Napoleone perché Napoleone ha consegnato Venezia agli Austriaci e questo atto minaccia la Repubblica Cisalpina. In tal senso, il suicidio di Jacopo è un atto di protesta, di rinuncia fortissima contro la figura del tiranno, contro il suo tradimento politico, ma anche contro l’idea che da liberatore è diventato sostanzialmente il primo oppressore e ha quindi mostrato il volto più violento del potere e la sua ferocia, contro cui l’uomo animato da sentimenti nobili non può far altro che soccombere. Il personaggio ha perso gran parte dei connotati sentimentali e ha acquisito toni tragici; uso questo termine con dovizia di particolare, quindi non tanto come aggettivo per dare una coloritura: è forte l’aspetto di tragicità nel personaggio, sia perché molto spesso ricorda i protagonisti delle tragedie alfieriane cioè il loro pathos, l’esprimere delle violentissime e vibranti passioni che sono in contrasto contro l’istituzione, contro il mondo che si muove attorno, sia perché proprio nel modo di parlare di Jacopo, lo vedremo meglio nelle lezioni successive, è fortissima l’idea che a parlare non sia uno che scrive a un amico, ma qualcuno che si rivolge direttamente apostrofandolo.
Sul piano stilistico diventa utile, a tal proposito, confrontare i due incipit, quello del 1798 e quello del 1802. Edizione del 1798:
Sia dunque così, io vivrò lontano da quanto m’avea di più caro perché non ho saputo resistere a' tuoi consigli e alle lagrime di mia madre che tremava per la mia vita in un paese caldo della divina passione di libertà, ho senza mia colpa congiurato con i ministri dei conquistatori. Eccovi dunque obbediti, ma da questo momento io mi avvalgo nell’oscurità della mia solitudine e nel manto della mia innocenza.
Edizione del 1802:
Il sacrificio della patria nostra è consumato: tutto è perduto; e la vita, seppure ne verrà concessa, non ci resterà che per piangere le nostre sciagure, e la nostra infamia. Il mio nome è nella lista di proscrizione, lo so: ma vuoi tu ch’io per salvarmi da chi m’opprime mi commetta a chi mi ha tradito? Consola mia madre: vinto dalle sue lagrime le ho obbedito, e ho lasciato Venezia per evitare le prime persecuzioni, e le più feroci.
Differenze abbastanza macroscopiche. Nel primo incipit abbiamo un personaggio che si lamenta di una sorte cattiva che l’ha colpito a cui non può opporsi, professando la sua innocenza: “da questo momento io mi avvalgo nell’oscurità della mia solitudine e nel manto della mia innocenza.”; non si capisce bene chi sia a parlare, non si capisce bene cosa sia successo, tanto è vero che all’inizio il linguaggio è abbastanza astratto: “Sia dunque così, io vivrò lontano da quanto m’avea di più chiaro perché non ho saputo resistere ai tuoi consigli”; non si sa a chi si rivolge, mancano dei connotati precisi, mancano parole che esprimano un contenuto forte da un punto di vista semantico. Nel secondo, il cambiamento è radicale. Innanzitutto fate attenzione al ritmo: “Il sacrificio della patria nostra”. L’incipit è un endecasillabo quindi c’è già una fortissima poeticità dal punto di vista ritmico; inoltre ci sono parole molto forti, cioè “sacrificio” e “patria”: “patria” fa pensare al popolo, al sentimento di nazione e quindi ai sentimenti eroici, mentre “sacrificio” a una perdita ineluttabile fatta per una ragione superiore, con cui il protagonista deve evidentemente fare i conti. Anche nel prosieguo c’è un’idea di sciagura, di qualcosa che non può essere evitato: “tutto è perduto; e la vita, seppure ne verrà concessa, non ci resterà che per piangere le nostre sciagure”. Come vedete, sono termini molto forti, che rimandano a qualcosa di grave, a perdite ineluttabili e in questo si manifesta il dilemma, ossia “Il mio nome è nella lista di proscrizione, lo so: ma vuoi tu ch’io per salvarmi da chi m’opprime mi commetta a chi mi ha tradito?”, quindi il personaggio deve fare i conti con questo dilemma e sceglie di andarsene. Già c’è una fortissima tensione che da una parte ha le passioni fortissime del personaggio e dall’altra la forza apparentemente inarrestabile e catastrofica degli eventi che lo colpiscono. Per questo che ho parlato anche di tragicità perché poi, da un punto di vista retorico, si rifà al sublime, ossia al contrasto, da una parte tra la grandezza terribile degli eventi e, dall’altra, alle reazioni psicologiche dei personaggi che vengono investiti da questi eventi, mentre il pathos è, invece, l’espressione di un estraniamento emotivo, dello shock psichico fortissimo che colpisce il destinatario attraverso poi la capacità di scrittura dell’autore e, in questo caso, attraverso il medium del personaggio.
In questa edizione è interessante anche la dedica al lettore scritta dall’amico Lorenzo, che firma questa dedica in maniera fittizia:
Pubblicando queste lettere, io tento di erigere un monumento alla virtù sconosciuta; e di consecrare alla memoria del solo amico mio quelle lagrime, che ora mi si vieta di spargere su la sua sepoltura. E tu, o Lettore, se uno non sei di coloro che esigono dagli altri quell'eroismo di cui non sono eglino stessi capaci, darai, spero, la tua compassione al giovine infelice dal quale potrai forse trarre esempio e conforto.
Parlando di virtù e di sacrificio, già in questo incipit, c’è la volontà del Foscolo, attraverso l’amico che raccoglie le lettere, di presentarci un eroe la cui morte è stato in qualche modo un sacrificio. Su questo e altri aspetti vedremo meglio nelle prossime lezioni.