Video su Ultime lettere di Jacopo Ortis
"Le ultime lettere di Jacopo Ortis" di Ugo Foscolo: riassunto e commento
Buongiorno. Questa è la seconda lezione dedicata a Ultime lettere di Jacopo Ortis di Foscolo. Alla fine della precedente lezione avevamo iniziato a vedere le differenze tra l’edizione del 1798 e quella del 1802. Ci eravamo lasciati alla dedica perché nell’edizione del 1798 non c’era e, invece, compare nell’edizione del 1802.
Un’altra differenza molto importante tra le due edizioni è rappresentata dall’arco temporale delle vicende. Nell’edizione del 1798, la prima lettera è datata 3 settembre 1797 mentre l’ultima lettera risale alla fine di maggio del 1798, quindi la storia si dipana nell’arco di pochi mesi. Nell’edizione del 1802, invece, la prima lettera è datata 11 ottobre 1797, l’ultima lettera 25 marzo 1799, quindi l’arco di tempo è molto più dilatato perché sono quasi due anni. Da cosa nasce questo? Soprattutto per giustificare la motivazione politica, infatti ottobre 1797 è il mese in cui cade il trattato di Campoformio, con cui la Francia ci levò Austria, Istria, Dalmazia e Repubblica di Venezia. Il trattato è del 17 ottobre, ma già in aprile c’erano stati i preliminari di Leoben che avevano sancito quello che poi sarebbe stato ratificato nel trattato di Campoformio. Nell’arco di sei mesi c’erano state delle azioni austriache per riprendersi i territori, quindi spostare di poche settimane l’inizio dà un po’ il senso di culmine dell’evento catastrofico che si abbatteva sulla Repubblica di Venezia; la fine, invece, ampliandola, dà più spazio alle vicende, all’intreccio drammatico e alle alterne fortune dell’amore del protagonista.
Ci sono delle differenze anche per quanto riguarda la caratterizzazione dei personaggi: per esempio Teresa, la donna amata da Jacopo, nella prima edizione era una vedova molto giovane con una bambina mentre ora è una giovane che vive con il padre, il quale è in condizioni di rovesci economici e quindi deve far sposare la figlia perché conta di risolvere i problemi della famiglia tramite la ricca dote del promesso sposo. A tal proposito, il promesso sposo è Odoardo. Nella prima versione Odoardo era un personaggio che, pur essendo rivale amoroso di Jacopo Ortis, non gli era esattamente rivale, anzi c’era una certa amicizia, una certa simpatia tra i due personaggi. Nell’edizione del 1802, invece, Foscolo cambia radicalmente la caratterizzazione tant’è vero che ora Odoardo è quasi proveniente da un mondo antitetico, un mondo pragmatico, un “mondo del fare” diremo oggi, quindi non ha certo la sensibilità artistica o la passionalità dell’Ortis e, naturalmente, dello stesso autore del libro.
Per quanto riguarda la struttura, tutto il romanzo è scandito dalle uniche lettere che Jacopo invia quindi non c’è, come solitamente nel romanzo epistolare, un personaggio che scrive e un altro personaggio che gli risponde. Da questo punto di vista, l’andamento è quasi diaristico. Le uniche eccezioni sono costituite da interventi che fa Lorenzo, perché nella finzione ha raccolto le lettere dell’amico e le ha consegnate all’editore. Perché fa degli interventi? Perché deve spiegare delle cose che sono successe nel frattempo, importanti per capire le vicende e su cui Jacopo non ha scritto o perché, come si legge per esempio nella lettera del 11 dicembre 1798, avverte che mancano alcuni autografi, ma ha sentito l’editore e ha deciso di pubblicarli ugualmente anche se incompleti. Questo è interessante perché ci dà la dimensione di letteratura nella letteratura: Foscolo finge un personaggio che monta il racconto che lui ha scritto. Poi gli interventi, soprattutto nella seconda parte quando il personaggio di Jacopo vive ancora più drammaticamente l’esito della storia, cioè il matrimonio inevitabile con Odoardo e quindi la fine della possibilità di vivere l’amore con Teresa, oltre ovviamente alla situazione politica ancora più deludente; eventi che combinati porteranno al suicidio. Quando interviene Lorenzo, dà diversi punti di vista quindi consente di vedere la personalità di Odoardo e di altri personaggi al di fuori dello sguardo di Jacopo, completandone così il quadro di insieme.
L’edizione definitiva, anche se non l’ultima, pubblicata in vita dall’autore è quella zurighese del 1816, la quale presenta dei maneggiamenti soprattutto sul piano stilistico. Introduzioni importanti sono:
compare il cognome di Lorenzo, cioè Alderani; in questo modo, l’autore certifica lo statuto di personaggio di Lorenzo che quindi ha un ruolo attivo e molto importante. Essendo quello che dispone le lettere e racconta alcuni retroscena, ha una certa rilevanza; Foscolo premette una lunga notizia bibliografica che è utile per comprendere la poetica dell’autore, ma dal punto di vista filologico e informativo, è molto parziale e mistificatoria; è da considerare come un tentativo di Foscolo di fare di sé e della propria opera un monumento letterario, quindi va presa molto con le molle. Nella notizia bibliografica, scritta sotto forma di postfazione, Foscolo parla principalmente della ricezione dell’opera, degli effetti morali che l’opera poteva suscitare perché Jacopo era una persona giustificava il suicidio e quindi poteva creare scandalo, dei problemi di censura e del rapporto con un libro che assomiglia moltissimo all’opera del Foscolo, ma che lo precede perché è del 1774, ossia I dolori del giovane Werther.
Perché ha parlato anche delle reazioni? Perché pur essendo un romanzo epistolare, è fortemente drammatico, declamatorio; è strana come lettera, non è intimista, anche se parla dell’interiorità. Un esempio: un illustre letterato dell’epoca, Cesarotti, che noi conosciamo soprattutto in veste di traduttore dei Canti di Ossian, era un amico di Foscolo, anzi un mentore se si considera la differenza di età. Si conoscevano dal 1795 perché Cesarotti faceva lezione a Padova; era un uomo con un’idea di letterato un po’ anti-erudito, anti-accademico quindi molto avvicinabile dagli studenti. Naturalmente, Foscolo gli inviò l’edizione del 1802 dell’Ortis. Vi leggo la reazione, il commento del Cesarotti che non resta convinto, bensì scioccato da quello che legge:
Del tuo Ortis non ho voglia di parlarne. Esso mi desta compassione, ammirazione e ribrezzo. Non dirò che due parole. Questa è un'opera scritta da un Genio in un accesso di febbre maligna, d'una sublimità micidiale e d'un'eccellenza venetica. Veggo pur troppo ch'è l'opera del tuo cuore; e ciò appunto mi duol di più, perchè temo che tu ci abbia dentro un mal canceroso e incurabile.
La fortissima tensione emotiva che legge Cesarotti viene interpretata per quello che è: un autobiografismo emotivo di Foscolo attraverso le vicende che sono di invenzione. Resta particolarmente scioccato dal tipo di tensione emotiva perché si rende conto che quella drammaticità da personaggio alfieriano è una proiezione delle emozioni di Foscolo quindi dice “ho paura che tu sia animato da una febbre maligna, cioè da un fervore creativo che ti può consumare o nuocere”.
Questo ci dice quanto, pur rientrando nel filone ormai noto e ampiamente diffuso del romanzo epistolare, Ultime lettere di Jacopo Ortis già allora aveva qualcosa di diverso, qualcosa che poteva inquietare o turbare il lettore colto, il quale ha degli schemi di lettura più razionali e soprattutto meno facilmente suggestionabili. Di altre differenze vedremo nella prossima lezione, in cui parleremo sia delle differenze rispetto alle Ultime lettere di Jacopo Ortis che della lettera più importante che viene aggiunta da Foscolo e che tratta di Napoleone a distanza di anni, visto che è del 1816 e gli eventi del 1797-1798 (c’è già stato il Congresso di Vienna). Arrivederci.