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I "Sepolcri" di Foscolo: riassunto e commento dell'opera
Buongiorno. Oggi vedremo il carme di Ugo Foscolo Dei Sepolcri, il quale è stato composto negli ultimi mesi del 1806 e pubblicato a Brescia nel 1807. Gli spunti della composizione che avviene nel giro di pochi mesi sono due. Il primo è l’editto di Saint Cloud, editto francese emesso nel giugno del 1804 e poi esteso all’Italia nel settembre del 1806. L’editto riguardava la sepoltura dei morti: i morti dovevano essere sepolti lontano dai centri abitati e in modo anonimo, ossia le tombe non potevano presentare effigi, stemmi di sorta che rendessero riconoscibili o facessero risaltare il defunto; inoltre la lapide non poteva essere messa dove c’era la tomba perché il luogo di sepoltura poteva così essere riutilizzato a distanza di tempo. Era un editto che risentiva di una visione ugualitaria figlia della rivoluzione: in questo modo si diceva, infatti, che tutti erano uguali dopo la morte perché soprattutto i nobili e le classi più abbienti potevano fregiarsi di tombe molto più ricche, sontuose rispetto al resto della popolazione. Sempre in riferimento alla sepoltura lontana dai centri abitati, era un editto anche dai risvolti di carattere igienico-sanitario; ciò nonostante Foscolo - questo è il secondo e più importante spunto del carme - ebbe modo di parlare dell’editto e della questione nel salotto di Isabella Teotochi Albrizzi, con l’amico e letterato Ippolito Pindemonte. Per un letterato come Foscolo, queste disposizioni andavano a toccare un tema molto importante cioè il rapporto tra i vivi e i morti nonché il rapporto tra il presente e il passato, quindi con tutto un aprirsi di patrimoni di tradizione: il patrimonio di grandi uomini, di un popolo, il senso di continuità in rapporto con la gloria del passato e quindi con tutto ciò che è di ispirazione e infiamma gli uomini nobili d’animo.
Costruito con endecasillabi sciolti, il carme presenta un tratto stilistico già visto nei sonetti, nelle poesie di Foscolo, cioè un certo modo di dipingere quelle parole, cioè di trattare gli argomenti attraverso la successione e la variazione di immagini. Non avendo un rigido metro del sonetto e quindi la misura stretta delle quartine e delle terzine, è libero di debordare, usare periodi di varia lunghezza e dare massima elasticità ai versi e al ritmo. Foscolo applica così il principio dell’ut pictura poesis, sancita nell’Ars poetica, ossia il principio secondo cui la pittura e la poesia si equivalgono, cioè attraverso le parole il poeta deve portare all’attenzione gli elementi, ora mostrando ora nascondendo, grazie alla capacità, alla sapienza stilistica dell’occultare e del mostrare. Foscolo infatti nel carme tende a transitare da immagini molto elaborate, molto ricche ad altre immagini, senza rivelare l’aspetto argomentativo e ideologico; in sostanza, mostra, fa immaginare, ma non descrive e non analizza. È talmente bravo in questo che presso i contemporanei il carme risultò abbastanza oscuro, come si evince da una lettera che Foscolo scrisse a Monsieur Guillon, un francese che, complice anche la scarsa padronanza della lingua, scrisse una stroncatura del carme. In questa lettera spiega che il punto che lui deve far vedere è la tessitura completa e non tanto il singolo ordito e i vari ricami e fa vedere anche che è la capacità combinatoria degli elementi e quindi il disegno complessivo a denotare la capacità poetica. Lontano dalla pratica poetica, ma in sede di esposizione teorica, ribadirà questo concetto nelle lezioni che terrà a Pavia nel 1809 per la cattedra di Eloquenza e stile; cito dalla lezione Della morale letteraria:
L'eloquenza insomma, qualunque argomento maneggi, e sotto qualunque forma, in prosa od in versi, deve ottenere che il cuore senta, che l'immaginazione s'infiammi, che le idee si dipingano vive, calde e presenti dinanzi la mente, e che queste fortissime sensazioni ed idee risveglino ed invigoriscano l'attività della nostra ragione, e ci facciano non tanto calcolare la verità quanto sentirla e vederla.
Questa pratica per Foscolo prescinde dalla divisione in versi o in prosa perché dice “sotto qualunque forma, in prosa od in versi; è la capacità che ha quasi innata e che si concretizza nella parola che deve avere il poeta e soprattutto l’idea che debba trasmettere facendo immaginare le sensazioni, quindi deve calare l’idea e l’emozione nella forma. Oltre dell’idea classica, risente anche delle teorie settecentesche sul genio e in particolare, visto che è un intellettuale che Foscolo conosceva, dell’opera Dei Geni di Bettinelli che parla del genio trasfuso, cioè del genio che riesce a infondere nella propria opera la sua capacità di sentire e di vedere attraverso le sensazioni.
L’idea è visibile in ciò che il poeta mostra nonché per accumulo e varietà di immagini. In sintesi, qual è questa idea ne Dei Sepolcri? L’idea che il rapporto con la morte non sia tanto una questione filosofica o emotiva, ma abbia - e il Foscolo lo espliciterà nella già citata lettera a Guillon - un valore politico, cioè a quanto in termini di valore del passato l’uomo della civiltà presente riesce a far vivere per spirito di emulazione e perché attraverso l’ispirazione e la forza d’animo mossi da questi grandi esempi, è spinto anche lui a fare grandi cose e quindi anche l’amore per la gloria e la bellezza. Molto forte è la capacità di far visualizzare; come vedremo meglio nelle prossime lezioni, in retorica questo corrisponde a una figura retorica che descrive questo principio: l’ipotiposi. Deriva dal greco e significa “abbozzo”; è un disegno incompleto perché è l’idea che il disegno tracciato con le parole debba essere completato dall’immaginazione di chi legge o ascolta. Quintiliano nella Institutio oratoria la definisce come una rappresentazione delle cose attraverso le parole, tali che sembra di vederle. L’ipotiposi ha una sua teatralità: il poeta non ci descrive indirettamente, ma ci fa comparire attraverso le deissi, cioè le collocazioni spazio-temporali, le cose nel momento in cui accadono o attraverso le parole cerca di evocarle in maniera immediata e repentina. Tenete presente che è sempre qualcosa legato all’immaginazione e alla capacità dell’autore di far immaginare; non è una figura retorica facilmente individuabile perché non ha dei connotati linguistici propri. È qualcosa che si riesce a capire attraverso la lettura e l’analisi perché c’è una maggiore densità di verbi, per esempio legati alle sensazioni, o di altre parole e forme linguistiche che esprimono sensazioni.
Già nell’incipit c’è questa idea anche se non molto forte:
All’ombra de’ cipressi e dentro l’urne
confortate di pianto è forse il sonno
della morte men duro? [...]
Per introdurci il fatto che i morti quando riposano non sentono, Foscolo non si limita a utilizzare l’interrogativa drammatizzando, puntando l’attenzione sul destinatario della poesia perché l’interrogativa si rivolge a qualcuno. Usa al contempo l’immagine del cipresso di giorno e quindi dell’ombra che il cipresso proietta; ci fa capire che c’è qualcuno che sta piangendo questi morti quindi abbiamo sensazioni visive e uditive. Qui non abbiamo un’ipotiposi vera, bensì un addensarsi di stimoli sensoriali perché non sappiamo come sia fatta la tomba, che tipo di tomba sia e non sappiamo chi stia piangendo, ma siamo subito calati in una dimensione attraverso il linguaggio; in esso prestiamo attenzione non tanto a quello che il poeta dice, ma agli stimoli, alle impressioni visive e sensoriali che ci trasmette attraverso la parola.
Nella prossima lezione vedremo altri esempi di ipotiposi e altri espedienti stilistici; purtroppo è un canto molto lungo quindi difficile, ma vedremo lo svolgimento della tematica nelle varie macro-sequenze dell’opera. Per adesso vi saluto. Arrivederci.