Video su Torquato Tasso
Tancredi e Clorinda nella "Gerusalemme liberata" di Tasso
Perché Tasso è Tancredi e anche Clorinda. Se Flaubert poté dire "Madame Bovary c'est moi" , anche Tasso, se fosse stato più libero di esprimersi, avrebbe potuto dire che Tancredi è Tasso e che Clorinda è Tasso. Perché cerchiamo di avanzare un’ipotesi che sembrerebbe così eccessiva, sopra le righe? Perché alcuni eroi de La Gerusalemme liberata rappresentano e incarnano uno degli aspetti che Tasso sentiva più forti nella sua carne, nella sua vita: l’impossibilità di raggiungere il proprio obiettivo, l’impossibilità di realizzare davvero ciò che si desidera. Un tipo di eroe inetto, di eroe destinato alla sconfitta. Con un’interiorità così malinconica e divisa, Tancredi è veramente una faccia di Torquato Tasso e anche Clorinda, nel suo rifiutare il suo sesso, la sua femminilità e anche la possibilità stessa di vivere una vita che non sia di guerra, rappresenta ciò che forse Tasso dovette scegliere, ciò a cui dovette rinunciare: un’esistenza che non fosse devota soltanto alla letteratura. Sebbene diversi personaggi (come Erminia) siano frustrati, questi due (Tancredi e Clorinda) hanno un destino così strettamente intrecciato, sono quelli che più di tutti incarnano l’intimo di Tasso. Anche una lettura psicanalitica, specialmente di questo brano, ha manifestato tanti significati nascosti del duello, ma prima di andare a vedere il testo del canto XII, leggiamo anche quello che un lettore come Sapegno ha scritto di Tasso e de La Gerusalemme liberata:
Il poeta vive di volta in volta in ognuna delle sue creature e le pervade del proprio contenuto affettivo ed esprime per mezzo di esse il vario atteggiarsi della sua sensibilità, donde il carattere schiettamente autobiografico, di autobiografia letteraria e poetica si intende, della Gerusalemme che fai poi un tutt’uno con il suo carattere lirico.
Come tutti i lettori minimamente avvertiti, anche Sapegno non si spinge a parlare di un’autobiografia reale, ma coglie questo carattere, questo svelarsi di Tasso che forse non è neanche estraneo alle paure che l’autore viveva di fronte al suo poema offerto, dato in pasto al pubblico: forse il dare in pasto se stesso, il proprio animo, la propria interiorità senza veli, senza filtri e quindi mostrare le sue debolezze, i suoi desideri frustrati e falliti, era insopportabile; probabilmente fu uno degli aspetti che lo portarono a quella instabilità che poi caratterizzò gli ultimi anni infelici della sua vita.
Vediamo cosa succede a Tancredi e Clorinda nel canto XII. Ricordiamoci che Clorinda ha appena fatto una sortita fuori da Gerusalemme per distruggere le macchine da guerra dei Cristiani e, vestita con un’armatura nera (“triste presagio”, ci dice Tasso), partecipa fino all’ultimo nel suo destino; ha scoperto da poco la sua origine cristiana e si scontra con Tancredi; rimane chiusa fuori, rimane esclusa dalla comunità dei pagani come lei, un po’ come Tasso che rimane escluso dal mondo di cui voleva far parte a tutti i costi, il mondo della corte, e che non riesce veramente ad accoglierlo e capirlo:
Vuol ne l'armi provarla: un uom la stima
degno a cui sua virtú si paragone.
Va girando colei l'alpestre cima
verso altra porta, ove d'entrar dispone.
Segue egli impetuoso, onde assai prima
che giunga, in guisa avien che d'armi suone,
ch'ella si volge e grida: «O tu, che porte,
che corri sí?» Risponde: «E guerra e morte».
Questo è l’incontro tra i due che, in realtà, potrebbero e dovrebbero essere innamorati in un’altra vita e in un altro mondo; qui invece sono condannati dal destino, dall’ineluttabilità del fato a essere nemici e addirittura a combattersi fino alla morte.
«Guerra e morte avrai;» disse «io non rifiuto
darlati, se la cerchi, e ferma attende».
Non vuol Tancredi, che pedon veduto
ha il suo nemico, usar cavallo, e scende.
E impugna l'uno e l'altro il ferro acuto,
ed aguzza l'orgoglio e l'ire accende;
e vansi a ritrovar non altrimenti
che duo tori gelosi e d'ira ardenti”.
I due si scontrano cavallerescamente: lui scenderà a cavallo, ma subito danno mano alla spada e si danno battaglia senza pietà, senza rispettare le regole del combattimento, con foga, con ansia, con un furore che fa il paio con quello che potrebbe essere il furore di due appassionati, innamorati non nel combattersi, ma in una lotta amorosa. Questa è un’altra lettura di questo brano.
Non schivar, non parar, non ritirarsi
voglion costor, né qui destrezza ha parte.
Non danno i colpi or finti, or pieni, or scarsi:
toglie l'ombra e 'l furor l'uso de l'arte.
Odi le spade orribilmente urtarsi
a mezzo il ferro, il piè d'orma non parte;
sempre è il piè fermo e la man sempre 'n moto,
né scende taglio in van, né punta a vòto.
Il combattimento è feroce e nessuno dei due vuole cedere terreno.
L'onta irrita lo sdegno a la vendetta,
e la vendetta poi l'onta rinova;
onde sempre al ferir, sempre a la fretta
stimol novo s'aggiunge e cagion nova.
D'or in or piú si mesce e piú ristretta
si fa la pugna, e spada oprar non giova:
dansi co' pomi, e infelloniti e crudi
cozzan con gli elmi insieme e con gli scudi.
Non si accontentano di combattere con le spade: si danno addosso con l’elsa della spada, con gli elmi, con gli scudi; è un combattimento selvaggio, all’ultimo sangue. Qui c’è forse la parte più straordinariamente ironica; un’ironia feroce, molto lontana da quella leggera di Ariosto:
Tre volte il cavalier la donna stringe
con le robuste braccia, ed altrettante
da que' nodi tenaci ella si scinge,
nodi di fer nemico e non d'amante.
Tornano al ferro, e l'uno e l'altro il tinge
con molte piaghe; e stanco ed anelante
e questi e quegli al fin pur si ritira,
e dopo lungo faticar respira.
Qui abbiamo veramente il paragone che fa lo stesso poeta: non poteva mancare anche in Tasso un certo timore nel confrontare la realtà del combattimento di spada con la realtà dello scambio amoroso: stringe la donna tre volte, ma la stringe per combattere e non in un abbraccio amoroso, come avrebbe voluto se l’avesse riconosciuta. I nodi tenaci non sono nodi d’amore, ma di guerra.
Misero, di che godi? oh quanto mesti
fiano i trionfi ed infelice il vanto!
Gli occhi tuoi pagheran (se in vita resti)
di quel sangue ogni stilla un mar di pianto.
Cosí tacendo e rimirando, questi
sanguinosi guerrier cessaro alquanto.
Ruppe il silenzio al fin Tancredi e disse,
perché il suo nome a lui l'altro scoprisse:
Tancredi si interrompe e chiede il nome all’avversario, ma lei è feroce, non vuole cedere, non può cedere al suo personaggio, un personaggio che ha scelto una parte nella tragedia, non nella commedia della vita. Rifiuta sdegnosamente, così avviene l’uccisione che anche qui trascolora tra il combattimento e l’atto amoroso:
Ma ecco omai l'ora fatale è giunta
che 'l viver di Clorinda al suo fin deve.
Spinge egli il ferro nel bel sen di punta
che vi s'immerge e 'l sangue avido beve;
e la veste, che d'or vago trapunta
le mammelle stringea tenera e leve,
l'empie d'un caldo fiume. Ella già sente
morirsi, e 'l piè le manca egro e languente.Segue egli la vittoria, e la trafitta
vergine minacciando incalza e preme.
Ella, mentre cadea, la voce afflitta
movendo, disse le parole estreme;
parole ch'a lei novo un spirto ditta,
spirto di fé, di carità, di speme:
virtú ch'or Dio le infonde, e se rubella
in vita fu, la vuole in morte ancella.
Sarcastica parodia dell’amore, questa fine segna la sconfitta soprattutto di Tancredi che non potrà mai realizzare il suo sogno d’amore, probabilmente come lo stesso Tasso.