Sebastiano Vassalli (1941-2015), pubblica La chimera, con cui vince il Premio Strega, nel 1990. Si tratta di un romanzo storico, che per trama e stile riscuote da subito notevole successo e diventa, in breve tempo, un classico della letteratura italiana contemporanea, letto in tutte le scuole.
Il testo segue i vent’anni di vita di un’esposta, Antonia, dalla sua nascita alla sua morte sul rogo, avvenuta intorno al 1610. Con questa storia Vassalli vuole raccontare ai suoi lettori la genesi di un pregiudizio, attingendo a piene mani dalle carte processuali della vera Antonia, realmente vissuta nelle valli della Bassa e processata per stregoneria, come tante sue coetanee nello stesso secolo. La caccia alle streghe, infatti, è un fenomeno che si sviluppa in Europa tra XV e XVIII secolo e che in Italia ha il suo apice nell’area settentrionale, in particolare tra Lombardia e Piemonte.
La “chimera” del titolo rimanda da un lato al profilo del Monte Rosa, che immobile osserva lo svolgersi delle scellerate vicende umane nella pianura nei pressi di Novara, dall’altro alle invenzioni oniriche che esistono solo nella fantasia: tali sono infatti, nonostante la storia degli inquisitori pretenda di insegnare qualcosa di diverso, le magie, i sacrifici rituali e le streghe.
Riassunto
All’inizio del 1590, negli anni della Controriforma, la piccola Antonia viene abbandonata appena nata al convento di San Michele, a Novara. Come cognome le suore che la accolgono scelgono “Spagnoli”, per sottolineare i colori scuri e marcati che la caratterizzano fin da neonata. Antonia cresce dunque con altri orfani in un ambiente estremamente protettivo, severo e religioso, con cui il suo animo, pacato e generoso, si trova in armonia. Passano gli anni e Antonia diventa sempre più bella, decisamente più delle sue compagne: talmente bella che le fanno recitare una poesia per dare il benvenuto al vescovo Bascapè, appena giunto a Novara dopo essere stato allontanato da Roma a causa del suo cattolicesimo eccessivamente severo. Antonia tuttavia, per l’emozione e per il pasto pesante appena fatto, sviene durante l’esibizione, ma il vescovo si mostra magnanimo nei confronti della bambina e la perdona.
Quando ha ormai compiuto dieci anni, Antonia viene adottata da due contadini, i coniugi Bartolo e Francesca Nidasio: un destino peculiare rispetto a quello che generalmente spettava alle esposte che tendevano a diventar monache o serve in qualche casa, non certo figlie adottive. Antonia si trasferisce dunque con la nuova famiglia a Zardino, un paesino della Bassa ormai scomparso.
Bellissima e di carattere amabile, Antonia non viene apprezzata dagli abitanti di Zardino, che diffidano della sua gentilezza e della sua scarsa attitudine al duro lavoro della campagna. Inoltre molte donne sono invidiose del suo aspetto. L’unica sua amica è Teresina, che la introduce alle usanze e alle abitudini del luogo. È grazie a Teresina, ad esempio, che Antonia scopre che i risaroli, quegli uomini che per tutto il giorno si affaticano nelle risaie, vengono scelti deliberatamente con qualche problema fisico o mentale, per impedire che possano ribellarsi e tentare la fuga. Questi sono controllati dai cosiddetti Fratelli Cristiani, che giorno e notte perlustrano il territorio per evitare defezioni.
In questi anni il vescovo Bascapè, che già abbiamo conosciuto, sta intraprendendo una vera e propria pulizia del clero, allontanando tutti i preti che ritiene in qualche modo corrotti, anche se molto spesso il suo giudizio è eccessivamente severo. In particolare per la diocesi di Zardino Bascapé sceglie, al posto di Don Michele, accusato di stregoneria, un prete estremamente rigido, Don Teresio che inizia a instaurare nel paese un vero e proprio regime di obbedienza pretendendo la partecipazione ai riti religiosi, le donazioni e la cessione di parte delle produzioni.
Antonia, che si rende conto della inautenticità di un simile pensiero religioso, non lesina critiche ai preti che si comportano in tal modo, attirando in questo modo su di sé l’antipatia delle pie signore di chiesa. Da questo momento una serie di situazioni accrescono le antipatie nei confronti della ragazza: già invidiata dalle donne del paese, Antonia peggiora la sua situazione facendosi ritrarre da un giovane pittore che la usa come volto per una riproduzione della Madonna su un’edicola, suscitando, oltre a ulteriore invidia, anche l’accusa di superbia: Don Teresio non benedirà nemmeno l’edicola votiva, rendendola inutilizzabile.
Antonia, inoltre, rifiuta tutti i pretendenti che, essendo lei ormai prossima ai vent’anni, cominciano a farsi avanti. Tuttavia si mostra gentile nei confronti dell’unica persona che viene allontanata da tutti: lo scemo del paese, Biagio,che per questo motivo si invaghisce di lei e ostenta il suo amore creando i disordini; le donne presso cui presta servizio decidono di castrarlo per eliminare il problema. Infine Antonia accetta persino di ballare con un lanzichenecco durante uno dei frequenti passaggi dei soldati. I lanzichenecchi sono luterani e per aver indugiato a divertirsi con loro, ad Antonia verrà vietato di mettere piede in chiesa.
Antonia viene insomma guardata con sempre maggior fastidio e sospetto e spesso viene additata come “strega”: il soprannome non tarderà a diventare una completa identificazione.
La situazione precipita quando Antonia si innamora di un uomo che non ha fortune: un camminante, Gasparo, che passa la propria esistenza a vagabondare di paese in paese. Gasparo, per la verità, è un mascalzone: infatti pur promettendo alla ragazza un futuro insieme, non ha nessuna intenzione di maritarsi e interrompere la sua solitaria ma libera vita di vagabondo. Non avendo dimora Gasparo incontra Antonia in un luogo nei pressi di Zardino dove le donne raccontino sia solito scendere il diavolo: il Colle dell’albera. I due, per di più, si incontrano di notte, rendendo le scorribande di Antonia ancora più sospette, soprattutto agli occhi dei Fratelli Cristiani che montano la guardia.
L’incontro con il camminante, dunque, è per Antonia davvero scellerato: infatti dà un appiglio tangibile a tutti quei compaesani che nutrivano rancori nei suoi confronti.
Questi cominciano così a parlare di Antonia con Don Teresio, che si reca a sua volta a Novara per chiedere al vescovado di procedere con un’accusa di stregoneria a carico della ragazza. La situazione di Antonia non potrebbe essere peggiore, infatti l’Inquisitore in carica a Novara, Manini, è un uomo cinico e assetato di potere e vede il processo come la tangibile possibilità di aumentare il prestigio del proprio Tribunale a Roma.
Cominciano così gli interrogatori, durante i quali gli unici a difendere Antonia sono i suoi genitori e Teresina, che cercano di convincere l’Inquisitore dell’innocenza della ragazza, che non era solità incontrare il diavolo bensì il proprio innamorato.
Quando tocca ad Antonia rilasciare una prima testimonianza con i genitori, la ragazza inizialmente si dichiara innocente, ma al secondo interrogatorio, dopo ore e ore di terribili torture, pur di farle cessare, dichiara il falso: ammette di aver incontrato il diavolo.
Dopo una lunga e atroce prigionia, durante la quale Antonia viene nuovamente torturata e subisce anche delle violenze, la ragazza viene dunque condannata colpevole. A nulla valgono le suppliche di Bartolo Nidasio, che cerca anche di corrompere l’Inquisitore. Antonia viene dunque arsa viva, sullo stesso colle dove avrebbe dovuto aver incontrato il diavolo, l’11 settembre 1610. Dopo l’esecuzione, gli abitandi di Zardino danno luogo ad una grande festa.
Commento
Nella prefazione al romanzo, Vassalli, riferendosi a un’esperienza del poeta Dino Campana, chiama il Monte Rosa, che svetta sopra Novara, “chimera” perché, con i suoi picchi, sembra inafferabile e lontano. “Chimera” ha dunque l’accezione di qualcosa di cui si avverte la presenza senza che esista veramente.
Qui, nei pressi del Monte Rosa, si trovava Zardino, un villaggio che pare sia stato spazzato via da un alluvione del fiume Sesia a metà del VII secolo o dalla peste che, come ci insegna Alessandro Manzoni con i suoi Promessi Sposi, falcidiò il nord Italia nel 1630. Ed è a Zardino che visse realmente e fu condannata a morte per stregoneria una ragazza di nome Antonia.
Vassalli ritiene importante narrarne la vicenda, partendo dalle carte del tribunale e ricostruendo romanzescamente la sua storia personale, per capire questo nostro tempo presente. Un presente che è costretto nel rumore e nelle ansie individualiste e che può essere interpretato solo alla luce di quelle vicende passate, ormai dimenticate, che ne hanno segnato l’evoluzione e che ne sono l’ideale archetipo.
La chimera è dunque il lungo racconto della nascita di un pregiudizo: per questo motivo non vengono narrati solo gli ultimi anni della vita di Antonia, ma ne seguiamo tutto il percorso esistenziale, da quando, appena nata, viene portata a San Michele. Caratteristiche di Antonia sono, fin dal principio del romanzo, il suo buon cuore e la sua bellezza. In particolare la bellezza sarà fatale alla ragazza e innescherà il complesso meccanismo di invidie che sfocerà nella denuncia per stregoneria: da un lato abbiamo gli uomini di Zardino, ricchi e meno ricchi, che innamorati di Antonia la chiedono in moglie e vengono sistematicamente rifiutati per un non meglio definito camminante; dall’altro le donne, che si vedono preferire questa ragazza che fa mostra della propria bellezza con una sfacciataggine ingenua, senza intuirne mai davvero la carica, e non possono perdonarglielo. Oltretutto Antonia dona il braccio agli sfruttati, non sta mai dalla parte del carnefice, del potente, ma predilige coloro che, minorati nel fisico o nella mente, non riescono a difendersi.
L’accusa di stregoneria, dunque, è un mezzo per una vendetta, forse addirittura inconscia, di un gruppo di carnefici ignoranti e suggestionabili e si inserisce in un modo di pensare, socialmente e storicamente identificabile, che coincide con la pratica della caccia alle streghe. Quella dei processi di stregoneria è una pratica, infatti, che si sviluppa in Europa a partire dagli inizi del 1300, ossia da quando la stregoneria - termine con cui si intende una vasta e spesso nebulosa e pretestuosa serie di azioni, che vanno dalla coltivazione di piante curative ai sabba satanici - è equiparata all’eresia.
La caccia alle streghe verrà praticata fino alla fine del XVIII secolo, ma è in quegli anni, immediatamente successivi alla riforma luterana, in cui la Chiesa cattolica sta combattendo per rivendicare la suprema validità della propria dottrina, che gli Inquisitori si danno maggiormente da fare, arrestando e condannano eretici e donne (ma anche uomini) dedite alla stregoneria. Le ipotetiche streghe, dunque, vengono processate dal Santo Uffizio secondo una precisa legislazione e per questo motivo gli atti di molti procedimenti sono potuti giungere fino a noi. Tuttavia i processi restano sommari, le donne accusate vengono torturate al fine che ammettano il falso nella speranza di una rapida cessazione del supplizio e le testimonianze vengono pilotate in funzione del risultato auspicato dall’Inquisitore: la morte dell’accusata.
La chimera di Sebastiano Vassalli, dunque, presenta una narrazione che pur non essendo “vera” in ogni suo aspetto è tuttavia assolutamente “veritiera”. La vicenda di Antonia, infatti, affonda le sue radici nella storia e diventa strumento sia per meglio comprendere una terribile pratica rimasta in uso per secoli nel nostro paese, sia per riflettere sull’evoluzione, spesso inconscia e per questo ancora più incontrollata, di irrazionali forme di pregiudizio.