Introduzione
Nella seconda metà del Novecento si svolge in Vietnam uno dei conflitti più importanti, sia a livello politico che a livello simbolico, della Guerra Fredda. L’appoggio statunitense al Vietnam del Sud finisce per conferire a quello che è un conflitto regionale legato ad una questione di autonomia territoriale il rilievo di una contrapposizione ideologica e il significato di una lotta contro il comunismo. I principali attori della Guerra Fredda giocano qui la loro partita, appoggiando l’una o l’altra fazione: da una parte gli USA intervengono con uomini e mezzi, dall’altr URSS e Cina, pur senza intervenire in modo diretto, appoggiano il regime del Vietnam del Nord militarmente e finanziariamente. L’importanza di questa guerra sta anche nel fatto che rappresenta una delle più grandi sconfitte nella storia degli Stati Uniti e che con essa prendono il via le grandi proteste pacifiste che caratterizzarono il 1968.
La guerra tra Francia e Vietnam (1946-1954)
Dalla seconda metà del XIX secolo la penisola indocinese si trova sotto il controllo francese. Nel corso della Seconda guerra mondiale, tra il 1940 e il 1941 il Giappone avanza in Asia e conquista la penisola indocinese, di cui assume il controllo in collaborazione con i francesi del governo di Vichy. Nella zona dell’attuale Vietnam nasce un movimento di indipendenza denominato Vietminh, sotto la carismatica guida del leader rivoluzionario Ho Chi Minh, che aveva fondato il partito comunista locale nel 1929, e con la guida militare del generale Vo Nguyen Giap. Nel settembre del 1945, con la fine della guerra, il Vietminh proclama la nascita della Repubblica Democratica del Vietnam, che comprende le regioni di Annam, Tonchino e Cocincina. Nel giro di poco tempo però il Vietnam si trova ancora nelle mani dei francesi, grazie anche al tacito assenso del governo statunitense che, seppur contrario all’idea stessa del colonialismo, desidera mantenere buoni rapporti con l’alleato francese. Tra il 1946 e il 1954 si ha quindi la prima guerra del Vietnam: alla Francia, che cerca di mantenere il controllo sul paese, si oppone il Vietminh, che combatte per l’indipendenza vietnamita utilizzando efficaci tecniche di guerriglia. Nel corso della guerra l’atteggiamento statunitense cambia: se inizialmente gli USA sono rimasti neutrali, dal 1949 iniziano a vedere questo conflitto all’interno della più grande contrapposizione in blocchi caratteristica della Guerra Fredda. Infatti la vittoria di Mao Zedong in Cina nel 1949 e l’inizio della guerra di Corea nel 1950 costituiscono motivo di preoccupazione per la situazione politica della regione, mentre nel frattempo Cina e URSS iniziano a sostenere militarmente i Vietminh. Negli USA comincia allora a diffondersi la convinzione di un possibile effetto domino: si teme che nel caso di vittoria del comunismo in Vietnam, questo possa diffondersi anche negli stati confinanti. Gli USA decidono dunque di aiutare la Francia, pur limitandosi ad un sostegno solamente economico. Nel 1954 la Conferenza di Ginevra giunge ad un accordo riguardante la situazione del Vietnam: si decide così di dividere il paese in due regioni lungo la linea del 17° parallelo: il Vietminh amministrerà la zona settentrionale mentre il sud sarà governato da un regime non comunista. La Conferenza di Ginevra prospetta la riunificazione dei due stati entro due anni e la formazione di un governo mediante elezioni. La firma del trattato di Ginevra crea però un certo allarme negli Stati Uniti, che, sempre temendo un’egemonia comunista sul sud-est asiatico, decidono di sostenere il regime del primo ministro Ngo Dinh Diem nel Vietnam del Sud. Di fatto dunque, mentre i francesi lasciano la regione, gli statunitensi iniziano a impegnarsi in Vietnam.
Lo stallo dei due Vietnam e l’inizio della guerriglia (1955-1964)
Fallita la riunificazione dei due Vietnam a causa dell’opposizione di Ngo Dinh Diem e degli USA, la divisione lungo il 17° parallelo si fortifica diventando una vera e propria frontiera. Questo provoca una radicalizzazione da entrambe le parti: al sud il regime tirannico di Diem porta ad un’esasperazione delle contrapposizioni politiche interne, mentre al nord iniziano le persecuzioni verso gli oppositori interni e i cosiddetti “proprietari terrieri”. Intanto, dal 1957, prende piede al sud la guerriglia organizzata dai gruppi di resistenza legati a Ho Chi Minh, che continua negli anni successivi alimentata dalle forniture di armi e mezzi che vengono introdotti clandestinamente attraverso piste aperte nella giungla a cui viene dato il nome di “sentiero di Ho Chi Minh”. Nel 1960 la resistenza nel sud prende il nome di Fronte di Liberazione Nazionale, anche se più comunemente questi guerriglieri divengono noti con il nome di Vietcong, ovvero “comunisti vietnamiti”, secondo l’appellativo datogli dai loro oppositori. Intanto proprio il ruolo statunitense nella regione si fa via via più importante, attraverso il supporto aereo all’esercito sudvietnamita e l’invio sempre crescente di personale militare che aumenta fino a raggiungere i trentamila uomini durante la presidenza di John Fitzgerald Kennedy.
La guerra del Vietnam (1964-1975)
Con l’avvento alla presidenza di Lyndon B. Johnson, la presenza statunitense in Vietnam diviene più incisiva e sfocia in un vero conflitto bellico: il nuovo presidente americano non vuole essere ricordato per una cocente sconfitta militare ed inoltre è incalzato dagli oppositori interni che lo ritengono inadeguato per risolvere la crisi. Per questo motivo Johnson porta avanti una nuova strategia: è necessario vincere la guerra ed è possibile farlo rapidamente e con uno sforzo bellico minimo. Manca però l’approvazione del Congresso per un intervento militare in Vietnam, anche se già truppe statunitensi sono presenti sul territorio sud vietnamita al fine di addestrarne l’esercito. L’occasione si presenta con il cosiddetto “incidente del Tonchino”: un presunto scontro tra un cacciatorpediniere statunitense e una vedetta nordvietnamita, che non ha conseguenze dirette, fornisce il pretesto all’amministrazione Johnson per presentare al Congresso una risoluzione che autorizzi il Presidente a rispondere con tutti i mezzi necessari all’aggressione nordvietnamita. La risoluzione viene approvata all’unanimità, così dal febbraio 1965 gli USA iniziano a bombardare il Vietnam del Nord, senza che ci sia stata una vera e propria dichiarazione di guerra. Si assiste successivamente ad una vera e propria escalation militare, caratterizzata da un continuo aumento dell’impegno statunitense non solo nei bombardamenti ma anche nel rafforzamento del corpo di spedizione militare, fino a giungere nel 1968 a oltre mezzo milione di uomini presenti sul territorio. Nonostante il grande impegno profuso dagli USA in questa guerra, la resistenza Vietcong non accenna a diminuire. Questo grazie al largo appoggio di cui dispone tra la popolazione contadina del sud, vessata dapprima da un regime dittatoriale e successivamente da numerosi colpi di stato, ma soprattutto grazie al sostegno che il regime comunista e i Vietcong ricevono da Cina e URSS. Il 30 gennaio del 1968, in occasione della locale festa del Têt per la quale si era concordata una tregua, i Vietcong e alcune unità dell’esercito regolare nord vietnamita lanciano un attacco a numerose città del sud. Con questa operazione, nota come “l’offensiva del Têt”, i nord-vietnamiti passano da una guerra di guerriglia ad un conflitto dalle dinamiche più convenzionali. Tale attacco si dimostra militarmente un fallimento per le forze del Nord, in quanto non si verifica la prevista sollevazione degli abitanti delle città, tanto che la maggiore potenza militare del sud, unita al supporto statunitense, può facilmente aver la meglio in un confronto bellico tradizionale. L’offensiva, tuttavia, rappresenta una vittoria comunista dal punto di vista psicologico: dimostra infatti che il territorio del sud è facilmente penetrabile e che il Vietnam del Nord non è intenzionato ad arrendersi nonostante i pesanti bombardamenti americani. I fatti dei primi mesi del 1968 aumentano il numero di coloro che negli USA ritengono dannosa e inutile questa guerra, in quanto è sempre più evidente che la conclusione del conflitto non è affatto vicina e il prezzo che gli Stati Uniti stanno pagando in termini di vite umane è troppo alto in relazione al senso ideologico e alle opportunità politiche del conflitto. Così l’opposizione alla guerra del Vietnam, che fin dalla metà degli anni Sessanta è cresciuta all’interno delle Università o nel mondo della cultura, conquista larghi settori della popolazione e coinvolge anche una parte del Congresso. In questo svolgono un ruolo fondamentale i media che, trasmettendo in diretta le immagini dal Vietnam, mostrano la brutalità dei combattimenti e contribuiscono a mettere in discussione il senso stesso della guerra. Proprio l’opposizione crescente e la difficile situazione del Vietnam portano Johnson a decidere di non ricandidarsi alle elezioni presidenziali e lo spingono a cercare un accordo con il governo nord-vietnamita. Nel marzo del 1968, a Parigi, si hanno i primi contatti per tentare un negoziato tra i vari attori presenti in Vietnam ma, nonostante la fine dei bombardamenti americani sul Vietnam del Nord, il potere contrattuale dei negoziatori statunitensi è indebolito dalle imminenti elezioni negli USA e dalla certezza che Johnson non si ricandiderà. I negoziati finiscono dunque in un nulla di fatto mentre nel 1969 si insedia il nuovo presidente: Richard Nixon. Il nuovo presidente USA propugna la necessità di diminuire nettamente l’impegno statunitense in Vietnam continuando invece ad appoggiare il proprio alleato del sud dal punto di vista logistico. Per forzare la mano però sui negoziati di Parigi, che sono nel frattempo ripresi, Nixon ordina ulteriori bombardamenti sui territori del nord; allo stesso tempo Nixon allarga l’intervento alla confinante Cambogia dove si trovano alcune basi Vietcong da cui partono attacchi alle regioni del sud. Militari USA sbarcano in Cambogia senza però riuscire a trovare queste basi e provocando ulteriori proteste negli Stati Uniti per l’impegno militare nella zona, tanto continuo e dispendioso quanto infruttifero. Di fatto questa situazione apre anche ad una guerra civile tra il governo cambogiano appoggiato dagli USA e l’opposizione appoggiata dalla Cina, di cui fanno parte i comunisti locali noti col nome di Khmer Rossi. Nel 1972, nonostante i continui bombardamenti subiti, i soldati del nord attaccano nuovamente il Vietnam del Sud: dopo alcuni mesi di campagna militare, la situazione si risolve in uno stallo, che permette alle parti di riunirsi a Parigi per negoziare la fine della guerra. Nel gennaio 1973 si raggiunge un accordo per il “cessate il fuoco” che di fatto permette agli USA di ritirarsi dal conflitto in Vietnam. Gli Stati Uniti escono da questa guerra umiliati per la mancata vittoria, nonostante il gran dispiego di uomini e mezzi. Per di più i costi sociali, psicologici ed economici per il paese sono enormi: circa cinquantottomila soldati americani sono morti in battaglia mentre molti tornano a casa feriti o con gravi disturbi psicologici, che ne pregiudicano il reinserimento nella società civile. Per la prima volta una della nazioni più forti al mondo ha mostrato la propria vulnerabilità militare, venendo di fatto sconfitta da un piccolo esercito e da una efficiente tattica di guerriglia.
La guerra del Vietnam si può dire definitivamente conclusa nel 1975: in marzo il Vietnam del Nord invade le regioni meridionali, occupandole e riunendo il paese sotto il dominio comunista: la città di Saigon viene rinominata Ho Chi Minh City in memoria del leader comunista, morto nel 1969, che tanto aveva fatto per un Vietnam unito. Contemporaneamente anche in Laos e Cambogia dei guerriglieri comunisti, appoggiati dal Vietnam, prendono il potere.