Il 7 dicembre 1941 la storia della Seconda Guerra Mondiale cambia di segno: l’attacco giapponese alla base americana di Pearl Harbor non solo apre un nuovo fronte delle ostilità ma vede anche l’ingresso in scena della principale potenza economico-industriale sulla scena mondiale: gli Stati Uniti, che già da tempo, sotto la presidenza Roosevelt, sostenevano con armi e mezzi le forze alleate contro le dittature dell’Asse. La guerra sottomarina di Hitler, che vuole stroncare l’arrivo di rinforzi oltreoceano, ha già orientato da tempo le scelte interventiste statunitensi, rompendone il fronte isolazionista e il principio di neutralità; l’offensiva giapponese e l’eco di indignazione che essa suscita nel paese è quindi la goccia decisiva.
Contando sull'iniziale superiorità, l’impero di Hirohito estende il proprio dominio sul Sud-est asiatico e sulle sue preziose materie prime fino alla primavera del 1942, quando (in un anno che si rivela subito cruciale per le sorti dell’intera guerra, come dimostra la battaglia di Stalingrado) gli USA reagiscono con le battaglie di Midway (4-6 giugno 1942) e di Guadalcanal (12-15 novembre 1942). Tuttavia, l’asprezza della resistenza giapponese (che ricorre anche al gesto estremo dei kamikaze) e la necessità di lanciare un segnale su scala planetaria a tutte le potenze belligeranti conduce gli Stati Uniti alla scelta di bombardare Hiroshima e Nagasaki con la bomba atomica (6-9 agosto 1945); il Giappone chiede la resa il 2 settembre 1945, mentre la riorganizzazione degli assetti geopolitici mondiali viene definita nella conferenza di Yalta da Churchill, Roosevelt e Stalin tra il 4 e l’11 febbraio del 1945.