Plusvalore, capitale costante e saggio di profitto in Marx
Se ho ben capito, secondo Marx l'investimento nei mezzi di produzione, per esempio i macchinari, e quindi l'aumento del capitale costante, non incide sul plusvalore. Ma macchine migliori non potrebbero determinare un aumento della produttività degli operai, quindi più merci prodotte, e quindi più plusvalore? In questo modo non si determinerebbe la "caduta tendenziale del saggio di profitto"... E se così non è, che senso avrebbe investire denaro (capitale costante) per avere a disposizione una tecnologia migliore? Grazie, Irene
il 23 Marzo 2014, da Irene Lamberti
Ciao Irene, provo a rispondere alla tua utile osservazione. Marx, nel "Capitale", si dedica ad un'analisi teorica dell'economia politica e, in generale, del funzionamento profondo del capitalismo moderno. Dopo aver definito il plusvalore come "eccedenza sul valore originario", spiega che questo plusvalore si genera attraverso la forza-lavoro dell'operaio salariato. Il profitto capitalistico non deriva allora dal capitale preso nella sua interezza, ma dal modo in cui viene sfruttata la forza-lavoro: Marx distingue in "capitale costante", investito nei mezzi di produzione e solitamente indicato dalla lettera "c", e "capitale variabile" (detto "v"), che paga la forza-lavoro e che quindi determina il profitto (perché la forza-lavoro dell'operaio produce di per sé un pluslavoro di cui si appropria il capitalista). Se investo in "c" un determinato capitale, esso per Marx si trasferisce nel prodotto senza mutazioni (né cresce, né diminuisce), mentre la variabile sostanziale resta "v" (ovvero: pago di più macchinari migliori per avere prodotti migliori, e ricavo comunque profitto dalla forza-lavoro dei miei operai). Il "saggio di profitto" è così definito dalla formula: s = Pv / (c + v) in cui Pv è appunto il "plusvalore". La caduta tendenziale di questo saggio è dovuta - in seguito allo sviluppo tecnologico - alla crescita esponenziale di "c" ed è per il filosofo tedesco una delle contraddizioni intrinseche del capitalismo. Tuttavia, questo squilibrio può essere "corretto" da altre tendenze, che preservano il valore di "s" nella formula sopra: la contrazione dei salari (e quindi la diminuzione di "v"), lo sfruttamento intensivo della massa di disoccupati creata dall'introduzione delle macchine più sofisticate, l'aumento della produttività o del mercato (spesso ricorrendo ai mercati esteri). Spero di essere stato chiaro, un saluto e buona giornata! :)
La caduta tendenziale del saggio del profitto infatti viene solitamente compensata proprio da tale aumento della produttività che secondo Marx è sfruttamento dato che usa come indice dello sfruttamento il rapporto tra plusvalore e capitale variabile, anche se accidentalmente ciò può significare riduzione delle ore di lavoro e della fatica. Se ti stai chiedendo allora quale sia la contraddizione intrinseca del capitalismo in riguardo al saggio del profitto sappi che non esiste. Marx è un gatekeeper che propose false soluzioni per falsi problemi.
Dario Gambarro scrivi sciocchezze imbarazzanti che provino come i comunisti non capiscono il comunismo. Il capitale investito è un dato cumulativo, la somma di capitale variabile e di capitale costante è un dato istantaneo di conduzione dell'azienda. Il profitto, che è un dato monetario, non coincide col mero plusvalore, ma col prodotto di plusvalore e produttività. La formula di Marx non rappresenta nessuna realtà contabile dell'azienda, che infatti non ha alcuna sofferenza dal crollo di questo indicatore, come si può dimostrare con esempi contabili concreti. Un'azienda può subire il crollo del saggio del profitto, mentre aumenta i suoi profitti, aumenta i salari e riduce le ore di lavoro dei dipendenti. Matematica, non ideologia...