Introduzione
Ad eccezione di pochi lavori giovanili perduti, Tito Livio (59 a.C. - 17 d.C.) dedicò l’intera vita alla composizione di un’unica monumentale opera storiografica che mirava a raccontare l’intera storia di Roma dalla sua fondazione fino alla contemporaneità: i manoscritti la tramandano con il nome di Ab urbe condita libri, ma Livio la chiamava Libri oppure Annales. L’opera infatti riprendeva il tradizionale schema annalistico della storiografia romana (secondo un modello in parte ripreso, ad esempio da Tacito nei suoi Annales) e raccontava quindi le vicende di Roma anno per anno: il progetto liviano era probabilmente quello di scrivere 150 libri e di arrivare a raccontare gli eventi fino alla morte di Augusto (14 d.C.), ma ne compose solo 142, fermandosi ai fatti del 9 a.C (morte di Druso) o, secondo altri, del 9 d.C. (battaglia di Teutoburgo).
Tuttavia la tradizione medievale ne ha conservati per intero solo una piccola parte, vale a dire la prima, la terza, la quarta e metà della quinta decade: si tratta degli avvenimenti delle origini fino alla terza guerra sannitica del 293 a.C. (libri I-X) e di ciò che accade dalla seconda guerra punica al 167 a.C., con la conquista della Macedonia (libri XXI-XLV) Il resto dell’opera è oggi perduto ed è ricostruibile nei contenuti solo grazie alle Periochae, sommari scritti tra il III e il IV secolo sulla base di precedenti compendi.
All’inizio dell’opera, com’era consuetudine degli storici antichi, Livio inserisce un’introduzione programmatica, ovvero una praefatio estremamente densa in cui:
- indica con uno stile solenne (le prime parole coincidono con l’inizio di un esametro) il contenuto dell’opera (par. 1);
- professa la propria modestia per l’opera intrapresa e rende omaggio agli storici che lo hanno preceduto (parr. 2-3);
- sottolinea la difficoltà dell’impresa e ricorda che ai lettori moderni piacciono di più le indagini sulla storia recente (par. 4). Di fatto però anche Livio nel corso della sua opera propone una narrazione sempre più particolareggiata e dettagliata man mano che si avvicina all’epoca contemporanea;
- afferma (par. 5) che per lui la narrazione dell’illustre passato di Roma rappresenta un rifugio dalle preoccupazioni dei mali della tarda repubblica, oggetto privilegiato di indagine da parte di Sallustio, che pure Livio non nomina, e fa un cenno al tema topico dell’imparzialità;
- si chiede come trattare le leggende sulle origini dell’Urbe (parr. 6-7), per poi affermare di non tenerle in grande considerazione (par. 8), in quanto vuole che i lettori si concentrino sui costumi che testimoniano la grandezza del passato e sulla loro progressiva decadenza (par. 9);
- chiarisce (par. 10) il proprio obiettivo pedagogico: fornire un repertorio di exempla morali da imitare e comportamenti da evitare, utile per chi avrà in futuro responsabilità politiche. Con tono moraleggiante, per Livio i primi si troveranno facilmente nella descrizione dei fatti antichi (par. 11), i secondi nella narrazione delle vicende recenti (par. 12);
- con una preterizione, invoca di fatto gli dei perché gli concedano di portare a compimento con successo la propria opera (par. 13).
Testo originale
[1] Facturusne operae pretium sim 1 si a primordio urbis res populi Romani perscripserim nec satis scio nec, si sciam, dicere ausim 2, [2] quippe qui 3 cum veterem tum volgatam esse rem videam, dum novi semper scriptores 4 aut in rebus certius aliquid allaturos se aut scribendi arte rudem vetustatem superaturos 5 credunt. [3] Utcumque erit, iuvabit tamen rerum gestarum memoriae principis terrarum populi pro virili parte et ipsum consuluisse; et si in tanta scriptorum turba mea fama in obscuro sit, nobilitate ac magnitudine eorum me qui nomini officient meo consoler. [4] Res est praeterea et immensi operis 6, ut quae 7 supra septingentesimum annum repetatur et quae ab exiguis profecta initiis eo creverit ut iam magnitudine laboret sua; et legentium plerisque haud dubito quin 8 primae origines proximaque originibus minus praebitura voluptatis 9 sint, festinantibus ad haec nova 10 quibus iam pridem praevalentis populi vires se ipsae conficiunt. [5] Ego contra hoc quoque laboris praemium petam, ut 11 me a conspectu malorum quae nostra tot per annos vidit aetas, tantisper certe dum prisca tota illa mente repeto, avertam, omnis expers curae quae scribentis animum, etsi non flectere a vero, sollicitum tamen efficere posset. [6] Quae ante conditam condendamve urbem 12 poeticis magis decora 13 fabulis quam incorruptis rerum gestarum monumentis traduntur, ea 14nec adfirmare nec refellere in animo est. [7] Datur haec venia antiquitati, ut miscendo humana divinis primordia urbium augustiora 15 faciat; et si cui 16 populo licere oportet consecrare origines suas et ad deos referre auctores, ea belli gloria est populo Romano ut 17 cum suum conditorisque sui parentem Martem 18 potissimum ferat, tam et hoc gentes humanae patiantur aequo animo quam imperium patiuntur 19. [8] Sed haec et his similia utcumque animadversa aut existimata erunt haud in magno equidem ponam discrimine: [9] ad illa mihi 20 pro se quisque acriter intendat animum, quae vita, qui mores fuerint, per quos viros quibusque artibus domi militiaeque et partum et auctum imperium 21 sit; labente deinde paulatim disciplina velut desidentes primo mores sequatur animo, deinde ut magis magisque lapsi sint, tum ire coeperint praecipites 22, donec ad haec tempora quibus nec vitia nostra nec remedia pati possumus perventum est. [10] Hoc illud est praecipue in cognitione rerum salubre ac frugiferum, omnis te exempli documenta in inlustri posita monumento intueri; inde tibi tuaeque rei publicae quod imitere 23 capias, inde foedum inceptu, foedum exitu 24quod vites 25. [11] Ceterum aut me amor negotii suscepti fallit, aut nulla unquam res publica nec maior nec sanctior nec bonis exemplis ditior 26 fuit, nec in quam civitatem tam serae 27 avaritia luxuriaque immigraverint, nec ubi tantus ac tam diu paupertati 28ac parsimoniae honos fuerit. Adeo quanto rerum minus, tanto minus cupiditatis 29 erat. [12] Nuper divitiae avaritiam et abundantes voluptates desiderium per luxum atque libidinem pereundi perdendique omnia invexere 30. Sed querellae, ne tum quidem gratae futurae cum forsitan necessariae erunt, ab initio certe tantae ordiendae rei absint: [13] cum bonis potius ominibus votisque et precationibus deorum dearumque, si, ut poetis, nobis quoque mos esset, libentius inciperemus, ut orsis 31 tantum operis successus prosperos darent 32.
Traduzione
[1] Se comporrò un’opera di valore, avendo raccontato per intero dall’inizio le vicende della città del popolo romano, né lo so per certo né, se lo sapessi, oserei dirlo, [2] perché mi rendo conto che l’argomento è tanto passato di moda quanto arcinoto, mentre gli storici moderni pensano sempre o di riportare qualcosa di più certo sui fatti o di superare nell’arte dello scrivere lo stile rozzo degli antichi. [3] Comunque sia, sarà tuttavia utile essermi preso cura secondo le mie possibilità e in prima persona del ricordo delle imprese del popolo più importante del mondo; e se in una così gran folla di storici la mia fama fosse oscurata, mi consolerei con la nobiltà e la grandezza di quelli che metteranno in ombra il mio nome. [4] Inoltre l’argomento comporta una fatica immensa, poiché risale a oltre settecento anni fa e poiché, partito da inizi modesti, è poi cresciuto così tanto che ormai collassa sotto il suo stesso peso. E non dubito che le prime origini e le vicende vicine alle origini offriranno meno piacere alla maggior parte dei lettori, che invece si affrettano [ad arrivare] a quei fatti recenti in cui le forze di un popolo una volta molto valoroso si esauriscono da sole. [5] Io al contrario cercherò anche questa ricompensa dalla mia fatica, di allontanarmi dalla vista dei mali a cui la nostra epoca ha assistito per tanti anni, almeno finché ripercorro con la mente tutti quei fatti antichi, libero da ogni preoccupazione che potrebbe, se non allontanare l’animo di chi scrive dal vero, almeno renderlo inquieto. [6] Non ho intenzione né di confermare né di respingere quelle leggende precedenti la fondazione - o il progetto della fondazione - di Roma, più consone ai discorsi dei poeti che a resoconti affidabili di fatti realmente accaduti. [7] Sia concessa questa scusa all’antichità, di rendere, mescolando le vicende umane a quelle degli dei, più sacri gli inizi delle città; e se a qualche popolo è giusto concedere di rendere sacre le proprie origini e di rimandare agli dei come capostipiti, il popolo romano ha una tale gloria di guerra che, innalzando il potentissimo Marte a padre suo e del suo fondatore, i popoli della terra sopportano pazientemente anche questa convinzione tanto quanto ne sopportano il dominio. [8] Ma di certo io non terrò in grande considerazione queste cose e quelle simili a queste, in qualunque modo possano essere considerate e valutate: [9] ciascuno di per sé, per favore, rivolga puntualmente l’attenzione a ciò, quale sia stato il tenore di vita, quali i costumi, grazie a quali uomini e capacità in pace e in guerra il dominio [di Roma] sia sorto e si sia sviluppato; ponga poi ancora attenzione a come, man mano che il rigore morale veniva meno, i costumi dapprima si siano infiacchiti, poi come siano sempre più degenerati, infine come abbiamo iniziato a precipitare, finché si è giunti a questi tempi in cui non possiamo tollerare né i nostri vizi né i loro rimedi. [10] È soprattutto questo che vi è di salutare e utile nella conoscenza della storia, che si possa avere sotto gli occhi modelli di ogni genere ricordati in un’opera illustre; da qui seleziona per te e per il tuo stato ciò che va imitato, da qui ciò che di vergognoso va evitato sia all’inizio che alla fine. [11] Del resto o mi inganna la passione per l’opera intrapresa o nessuno stato fu mai né più grande né più sacro né più ricco di buoni esempi, né ci fu una città in cui si insinuarono tanto tardi l’avidità e l’amore per il lusso, né in cui l’accontentarsi di poco e la parsimonia godettero di una considerazione tanto grande e così duratura. Perciò quanti meno erano i beni, tanto meno era il desiderio [di possederli]. [12] Ora, invece, le ricchezze hanno portato con sé l’avidità, i piaceri smodati, il desiderio di mandare in rovina e di perdere tutto per colpa del lusso e della dissolutezza. Ma, nel momento di iniziare un’impresa tanto grande, stiano lontane le lamentele, che non saranno gradite nemmeno quando forse saranno necessarie: [13] piuttosto, se anche per me - come per i poeti - ci fosse [questa] usanza, inizierei più volentieri [il lavoro] con buoni auspici, voti e preghiere agli dei e alla dee, perché mi concedessero esiti felici, mentre mi accingo a un’opera di tale importanza.
1 Facturusne […] sim: è un’interrogativa indiretta retta dalla principale “nec satis scio”.
2 ausim: si tratta di un congiuntivo presente con valore potenziale del verbo audeo, es, ausus sum, ere, “osare”.
3 quippe qui: qui introduce una subordinata causale.
4 scriptores: in questo caso sono gli storici, di solito indicati con la perifrasi rerum scriptores. Si noti a tal proposito che il sostantivo “res” compare subito dopo nella locuzione “in rebus”.
5 allaturos [...] superaturos: sono due infiniti futuri (con esse sottinteso) retti dal verbo “credunt”.
6 immensi operis: è genitivo di qualità. La traduzione proposta mira alla comprensione immediata in italiano piuttosto che al rispetto della lettera latina.
7 Livio è in questo caso volutamente ambiguo: “quae” si riferisce certamente all’argomento dell’opera, ma implicitamente allude anche alla città stessa di Roma, all’inizio piccola ma all’epoca dello storico soffocata dalla sua stessa grandezza.
8 quin: “non dubito”, come tutte le espressioni che indicano dubbio e incertezza, regge una subordinata completiva al congiuntivo (in questo caso “praebitura sint”) introdotta proprio da “quin”.
9 voluptatis: è genitivo partitivo retto da minus.
10 haec nova: ai lettori e alla storiografia coeva all’autore piace di più la narrazione delle vicende contemporanee, mentre Livio preferisce dedicarsi alla contemplazione del passato, rasserenante diversivo allo spettacolo triste della decadenza del presente.
11 Subordinata completiva epesegetica introdotta da “ut” e anticipata dal pronome neutro “hoc”. Si tratta di un costrutto che Livio utilizza anche in seguito nella Prefazione.
12 urbem: l’espressione “ante conditam condendamve urbem” indica tutte le vicende della storia precedenti alla fondazione di Roma: Livio afferma esplicitamente di non volerle trattare, perché la sua opera, come dice il titolo stesso con cui è tramandata, inizia proprio ab urbe condita. “Condendam” è un gerundivo e letteralmente significa “da fondare”.
13 decora: è un aggettivo concordato con il pronome relativo neutro plurale.
14 ea:costitusce qui l’antecedente della relativa in prolessi “quae […] traduntur”; l’intera perifrasi si può tradurre in sintesi con “quelle leggende”.
15 augustiora: augustus, aggettivo connesso etimologicamente al verbo augeo, es, auxi, auctum, ere (“accrescere, aumentare, arricchire”) significa “venerabile, protetto dagli dei, sacro”. Equivale al greco sebastòs, titolo usato in Oriente per indicare le divinità o i re divinizzati.
16 cui: è aggettivo indefinito concordato con il dativo “populo”.
17 ut: subordinata consecutiva, come si evince anche dall’antecedente “ea […] gloria”.
18 Martem: Romolo è considerato figlio di Marte e di Rea Silvia.
19 Si noti il raffinato ordo verborum, impreziosito da figure di suono (come le allitterazioni “parentem potissum” e “aequo animo”) e dai poliptoti “sui […] suum” e “patiantur […] patiuntur”.
20 mihi:è un dativo etico che, accostato al congiuntivo esortativo, si può tradurre come una sorta di interiezione: “per favore”.
21 Il termine “imperium”, qui tradotto genericamente con “dominio”, rimanda certamente anche al nascente impero fondato da Augusto.
22 Il congiuntivo esortativo “intendat” (da intendo, is, tendi, tentum, ere, “tendere verso, dirigere, rivolgere”) regge le interrogative indirette “quae vita”, “qui mores fuerint”, “per quos viros quibusque artibus domi militiaeque et partum et auctum imperium sit”; allo stesso modo “sequatur” (da sequor, eris, secutus sum, sequi, “seguire, tener dietro, passare a”)regge “velut desidentes primo mores [...], deinde ut magis magisque lapsi sint, tum ire coeperint praecipites”.
23 imitere: è seconda persona singolare del congiuntivo presente (al posto di imiteris) di imitor, aris, imitatus sum, imitari, “imitare, riprodurre, essere simile”. Il congiuntivo è giustificato dal fatto che siamo all’interno di una relativa impropria con valore consecutivo.
24 inceptu [...] exitu: si tratta di ablativi di limitazione.
25 Livio, rifacendosi all’ideale ciceroniano (cfr. De oratore 2, 36) della historia magistra vitae, afferma qui che la conoscenza della storia serve tanto al singolo individuo quanto agli Stati: sia a livello personale che politico, infatti, dalla storia si possono trarre esempi e paradigmi, positivi o negativi, da cui prendere insegnamento.
26 ditior: è forma sincopata per divitior, comparativo di dives.
27 serae: ha funzione predicativa, perciò può essere tradotto come l’avverbio corrispondente (sero, “tardi, troppo tardi”).
28 La paupertas è la capacità di accontentarsi di poco, l’autosufficienza, ed è perciò un valore; ad essa si contrappone l’egestas, che indica invece il bisogno estremo, l’assoluta povertà.
29 Si noti il chiasmo “quanto rerum [A] minus [B], tanto minus [B] cupiditatis [A]”.
30 invexere: è la forma arcaica e alternativa di invexerunt, terza persona plurale del perfetto di inveho, is, vexi, vectum, ere, “trasportare dentro, importare, introdurre”.
31 orsis: è participio perfetto da ordior, iris, orsus sum, ordiri (“ordire, cominciare”), congiunto a “nobis”;lo stesso verbo è stato adoperato, al gerundivo, nella frase precedente.
32 Proprio nel momento in cui Livio rimarca ancora una volta la distanza con i generi poetici, il tono si fa più aulico e il lessico si arricchisce di termini legati alla sfera della religione.