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Primo Levi, "La tregua": commento ad alcuni estratti

I brani qui citati sono estratti particolarmente significativi del romanzo La tregua, pubblicato da Primo Levi nel 1963, e scritto nei due anni precedenti. L’opera, che rappresenta un seguito ideale di Se questo è un uomo, racconta il viaggio di ritorno dell’autore da Auschwitz a Torino. Il titolo dell’opera specifica che questo lasso temporale ben determinato: quello di una tregua, appunto, e non certo della pace. Levi afferma infatti cheil Lager si è insinuato a tal punto nell’animo dei sopravvissuti da non permettere loro di uscirne realmente, di dimenticare e abbandonare le abitudini acquisite là dentro. Nel capitolo quarto, Katowice, poco dopo la liberazione di Auschwitz del gennaio 1945, Levi espone la legge di vita che lo ha “salvato”:

Fra le cose che avevo imparato in Auschwitz, una delle più importanti era, che bisogna sempre evitare di essere “qualunque”. Tutte le vie sono chiuse a chi appare inutile, tutte sono aperte a chi esercita una funzione, anche la più insulsa 1.

Le parole di Mordo Nahum, uno dei personaggi che accompagnano Levi nel libro, sono esemplificative delle legge di sopravvivenza. Nel capitolo terzo, Primo e Mordo abbandonano il treno per dirigersi verso Cracovia; quando le scarpe del protagonista vanno in pezzi, Mordo spiega a Levi che:

Mi spiegò che essere senza scarpe è una colpa molto grave. Quando c’è la guerra, a due cose bisogna pensare prima di tutto: in primo luogo alle scarpe, in secondo alla roba da mangiare; e non viceversa, come ritiene il volgo: perchè chi ha le scarpe può andare in giro a trovar da mangiare, mentre non vale l’inverso. - Ma la guerra è finita, - obiettai: e la pensavo finita, come molti in quei mesi di tregua , in un senso molto più universale di quanto si osi pensare oggi. - Guerra è sempre, - rispose memorabilmente Mordo Nahum 2.

L’impossibilità di uscire dalla “tregua” e la sensazione di essere sempre in guerra (o sempre confinati nel lager) torna anche nel finale del libro, dove Levi cita un sogno ricorrente, da cui prende ispirazione la poesia che apre il romanzo:

Tutto è volto in caos: sono solo al centro di un nulla grigio e torbido, ed ecco, io so che cosa questo significa, ed anche so di averlo sempre saputo: sono di nuovo in Lager, e nulla era vero all’infuori del Lager 3.

In questa parentesi onirica Levi si ritrova nel Lager, rivive l’angoscia del risveglio in quel luogo, e sente che non esiste realtà fuori da quella del campo di sterminio; il resto è solo un’illusione temporanea, che presto svanirà. Nonostante questa cruda consapevolezza, accompagnata dal senso di paura e angoscia che non può essere mai scacciato del tutto, l’autore ci offre una visione della vita portatrice di una speranza, seppur ipotetica e collocata in un futuro incerto e tutto da definire. Quello di Levi, insomma, è il destino di un “salvato” come Levi preciserà, ad anni di distanza, ne I sommersi e i salvati.

1 P. Levi, La tregua, Torino, Einaudi, 1989, p. 55.

2 Ivi, p. 44.

3 Ivi, p. 219.