Introduzione
Il sesto capitolo de I promessi sposi occupa il pomeriggio del 9 novembre 1628, quando fra Cristoforo si reca da don Rodrigo per difendere la povera Lucia: dallo scontro tra i due emerge la differenza tra i loro caratteri e i loro valori. Successivamente si descrive come Agnese, Renzo e Lucia, con l’aiuto di Tonio e Gervaso, progettino un matrimonio clandestino alle spalle di don Abbondio
Riassunto
Il capitolo si apre con le parole che Don Rodrigo rivolge ironicamente a Fra Cristoforo: “In che posso ubbidirla?” 1. In questo capitolo viene presentato il confronto verbale tra il signorotto e il frate, giunto nel palazzotto di questo per ottenere giustizia e difendere Lucia e Renzo dalle prepotenze del nobile. Rodrigo fin dal primo scambio di battute si dimostra arrogante e sarcastico, prendendosi gioco di Fra Cristoforo e dei due poveri giovani. Il frate, tuttavia, mantenendo il controllo, risponde alle offese del nobile, fino all’ironica offerta di protezione di Lucia da parte di Don Rodrigo, che riferendosi alla giovane afferma: “la consigli di venire a mettersi sotto la mia protezione. Non le mancherà più nulla, e nessuno ardirà d’inquietarla”. A queste parole Fra Cristoforo, recuperando tutto il vigore giovanile, non trattiene più l’ira:
La vostra protezione! È meglio che abbiate parlato così, che abbiate fatta a me una tale proposta. Avete colmata la misura; non vi temo più [...] Parlo come si parla a chi è abbandonato da Dio, e non può più far paura. [...] Voi avete creduto che Dio abbia fatta una creatura a sua immagine, per darvi il piacere di tormentarla! Voi avete creduto che Dio non saprebbe difenderla! Voi avete disprezzato il suo avviso! Vi siete giudicato 2.
Infine pronuncia un ammonimento finale che spaventa il signorotto, proprio perché gli predice qualcosa di sconosciuto, che don Rodrigo non sa identificare con precisione 3. Il nobile caccia Fra Cristoforo dalla sua abitazione, ma il frate viene avvicinato da un servitore di Rodrigo, che si propone di osservare e riferire le mosse del padrone, che a quanto pare sta architettando qualcosa. Risollevato dall’offerta d’aiuto, il frate si incammina verso casa di Lucia, dove l’attendono i due giovani e Agnese.
Il narratore sposta il suo punto di vista su tre personaggi che stanno pianificando, su iniziativa della madre della protagonista, un matrimonio alternativo. La pragmatica Agnese propone infatti di sorprendere nottetempo Don Abbondio e obbligarlo a sposare i due giovani, pronunciando di fronte a lui, alla presenza di due testimoni, la formula matrimoniale. Renzo appare subito convinto del piano, mentre Lucia presenta i suoi dubbi, dovuti alla sua fiducia incrollabile nel disegno della Provvidenza e 4. Renzo, assai impulsivo, mette a tacere la ragazza e corre in cerca di due testimoni: Tonio e suo fratello Gervasio. All’amico Renzo proporrà all’amico di pagargli un debito con don Abbondio in cambio del suo favore.
Al ritorno a casa, Renzo prova ancora a spiegare le proprie ragioni a Lucia, prima dell’arrivo di fra Cristoforo.
I dialoghi del sesto capitolo
Il capitolo sesto è costruito principalmente su tre grandi scene dialogate: quella tra fra Cristoforo e don Rodrigo, quella a tre fra i due protagonisti e Agnese, quella all’osteria tra Renzo e Tonio.
Nel primo caso, il confronto tra i due uomini è teso e drammatico: mascherato inizialmente dal linguaggio e dalle convenzioni della cortesia aristocratica (come si vede già dall’incipit) i due sfidanti cedono a poco a poco a toni più accesi e sarcastici, fino alla “minaccia” finale pronunciata dal frate cappuccino nei toni aspri di una profezia.
Il dialogo tra i due “promessi sposi” è più rapido e mosso, aperto subito da una proposta di Agnese, che mette in luce il suo pragmatismo e il suo spirito d’intraprendenza 5; se Lucia è da subito riluttante, Renzo, assecondando la propria ingenua impulsività (la stessa che lo metterà nei guai a Milano) , vi si getta a capofitto. Manzoni mette in rilievo questa differenza caratteriale proprio ricorrendo alle parole dirette dei tre personaggi, che li caratterizzano e li qualificano nelle loro idee. Ecco la serie di argomentazioni, più appassionate che razionali, con cui il protagonista tenta - senza troppo successo - di convincere l’amata della bontà del piano segreto:
“Lucia,” disse Renzo, “volete voi mancarmi ora? Non avevamo noi fatto tutte le cose da buon cristiani? Non dovremmo esser già marito e moglie? Il curato non ci aveva fissato lui il giorno e l'ora? E di chi è la colpa, se dobbiamo ora aiutarci con un po' d'ingegno? No, non mi mancherete. Vado e torno con la risposta –. E, salutando Lucia, con un atto di preghiera, e Agnese, con un'aria d'intelligenza, partì in fretta 6.
L’incontro tra Renzo e Tonio, sullo sfondo dell’osteria dove Renzo porta l’amico per illustrargli il piano, è invece caratterizzato da un tono da commedia teatrale, in cui lo scambio comunicativo avviene per esclamazioni, gesti, frasi lasciate o metà o espressioni popolari:
“Ah, Renzo, Renzo! tu mi guasti il benefizio. Con che cosa mi vieni fuori? M'hai fatto andar via il buon umore”.
[...] “Ma, ma, se tu mi vuoi fare un servizietto, le venticinque lire son preparate”.
“Dì su”.
“Ma...!” disse Renzo, mettendo il dito alla bocca.
“Fa bisogno di queste cose? tu mi conosci”.
[...] “Così l'intendo”.
“Birba chi manca”.
“Ma bisogna trovare un altro testimonio”.
“L'ho trovato. Quel sempliciotto di mio fratel Gervaso farà quello che gli dirò io. Tu gli pagherai da bere?”
“E da mangiare,” rispose Renzo. “Lo condurremo qui a stare allegro con noi. Ma saprà fare?”
“Gl'insegnerò io: tu sai bene ch'io ho avuta anche la sua parte di cervello”.
[...] “Ma, se tua moglie ti domanda, come ti domanderà, senza dubbio…”
“Di bugie, sono in debito io con mia moglie, e tanto tanto, che non so se arriverò mai a saldare il conto.
Qualche pastocchia la troverò, da metterle il cuore in pace” 7.
1 A. Manzoni, I promessi sposi, a cura di E. Raimondi e L. Bottoni, Milano, Principato, 1988, p. 116.
2 Ivi, p. 119.
3 Ivi, p. 120: “Don Rodrigo era fin allora rimasto tra la rabbia e la maraviglia, attonito, non trovando parole; ma, quando sentì intonare una predizione, s’aggiunse alla rabbia un lontano e misterioso spavento”.
4 Ivi, p. 127: “Son imbrogli non son cose lisce. Finora abbiamo operato sinceramente: tiriamo avanti con fede, e Dio ci aiuterà: il padre Cristoforo l’ha detto. Sentiamo il suo parere”.
5 Ivi, p. 123: “Sentite, figliuoli! Se volete aver cuore e destrezza, quanto bisogna, se vi fidate di vostra madre,” a quel vostra Lucia si riscosse, “io m'impegno di cavarvi di quest'impiccio, meglio forse, e più presto del padre Cristoforo, quantunque sia quell'uomo che è”. Lucia rimase lì, e la guardò con un volto ch'esprimeva più maraviglia che fiducia in una promessa tanto magnifica; e Renzo disse subitamente: “cuore? destrezza? dite, dite pure quel che si può fare”.
6 Ivi, p. 127.
7 Ivi, pp. 128-130.