La cromatografia consiste nella separazione di molecole in una soluzione liquida o gassosa (fase mobile) attraverso l’interazione con una componente solida (fase stazionaria): a seconda di come le molecole, che possiamo chiamare anche analiti, interagiscono con la fase stazionaria esse risulteranno ritardate nel loro movimento, permettendone quindi la separazione, o risoluzione. La fase mobile comprende anche le sostanze utilizzate per “trascinare” il campione da analizzare sulla fase stazionaria, chiamate eluenti. Il movimento degli analiti sarà anche influenzato dall’interazione con l’eluente.
La cromatografia più semplice è quella che utilizza carta come fase stazionaria: gli analiti all’interno di un solvente adeguato risaliranno per capillarità la carta e verranno trattenute in maniera diversa dalle sue fibre di cellulosa. Una metodica più precisa è la cromatografia su strato sottile (TLC) che utilizza come fase stazionaria una sottile lamina di vetro sul quale è poggiato un gel di silice (polimero di SiO2). Poichè la silice ha caratteristiche polari, gli analiti polari risulteranno rallentati rispetto a quelli apolari, mentre questi ultimi lo saranno in ordine decrescente di apolarità. Di conseguenza al termine di questa “corsa” le molecole apolari avranno percorso una maggiore distanza rispetto al punto di deposito rispetto a quelle che presentano caratteristiche di apolarità inferiore o che sono addirittura polari. Modulando anche la apolarità del solvente, generalmente organico, siamo in grado di regolare la suddivisione degli analiti. Un esempio classico di utilizzo della TLC in laboratorio didattico è la separazione di coloranti miscelati ottenuti da fonti naturali, come gli spinaci, o artificiali, come l’inchiostro di una biro.
Cromatografia su carta di tre miscele di coloranti (a sinistra) e TLC di un inchiostro nero (a destra).
La tecnica più usata per separare miscele di analiti dalle elevate concentrazioni o che necessitano di un elevato grado di purificazione è la cromatografia su colonna, per le quali viene usata una particolare fase stazionaria, chiamata matrice, che permette di separare in maniera specifica molecole con certe caratteristiche e che viene costruita, o meglio impaccata, all’interno di un tubo di vetro, chiamato appunto colonna cromatografica. La matrice viene equilibrata, in modo che non ci siano crepe o molecole estranee al suo interno, prima di caricare il campione da analizzare. In seguito viene fatto un lavaggio, al fine di eliminare tutti gli analiti che non interagiscono con la colonna, o lo fanno solo debolmente, che spesso sono indesiderati. L’eluizione permette di separare singolarmente le varie molecole secondo i criteri scelti precedentemente dall’operatore, fino a quando tutto, o ciò che ci interessa, è stato raccolto. Gli analiti e l’eluente si muoveranno verso il basso, sfruttando la forza di gravità, nonostante il processo può risultare lento: per velocizzare le operazioni si utilizzano alte pressioni, come nella tecnica chiamata HPLC (cromatografia liquida ad alta prestazione).
A seconda del tipo di matrice utilizzata distingiuamo 4 tipi principali di cromatografia su colonna.
- Gel filtrazione (o esclusione molecolare): la matrice è simile a una spugna che permette, grazie ai suoi pori, di escludere le molecole più grandi, e di intrappolare le più piccole, ritardandole nella discesa.
- Cromatografia a scambio ionico: cariche negative poste sulla matrice sono in grado di attrarre e trattenere solo molecole con carica opposta (cationi), e viceversa.
- Cromatografia a fase inversa: la matrice ha caratteristiche apolari, che permettono a molecole polari di risultare rallentate.
- Cromatografia per affinità: la fase stazionaria presenta molecole altamente affini o specifiche per il determinato analita che vogliamo purificare.
Resta ora il problema di come è possibile verificare visivamente l’avvenuta separazione dei vari analiti: nel caso in cui le molecole in questione siano caratterizzate da uno spiccato colore, come i pigmenti presenti nei vegetali, è facile raccogliere in beute le sostanze sostanze di diverse espressioni cromatiche. Spesso però le molecole che ci interessa purificare sono “invisibili” all’occhio umano, poichè in grado di assorbire la luce a lunghezze d’onda esterne a quelle dello spettro visibile. Per questo motivo si utilizza un lettore di assorbanza (spesso nell’ultravioletto) in grado di emettere un segnale ogni qual volta una molecola esce dalla colonna cromatografica, permettendo di stimare per esempio la sua concentrazione.
Cromatografia su colonna durante l'analisi di un estratto di foglie di spinaci. I pigmenti colorati contenute all'interno sono caratterizzate da diverse sfumature cromatiche (giallo per le xantofille e verde per le clorofille) che ne facilitano la purificazione.
Credits: Wikimedia Commons Theresa knott, Natrij