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"La sera fiesolana" di Gabriele D'Annunzio: riassunto e commento

Parafrasi Commento

La sera fiesolana è il primo testo della raccolta Alcyone ad essere composto (1899) e presenta una sera di giugno, periodo del declino della primavera e dell’inizio dell’estate. La poesia è strutturata su tre strofe di quattordici versi con metri differenti (endecasillabi, novenari, settenari, quinari e ipermetri), ogni strofa è intermezzata da una lauda in tre versi alla sera. Il componimento è fitto di rime liberamente distribuite nel testo.

 

Il poeta a Fiesole descrive il sopraggiungere quieto sulla campagna della sera, umanizzata e trasfigurata nella donna amata: “Laudata sii pel tuo viso di perla, | o Sera, e pe’ tuoi grandi umidi occhi ove si tace | l’acqua del cielo!” (vv-15-17). Non si tratta di una poesia narrativa, ma sono presenti solo accostamenti di immagini di paesaggi e piante che richiamano i temi dannunziani dell’estasi amorosa, dell’immedesimazione dell’uomo con le cose e con la natura, perché come afferma in un’intervista D’Annunzio stesso “le cose non sono se non i simboli dei nostri sentimenti, ci aiutano a scoprire il mistero che ciascuno di noi in sé chiude”.
Così la prima strofa si apre con una delle parole-chiave del componimento “Fresche”, perché ciò che vuole comunicare il poeta è un’idea di freschezza, di pace e dolcezza, simbolizzate dall’avvento della sera. Nel lungo periodo della strofa D’Annunzio si rivolge a una donna, una presenza femminile incorporea e ideale: “Fresche le mie parole ne la sera | ti sien come il fruscìo che fan le foglie”. Evidente è, inoltre, tramite la figura retorica della sinestesia, l’accostamento di due termini appartenenti a due piani sensoriali diversi, “fresche” e “le mie parole”. Lo stesso accade nella seconda strofa, che si apre con la parola-chiave “dolci” (collegata nuovamente a “parole”), descrivendo poi nuovamente un paesaggio di campagna e alberi. Nella terza strofa invece il poeta evoca immagini fantastiche di paesi remoti e misteriosi: “Io ti dirò verso quali reami | d’amor ci chiami il fiume, le cui fonti | eterne a l’ombra de gli antichi rami | parlano nel mistero sacro dei monti”. Sempre in quest’ultima strofa si trova una personificazione delle colline fiesolane, che diventano labbra di donna pronte ad aprirsi per rivelare un segreto. Questo è il mistero della natura a cui il poeta anela e in cui si abbandona, anche se manca ancora quel totale assorbimento e comunione con la natura a cui si assiste nella Pioggia nel pineto.

 

Modello arcaicizzante del componimento è la poesia duecentesca e trecentesca: la lauda, come il Cantico delle creature, la lode stilnovistica e la lirica petrarchesca.