Nel dodicesimo canto del Paradiso, Dante è ancora tra gli spiriti sapienti, nel cielo del Sole; dopo la presentazione di San Francesco da parte di San Tommaso d’Aquino nel canto precedente, qui i due ordini monacali si scambiano per così dire le parti. Ora tocca a Bonaventura da Bagnoregio illustrare la vita di San Domenico e, in chiusura del canto, deprecare la corruzione che ha colpito il propiro ordine. Seguirà un breve panorama sulle anime illustri che compongono il cielo in questione (tra cui Ugo da San Vittore, Anselmo d’Aosta e Rabano Mauro).
- Sì tosto come l’ultima parola
- la benedetta fiamma 1per dir tolse 2,
- a rotar cominciò la santa mola;
- e nel suo giro tutta non si volse
- prima ch’un’altra di cerchio la chiuse 3,
- e moto a moto e canto a canto colse;
- canto che tanto vince nostre muse 4,
- nostre serene 5 in quelle dolci tube,
- quanto primo splendor quel ch’e’ refuse.
- Come si volgon per tenera nube
- due archi paralelli e concolori 6,
- quando Iunone a sua ancella iube 7,
- nascendo di quel d’entro quel di fori 8,
- a guisa del parlar di quella vaga
- ch’amor consunse come sol vapori 9,
- e fanno qui la gente esser presaga,
- per lo patto che Dio con Noè puose,
- del mondo che già mai più non s’allaga:
- così di quelle sempiterne rose
- volgiensi circa noi le due ghirlande,
- e sì l’estrema a l’intima rispuose.
- Poi che ’l tripudio e l’altra festa grande,
- sì del cantare e sì del fiammeggiarsi 10
- luce con luce gaudïose e blande,
- insieme a punto e a voler quetarsi 11,
- pur come li occhi ch’al piacer che i move
- conviene insieme chiudere e levarsi;
- del cor de l’una de le luci nove 12
- si mosse voce, che l’ago a la stella 13
- parer mi fece in volgermi al suo dove;
- e cominciò: “L’amor che mi fa bella
- mi tragge a ragionar de l’altro duca 14
- per cui del mio sì ben ci si favella.
- Degno è che, dov’ è l’un, l’altro s’induca:
- sì che, com’ elli ad una militaro,
- così la gloria loro insieme luca 15.
- L’essercito di Cristo 16, che sì caro
- costò a rïarmar 17, dietro a la ’nsegna
- si movea tardo, sospeccioso e raro,
- quando lo ’mperador che sempre regna
- provide a la milizia, ch’era in forse,
- per sola grazia, non per esser degna;
- e, come è detto, a sua sposa soccorse
- con due campioni, al cui fare, al cui dire 18
- lo popol disvïato si raccorse.
- In quella parte ove surge ad aprire
- Zefiro 19 dolce le novelle fronde
- di che si vede Europa rivestire,
- non molto lungi al percuoter de l’onde
- dietro a le quali, per la lunga foga,
- lo sol talvolta ad ogne uom si nasconde 20,
- siede la fortunata Calaroga 21
- sotto la protezion del grande scudo
- in che soggiace il leone e soggioga 22:
- dentro vi nacque l’amoroso drudo
- de la fede cristiana, il santo atleta
- benigno a’ suoi e a’ nemici crudo;
- e come fu creata, fu repleta
- sì la sua mente di viva vertute,
- che, ne la madre, lei fece profeta 23.
- Poi che le sponsalizie fuor compiute
- al sacro fonte intra lui e la Fede,
- u’ si dotar di mutüa salute,
- la donna che per lui l’assenso diede,
- vide nel sonno il mirabile frutto
- ch’uscir dovea di lui e de le rede;
- e perché fosse qual era in costrutto,
- quinci si mosse spirito a nomarlo
- del possessivo di cui era tutto 24.
- Domenico fu detto; e io ne parlo
- sì come de l’agricola che Cristo
- elesse a l’orto suo per aiutarlo 25.
- Ben parve messo e famigliar di Cristo:
- ché ’l primo amor che ’n lui fu manifesto,
- fu al primo consiglio 26 che diè Cristo.
- Spesse fïate fu tacito e desto
- trovato in terra da la sua nutrice,
- come dicesse: ’Io son venuto a questo’.
- Oh padre suo veramente Felice 27!
- oh madre sua veramente Giovanna 28,
- se, interpretata, val come si dice!
- Non per lo mondo, per cui mo s’affanna
- di retro ad Ostïense 29 e a Taddeo 30,
- ma per amor de la verace manna
- in picciol tempo gran dottor si feo;
- tal che si mise a circüir la vigna
- che tosto imbianca, se ’l vignaio è reo 31.
- E a la sedia che fu già benigna
- più a’ poveri giusti, non per lei,
- ma per colui che siede, che traligna,
- non dispensare o due o tre per sei,
- non la fortuna di prima vacante,
- non decimas, quae sunt pauperum Dei,
- addimandò, ma contro al mondo errante
- licenza di combatter per lo seme
- del qual ti fascian ventiquattro piante 32.
- Poi, con dottrina e con volere insieme,
- con l’officio appostolico si mosse
- quasi torrente ch’alta vena preme;
- e ne li sterpi eretici 33percosse
- l’impeto suo, più vivamente quivi 34
- dove le resistenze eran più grosse.
- Di lui si fecer poi diversi rivi 35
- onde l’orto catolico si riga,
- sì che i suoi arbuscelli stan più vivi.
- Se tal fu l’una rota 36 de la biga 37
- in che la Santa Chiesa si difese
- e vinse in campo la sua civil briga 38,
- ben ti dovrebbe assai esser palese
- l’eccellenza de l’altra, di cui Tomma
- dinanzi al mio venir fu sì cortese.
- Ma l’orbita che fé la parte somma
- di sua circunferenza, è derelitta,
- sì ch’è la muffa dov’ era la gromma 39.
- La sua famiglia, che si mosse dritta
- coi piedi a le sue orme, è tanto volta,
- che quel dinanzi a quel di retro gitta 40;
- e tosto si vedrà de la ricolta
- de la mala coltura, quando il loglio
- si lagnerà che l’arca li sia tolta 41.
- Ben dico, chi cercasse a foglio a foglio
- nostro volume 42, ancor troveria carta
- u’ leggerebbe "I’ mi son quel ch’i’ soglio" 43;
- ma non fia da Casal 44 né d’Acquasparta 45,
- là onde vegnon tali a la scrittura,
- ch’uno la fugge e altro la coarta.
- Io son la vita di Bonaventura
- da Bagnoregio 46, che ne’ grandi offici
- sempre pospuosi la sinistra cura.
- Illuminato e Augustin 47 son quici,
- che fuor de’ primi scalzi poverelli
- che nel capestro 48 a Dio si fero amici.
- Ugo da San Vittore 49 è qui con elli,
- e Pietro Mangiadore e Pietro Spano 50,
- lo qual giù luce in dodici libelli;
- Natàn profeta e ’l metropolitano 51
- Crisostomo e Anselmo 52 e quel Donato
- ch’a la prim’ arte degnò porre mano 53.
- Rabano 54 è qui, e lucemi dallato
- il calavrese abate Giovacchino 55
- di spirito profetico dotato.
- Ad inveggiar cotanto paladino
- mi mosse l’infiammata cortesia
- di fra Tommaso e ’l discreto latino;
- e mosse meco questa compagnia”.
- Non appena la benedetta fiamma
- iniziò a dire l’ultima parola, subito dopo
- la corona dei beati riprese a roteare;
- e non fece in tempo a completare un giro
- che un’altra corona la circondò,
- la quale accordò moto e canto alla prima;
- canto che in quei dolci strumenti supera molto
- la nostra poesia e le nostre armonie, quanto
- il primo raggio è superiore a quello riflesso.
- Come attraversano una nube tenue
- due arcobaleni concentrici e concordi nei colori,
- quando Giunone ordina alla sua ancella,
- che nascono uno dentro l’altro,
- così come la voce di Eco, che si consumò
- per amore di Narciso, nasce dalle nostre parole,
- e [questi arcobaleni] danno ai mortali
- il presagio del patto che Dio stabilì con Noè,
- per cui non avrebbe più allagato il mondo:
- così le due ghirlande di quelle rose eterne
- si rivolsero verso ed intorno a noi, e così
- il cerchio esterno corrispose a quello interno.
- Dopo che la danza e i giochi di luce,
- sia del cantare e sia del rifulgere delle anime
- con luci splendide di felicità e carità,
- nello stesso istante si arrestarono,
- come gli occhi che si aprono e si chiudono
- seguendo il desiderio che li muove;
- dal centro delle luci della nuova corona
- si mosse una voce, che mi fece voltare
- verso lei come fossi l’ago di una bussola;
- e cominciò: “L’amore che mi rende bella
- mi porta a parlare dell’altro principe
- in quanto qui si è parlato così bene di Francesco.
- È giusto che dove è lodato uno lo sia
- anche l’altro, così che, come combatterono
- per una causa, così vengano lodati insieme.
- L’esercito di Cristo, chè costò molto armare
- nuovamente, dietro alla croce proseguiva
- lentamente, pieno di dubbi e in numero esiguo,
- quando Dio onnipotente venne in aiuto
- alla cristianità che era in pericolo,
- solo per la sua grazia, non perchè essa fosse degna;
- e, come è detto, mandò in aiuto alla sua sposa
- due campioni, al cui esempio e alle cui parole
- il popolo perso e sfiduciato si ravvide.
- In quella parte in cui il dolce Zefiro sorge
- e fa aprire nuove fronde in primavera
- di cui si vede che si riveste tutta l’Europa,
- non molto lontano dal litorale Atlantico
- dietro le cui onde talvolta, essendo stanco,
- il sole si nasconde agli occhi umani,
- ha sede la fortunata Calaruega
- sotto la protezione del regno di Castiglia
- in cui il leone soggiace e soggioga la torre:
- qui vi nacque San Domenico, fedele vassallo
- della fede cristiana, santo difensore
- benevolo con i buoni, duro con gli eretici;
- e come la sua anima venne creata, fu così
- ricolma di potente virtù, che ancora nel
- ventre della madre, la rese profeta.
- Dopo che furono compiute le nozze
- al fonte battesimale tra lui e la Fede,
- dove si scambiarono reciproca salvezza,
- la donna che gli fece da madrina di battesimo,
- vide in sogno la mirabile missione
- di Domenico e dei suoi seguaci;
- affinchè fosse nel nome ciò che era realmente,
- dal Cielo si mosse la volontà di chiamarlo
- con il possessivo a cui egli apparteneva.
- Fu chiamato Domenico: e io ne parlo
- così come l’agricoltore che Cristo
- scelse per il suo orto come aiutante.
- Apparve bene come discepolo e servitore
- di Cristo: perché il primo amore che si manifestò
- in lui fu per il primo consiglio dato da Cristo.
- Molte volte venne trovato a terra
- dalla sua nutrice in silenzio e sveglio,
- come se dicesse: ‘Io son nato per questo’.
- Oh suo padre davvero Felice!
- Oh sua madre veramente Giovanna,
- se si interpreta correttamente il suo nome!
- Non per il mondo, per cui ora si affanna
- negli studi di diritto o di medicina,
- ma per amore della vera sapienza
- in un tempo breve divenne in grande dottore;
- che si mise a proteggere la vigna
- che in poco tempo si secca, se il vignaiolo non è bravo.
- E alla sede pontificia, che prima fu più benigna
- con i poveri rispetto a ora, non per causa sua,
- ma del Pontefice, che si allontana dalla giustizia,
- non chiese di donare solo un terzo o la metà
- dei suoi beni, o che fosse libero il beneficio della
- rendita ecclesiastica, e nemmeno le decime, che sono dei poveri,
- ma [chiese] di poter aver la licenza di combattere
- contro il mondo pieno di eresie, in favore della
- fede da cui nacquero questi ventiquattro santi.
- Poi, con sapienza insieme a zelo,
- con l’appoggio del pontefice si mosse
- come fosse un torrente spinto da una sorgente profonda;
- ed la sua forza abbattè gli sterpi eretici,
- in maniera più determinata qui
- dove le resistenze erano di maggior forza.
- Da lui nacquero diversi fiumiciattoli
- che irrigano l’orto cattolico,
- così che i suoi alberelli rimangano floridi.
- Se questi fu una delle due ruote della biga
- con cui la Chiesa si difese
- e vinse la sua lotta interna,
- ti dovrebbe essere chiara l’eccellenza
- di San Francesco, di cui San Tommaso
- prima che giungessi parlò così bene.
- Ma il solco fatto dalla parte esterna
- del cerchio della ruota, è abbandonato,
- così che c’è muffa dove c’era tartaro.
- I suoi frati, che inizialmente seguirono
- le orme del suo fondatore, sono talmente girati,
- che vanno in senso contrario al loro fondatore;
- e presto si vedrà il raccolto della cattiva
- semina, quando il loglio verrà bruciato
- e non potrà entrare nell’arca.
- Dico bene, chi leggesse il nostro volume
- pagina a pagina, troverebbe ancora scritto:
- ‘Io sono quello che ero solito essere’;
- ma non sarà da Casale nè da Acquasparta
- là da dove vengono coloro che lo leggono,
- poichè uno lo rifugge, l’altro lo irrigidisce.
- Io sono Bonaventura da Bagnoregio,
- che nelle importanti cariche ricoperte
- non diedi mai importanza alle cose mondane.
- Illuminato e Agostino si trovano qui,
- che furono tra i primi scalzi poverelli
- che si fecero amici di Dio con la corda francescana.
- Ugo da San Vittore è qui con loro,
- e Pietro Mangiadore e Pietro Ispano,
- che è famoso in terra per dodici volumi;
- il profeta ebraico Natan e il metropolitano
- Crisostomo e Anselmo ed Elio Donato
- che si dedicò allo studio della grammatica.
- Rabano è qui, e mi porta luce da parte
- il calabrese abate Gioacchino
- dotato di spirito profetico.
- Ad emulare san Tommaso, che fu
- valente paladino, mi mosse la cortesia
- per Tommaso stesso e le chiare parole;
- e con me mosse questa compagnia di anime”.
1 benedetta fiamma: San Tommaso, che ha raccontato nel canto precedente la vita di San Francesco.
2 Cioè, il momento in cui Tommaso termina di parlare e quello in cui i beati riprendono il loro movimento è identico.
3 prima ch’un’altra di cerchio la chiuse: una corona di dodici beati circonda quella interna e ognuna delle nuove anime si mette in corrispondenza di quelle davanti.
4 muse: le dodici muse classiche sono il simbolo della poesia.
5 serene: le sirene, creature mitologiche metà donne e metà pesci, sono il simbolo del canto e dell’armonia.
6 paralleli e concolori: la complessa similitudine delle due circonferenze che Dante vede disegnarsi e coincidere di fronte a sé indica due caratteristiche del Paradiso dantesco: da un lato l’elevatezza stilistica in accordo con l’altezza e difficoltà della materia, dall’altro la necessità di spiegare l’ineffabile (cioè la gloria di Dio e dei beati) con immagini comprensibili per i propri lettori.
7 iube: latinismo da iubeo per “ordina, comanda”.
8 Era opinione medievale che nel momento in cui si venivano a creare due arcobaleni quello esterno fosse il riflesso di quello interno.
9 di quella vaga | ch’amor consunse come sol vapori: si parla qui di Eco, la ninfa che si innamorò di Narciso ma che, non ricambiata, si lasciò consumare dall’amore e rimase solo voce. La vicenda, riportata da Ovidio nel terzo libro delle Metamorfosi (vv. 339-510).
10 fiammeggiarsi: l’elogio di San Domenico e della sua vita santa (vv. 22-105) si apre in un tripudio di luce, che sta a rappresentare la gioia delle sfere celesti.
11 insieme a punto e a voler quetarsi: anche in questo caso il movimento delle corone è perfettamente sincronico; l’armonia è una delle qualità principali dell’operato di Dio nel Paradiso.
12 del cor de l’una del le luci nove: San Bonaventura (1217/1221-1274), francescano e biografo di San Francesco d’Assisi nella Legenda maior (1263), oltre che importante teologo medievale (soprannominato Doctor Seraphicus, in maniera speculare all’amico San Tommaso D’Aquino, detto Doctor Angelicus).
13 l’ago a la stella: l’ago della bussola che punta verso nord, quindi verso la Stella polare.
14 altro duca: Domenico di Guzmàn (1170-1221), fondatore dell’Ordine dei Domenicani. Dopo la predicazione nella Francia meridionale (nel periodo della crociata di Innocenzo III contro i catari e l’eresia albigese), fondò nel 1215 il primo nucleo del futuro ordine mendicante, la cui regola fu approvata l’anno seguente da papa Onorio III. Da lì in poi Domenico si dedicò all’attività missionaria ed alle opere di carità (nonché alle frequenti penitenze). Fu proclamato santo nel 1234.
15 Questa terzine chiarisce perchè i due santi vadano lodati insieme, in quanto entrambi hanno combattuto per lo stesso fine, cioè la salvezza ed il bene della Chiesa.
16 essercito di Cristo: sta ad indicare l’umanità redenta dal sacrificio di Cristo e che Francesco e Domenico, i due “campioni” (v. 44) della fede, devono guidare nuovamente sulla retta via.
17 riarmar: Cristo dovette sacrificare se stesso per poter riarmare il suo popolo. Si noti come la terzina sviluppi la metafora militare per sottolineare la necessità di combattere corruzione e peccato.
18 al cui fare, al cui dire: il fare è riferito a San Francesco e di dire a san Domenico.
19 Zefiro: vento di ponente, spesso detto anche Favonio, tipico segnale dell’arrivo di primavera.
20 In questi versi si spiega che il sole scende dietro al golfo di Guascogna (regione sud-occidentale della Francia vicina al confine spagnolo) e che durante il solstizio d’estate esso è più stanco in quanto quella è la giornata con più ore di luce solare dell’anno.
21 Calaroga: è il borgo spagnolo di Caleruega, vicino a Burgos (Castiglia), dove nacque San Domenico.
22 del grande scudo | in che soggiace il leone e soggioga: lo stemma del re di Castiglia (il “grande scudo”) è diviso in quattro parti, in cui si alternano una torre e un leone: in una metà il riquadro del leone è posto sopra la torre, nell’altra metà le posizioni sono invertite (come si può vedere qui: http://it.wikipedia.org/wiki/File:Escudo_de_la_Corona_de_Castilla.svg); per questo motivo si dice che il leone soggioga ma al tempo stesso è soggiogato dalla torre.
23 lei fece profeta: allusione alla leggenda per cui la madre di Domenico aveva sognato di partorire un cane di colore bianco e nero, come l’abito domenicano, che stringeva una fiaccola in bocca con cui incendiava il mondo. Il sogno prefiguratore è ripreso dalle biografie e dalle agiografie del santo domenicano.
24 a normarlo | del possessivo di cui era tutto: già nel nome del santo si prefigurava il suo destino; “Domenico” viene infatti dal latino Dominicus, che significa “di proprietà del Signore”.
25 Sempre seguendo il linguaggio figurato qui abbiamo Domenico rappresentato come un agricoltore che aiuta Cristo ad aumentare la produttività del suo orto; l’allegoria spiega che Domenico dovrà aiutare Cristo nel mantenere ed aumentare i fedeli di Dio, difendendo la Chiesa dalle eresie.
26 primo consiglio: è il primo comandamento dato da Cristo agli apostoli, cioè amore, umiltà e povertà.
27 Felice: il nome del padre di Domenico era Felice; anche qui, Dante usa l’etimologia del nome per indicare un disegno provvidenziale nella biografia del santo, il cui genitore è appunto “felice” in quanto ha generato un fedele discepolo di Dio.
28 Giovanna: la madre di Domenico è Giovanna, il cui significato è “piena di grazia di Dio”.
29 Ostiense: il riferimento è a Enrico di Susa (1210-1271), che nel 1262 divenne cardinale di Ostia. Scrisse volumi di diritto canonico, e per questa sua fama è da mettere in parallelo con il v. 4 del canto precedente (“ chi dietro a iura e chi ad amforismi”), in cui il poeta stigmatizzava le ambizioni terrene che ci fanno inseguire titoli ed onori.
30 Taddeo: riferito a Taddeo d’Alderotto (o Alderotti; 1212ca.-1295), medico bolognese tra i più eminenti del Medioevo, e seguace di Galeno ed Ippocrate. Si nota anche in questo caso si nota il parallelismo con il verso 4 del canto XI (“[...] chi ad amforismi”).
31 Sempre riprendendo la similitudine dell’orto e del suo guardiano, Domenico è come colui che vuole proteggere e curare il proprio orto affinchè non si secchi e non muoia. In questo caso il vignaiolo cattivo, che non sa compiere il proprio lavoro, è il papa che sta abbandonando il suo orto, i suoi fedeli e la Chiesa stessa. Non si deve dimenticare infatti che il XIII secolo è il periodo delle eresie e delle lotte contro gli infedeli: basti pensare ad esempio alla crociata contro gli Albigesi indetta da papa Innocenzo III nel 1208 e durata fino al 1229.
32 In queste due terzine Bonaventura spiega che Domenico non ha domandato privilegi di casta (come donare ai poveri solo parte delle sue ricchezze o godere della rendita ecclesiastica o mettere le mani sulle “decime” per i poveri), ma ha chiesto al Pontefice (“a la sedia che fu già benigna”, v. 88) solo il permesso - attraverso l’approvazione della Regola domenicana del 1216 - di combattere le eresie (vv. 95-96).
33 La determinazione del santo è paragonata alla forza impetuosa di un fiume, come le eresie sono delle sterpaglie rinsecchite che cercano, invano, di bloccare il corso del fiume.
34 quivi: in Provenza, dove sorse e si sviluppò principalmente l’eresia catara.
35 rivi: metafora per indicare i discepoli di San Domenico.
36 una rota: San Domenico.
37 biga: la Chiesa è paragonata ad un’auriga che si trova sopra una biga con due ruote, che rappresentano San Francesco e San Domenico. Come si vede, prosegue l’uso di termini tipici dell’area bellica (la “biga” è più propriamente un carro da guerra).
38 civil briga: la lotta contro gli eretici condotta all’interno della Chiesa
39 sì ch’è la muffa dov’era la gromma: Bonaventura spiega che per la corruzione della Chiesa là dove prima c’era il bene (cioè la “gromma”, ovvero il tartato che si forma nelle botti di buon vino) ora s’è sostituito il male (la “muffa”).
40 che quel dinanzi a quel di retro gitta: immagine piuttosto concettosa, con cui Bonaventura indica che i nuovi francescani camminano in direzione contraria al solco tracciato dal loro fondatore.
41 quando il loglio | si lagnerà che l’arca li sia tolta: il loglio è un’erba perenne e infestante, da separare dal grano. Qui bisogna intendere che i frati che si sono allontanati dalla retta via sono ormai delle erbe infestanti e malevole, ma che si renderanno conto di ciò nel momento in cui non potranno accedere alla beatitudine celeste.
42 nostro volume: la Regola dell’Ordine Francescano.
43 Questa terzina vuole significare che esistono sicuramente dei frati, per quanto pochi, che seguono ancora i dettami del fondatore e della sua Regola, e che non hanno modificato il loro comportamento.
44 Casal: Ubertino da Casale (1259-1330ca.), teologo francescano vicino alla corrente degli “spirituali”, che erano molto più aderenti alla Regola del fondatore e ad una sua rigida applicazione (appunto “altro la coarta”, v. 126).
45 Acquasparta: Matteo di Acquasparta (1240-1302), cardinale francescano vicino alla corrente dei conventuali, che sostenenva un’applicazione più leggera e transigente della Regola (Matteo d’Acquasparta è appunto colui che “la fugge” al v. 126).
46 Bonaventura da Bagnoregio (1217/1221-1274), entrò nell’ordine francescano tra il 1238 e il 1243 e ne divenne “generale” nel 1257; importante teologo, fu il maggior esponente della corrente mistica. Le sue opere maggiori furono l’Itinerarium mentis in Deum (assai caro a Dante, che lo usa tra le fonti per l’ideazione della Commedia) e le biografie di San Francesco, la Legenda Maior e la Legenda Minor.
47 Illuminato da Rieti e Agostino di Assisi furono tra i primi seguaci di San Francesco.
48 capestro: è la corda con cui i francescani, in segno d’umiltà si cingevano il saio in vita.
49 Ugo da San Vittore (1097ca.-1141), teologo francescano di scuola mistica.
50 Pietro Mangiadore e Pietro Spano sono autori medievali di testi, rispettivamente, di teologia e di medicina.
51 metropolitano: Giovanni Crisostomo (344/354-407) fu patriarca metropolitano di Costantinopoli dall 398, ed è considerato uno padri della chiesa greca. “Metropolitano” significa che appartiene alla diocesi principale di una provincia.
52 Anselmo d’Aosta (1033-1109), filosofo benedettino, fu uno dei più famosi teologi e filosofi medievali, celebre per la dimostrazione “a priori” e “a posteriori” dell’esistenza di Dio.
53 Il grammatico del IV secolo d.C. Elio Donato.
54 Rabano Mauro (776-856), benedettino, fu autore di opere teologiche e si dedicò all’evagelizzazione delle popolazioni germaniche.
55 Gioacchino da Fiore (1130-1202), monaco cistercense, fondatore nel 1189 del monastero di San Giovanni in Fiore, in provincia di Cosenza. Papa Celestino III approvò nel 1196 il nuovo Ordine Florense da lui fondato. Le sue posizioni misticheggianti, basate sull’interpretazione profetica del testo sacro, ebbero larga diffusione tra gli “spirituali” francescani, sebbene condannate dalla Chiesa a partire dal XIII secolo.