Con il primo canto del Paradiso, inizia l’ultima parte del viaggio ultraterreno di Dante Alighieri, che lo porterà addirittura alla contemplazione del mistero della Trinità. Il canto d’apertura svolge, come nelle cantiche precedenti, una funzione fondamentale nell'introdurre temi e stile che caratterizzerano il percorso del poeta (in accordo con la teoria della suddivisione degli stili tipica del Medioevo).
Il proemio alla terza cantica (vv. 1-36), a confronto con quello dell’Inferno (posto al secondo canto, vv. 7-9: “O muse, o alto ingegno, or m’aiutate; | o mente che scrivesti ciò ch’io vidi, | qui si parrà la tua nobilitate. ”) e del Purgatorio (Purgatorio I, vv. 1-12: “Per correr miglior acque alza le vele | omai la navicella del mio ingegno, | che lascia dietro a sé mar sì crudele; | e canterò di quel secondo regno | dove l’umano spirito si purga | e di salire al ciel diventa degno. | Ma qui la morta poesì resurga, | o sante Muse, poi che vostro sono; | e qui Calïopè alquanto surga, | seguitando il mio canto con quel suono | di cui le Piche misere sentiro | lo colpo tal, che disperar perdono”), occupa uno spazio decisamente più ampio perché Il poeta deve prepararci alla materia, ardua e dottrinariamente elevata, del nuovo regno.
- La gloria di colui che tutto move 1
- per l’universo penetra, e risplende
- in una parte più e meno altrove 2.
- Nel ciel che più de la sua luce prende 3
- fu’ io 4, e vidi cose che ridire
- né sa né può chi di là sù discende 5;
- perché appressando sé al suo disire 6,
- nostro intelletto si profonda tanto,
- che dietro la memoria non può ire.
- Veramente quant’io del regno santo
- ne la mia mente potei far tesoro,
- sarà ora materia 7 del mio canto.
- O buono Appollo, a l’ultimo lavoro
- fammi del tuo valor sì fatto vaso,
- come dimandi a dar l’amato alloro 8.
- Infino a qui l’un giogo di Parnaso
- assai mi fu; ma or con amendue 9
- m’è uopo intrar ne l’aringo 10 rimaso.
- Entra nel petto mio, e spira tue
- sì come quando Marsïa 11traesti
- de la vagina de le membra sue.
- O divina virtù, se mi ti presti
- tanto che l’ombra del beato regno
- segnata nel mio capo io manifesti,
- vedra’ mi al piè del tuo diletto legno
- venire, e coronarmi de le foglie
- che la materia e tu mi farai degno 12.
- Sì rade volte, padre, se ne coglie
- per trïunfare o cesare o poeta,
- colpa e vergogna de l’umane voglie,
- che parturir letizia in su la lieta
- delfica deïtà dovria la fronda
- peneia, quando alcun di sé asseta 13.
- Poca favilla gran fiamma seconda:
- forse di retro a me con miglior voci
- si pregherà perché Cirra 14 risponda.
- Surge ai mortali per diverse foci
- la lucerna del mondo; ma da quella
- che quattro cerchi giugne con tre croci,
- con miglior corso e con migliore stella
- esce congiunta, e la mondana cera
- più a suo modo tempera e suggella 15.
- Fatto avea di là mane e di qua sera
- tal foce, e quasi tutto era là bianco
- quello emisperio 16, e l’altra parte nera,
- quando Beatrice in sul sinistro fianco
- vidi rivolta e riguardar nel sole:
- aguglia sì non li s’affisse unquanco 17.
- E sì come secondo raggio suole
- uscir del primo e risalire in suso 18,
- pur come pelegrin 19 che tornar vuole,
- così de l’atto suo, per li occhi infuso
- ne l’imagine mia, il mio si fece,
- e fissi li occhi al sole oltre nostr’uso.
- Molto è licito là, che qui non lece
- a le nostre virtù, mercé del loco
- fatto per proprio de l’umana spece.
- Io nol soffersi molto, né sì poco,
- ch’io nol vedessi sfavillar dintorno,
- com’ ferro che bogliente esce del foco;
- e di sùbito parve giorno a giorno
- essere aggiunto, come quei che puote
- avesse il ciel d’un altro sole addorno.
- Beatrice tutta ne l’etterne rote
- fissa con li occhi stava; e io in lei
- le luci fissi, di là sù rimote.
- Nel suo aspetto 20tal dentro mi fei,
- qual si fé Glauco 21 nel gustar de l’erba
- che ’l fé consorto in mar de li altri dèi.
- Trasumanar 22 significar per verba
- non si poria; però l'essemplo 23 basti
- a cui esperïenza grazia serba.
- S’i’ era sol di me quel che creasti
- novellamente 24, amor che ’l ciel governi,
- tu ’l sai, che col tuo lume mi levasti.
- Quando la rota che tu sempiterni 25
- desiderato, a sé mi fece atteso
- con l’armonia che temperi e discerni,
- parvemi tanto allor del cielo acceso
- de la fiamma del sol, che pioggia o fiume
- lago non fece alcun tanto disteso.
- La novità del suono e ’l grande lume
- di lor cagion m’accesero un disio
- mai non sentito di cotanto acume.
- Ond’ella, che vedea me sì com’io 26,
- a quïetarmi l’animo commosso 27,
- pria ch’io a dimandar, la bocca aprio
- e cominciò: "Tu stesso ti fai grosso
- col falso imaginar, sì che non vedi
- ciò che vedresti se l’avessi scosso 28.
- Tu non se’ in terra, sì come tu credi;
- ma folgore, fuggendo il proprio sito,
- non corse come tu ch’ad esso riedi" 29.
- S’io fui del primo dubbio disvestito
- per le sorrise parolette brevi,
- dentro ad un nuovo più fu’ inretito 30
- e dissi: "Già contento requïevi 31
- di grande ammirazion; ma ora ammiro
- com’io trascenda questi corpi levi".
- Ond’ella, appresso d’un pïo 32 sospiro,
- li occhi drizzò ver’ me con quel sembiante
- che madre fa sovra figlio deliro,
- e cominciò: "Le cose tutte quante
- hanno ordine tra loro, e questo è forma
- che l’universo a Dio fa simigliante 33.
- Qui veggion l’alte creature 34 l’orma
- de l’etterno valore, il qual è fine
- al quale è fatta la toccata norma.
- Ne l’ordine ch’io dico sono accline
- tutte nature, per diverse sorti,
- più al principio loro e men vicine;
- onde si muovono a diversi porti
- per lo gran mar de l’essere, e ciascuna
- con istinto a lei dato che la porti.
- Questi ne porta il foco inver’ la luna;
- questi ne’ cor mortali è permotore;
- questi la terra in sé stringe e aduna;
- né pur le creature che son fore
- d’intelligenza quest’arco saetta,
- ma quelle c’hanno intelletto e amore 35.
- La provedenza, che cotanto assetta,
- del suo lume fa ’l ciel sempre quïeto
- nel qual si volge quel c’ha maggior fretta 36;
- e ora lì, come a sito decreto,
- cen porta la virtù di quella corda
- che ciò che scocca drizza in segno lieto 37.
- Vero è che, come forma non s’accorda
- molte fïate a l’intenzion de l’arte,
- perch’a risponder la materia è sorda,
- così da questo corso 38 si diparte
- talor la creatura, c’ha podere
- di piegar, così pinta, in altra parte;
- e sì come veder si può cadere
- foco di nube, sì l’impeto primo
- l’atterra torto da falso piacere 39.
- Non dei più ammirar, se bene stimo,
- lo tuo salir, se non come d’un rivo
- se d’alto monte scende giuso ad imo.
- Maraviglia sarebbe in te 40 se, privo
- d’impedimento, giù ti fossi assiso,
- com’a terra quïete in foco vivo".
- Quinci rivolse inver’ lo cielo il viso.
- Lo splendore di Dio
- si diffonde e si manifesta per l’universo intero
- in vario modo ed in misura differente.
- Nel cielo in cui è presente al massimo
- la sua luce io fui, e vidi cose che sono impossibili
- a ridirsi per chi torna da lì;
- perché avvicinandoci al suo desiderio ultimo,
- il nostro intelletto si addentra così tanto [nel
- mistero] che poi non ha più la capacità di ricordare.
- Tuttavia, tutto quello che ho potuto ricordare
- con la mia mente del Paradiso,
- ora sarà la materia di questo canto.
- O buon Apollo, per il mio ultimo lavoro
- conferiscimi l’ispirazione da te richiesta
- per dare la laurea poetica.
- Fino a qui è stato sufficiente l’aiuto delle
- Muse, ma da ora ho bisogno di loro e di Apollo
- per poter entrare nel luogo che mi rimane.
- Entra nel mio petto e canta per me così come
- quando tirasti fuori dall’involucro
- della sua stessa pelle il satiro Marsia che osò sfidarti.
- O virtù divina, se tu mi concedi
- che almeno un’immagine fuggevole del Paradiso
- rimanga salda nella mia mente,
- mi vedrai venire ai piedi del tuo amato alloro
- e mi incoronerai con quelle foglie per le quali
- la materia trattata e tu mi avrete fatto degno.
- Così poche volte, o padre, si ottiene la gloria
- poetica per il trionfo di un imperatore o poeta,
- (colpa e vergogna della natura umana)
- che il fatto di questo alloro
- stimoli in qualcuno un desiderio
- dovrebbe suscitare felicità in Apollo
- Un grande incendio segue una piccola fiamma:
- forse dopo di me poeti migliori
- chiederanno l’aiuto di Apollo.
- Il sole sorge per i mortali da diversi punti
- dell’orizzonte; tuttavia, da quel luogo
- in cui i quattro cerchi formano intersecandosi tre croci,
- il sole esce con un corso e sotto una costellazione
- migliori, e modella e forma la materia
- del mondo in modo più simile a sé.
- Era ormai giorno nel Purgatorio e sera
- sulla Terra, ed era tutto illuminato
- il monte del Purgatorio, e buio l’emisfero boreale,
- quando vidi Beatrice rivolta verso oriente
- ad osservare la luce del sole:
- mai un’aquila fissò così intensamente il sole.
- E così come il raggio di riflessione è solito
- uscire da quello di incidenza e salire in alto,
- come un pellegrino che vuole tornare,
- così in seguito al suo atto, messo dagli occhi
- nella mia facoltà immaginativa, così feci,
- e guardai il sole oltre il limite umano.
- Molto è concesso nel Paradiso terreste,
- che sulla Terra non è concesso ai nostri sensi,
- grazie al luogo creato per la specie umana.
- Io non sopportai a lungo (ma neanche poco)
- il veder tutto intorno faville luccicanti,
- come un ferro incandescente che esce dalla fornce;
- e subito sembrò che la luce del giorno fosse
- raddoppiata, come se Dio
- avesse posto un altro sole nel cielo.
- Beatrice fissava imperterrita le sfere celesti;
- ed io avevo i miei occhi fissi
- in lei, distolti dalla vista del sole.
- Guardandola divenni come Glauco
- che assaggiando l’erba iniziò a dividere
- il destino degli altri dei marini.
- Non è possibile spiegare con parole
- la trasumanazione; basti l’esempio
- a cui la grazia riserba l’esperienza.
- Se io ero [in quel momento] solo l’anima
- che creasti per ultima, o Dio, tu lo sai,
- che mi elevasti al cielo solo per tua grazia.
- Quando il movimento dei cieli di cui tu
- eterni il desiderio di ricongiunzione,
- prese la mia attenzione per l’armonia che tu controlli,
- mi sembrò allora il cielo così tanto illuminato
- dalla luce del sole, che la pioggia o un fiume
- non crearono mai un lago così ampio.
- La novità dell’armonia e la grande luce
- mi accesero il desiderio di comprendere
- [la loro natura] come mai avevo sentito prima.
- Perciò Beatrice, che mi leggeva dentro
- come me stesso, per calmare il mio animo turbato,
- prima che io chiedesse, aprì la bocca
- ed iniziò: “Tu stesso ti generi il dubbio
- a causa di una ipotesi erronea, così non vedi
- ciò che vedresti se avessi abbandonato tale convinzione.
- Tu non sei sulla Terra, così come credi tu;
- ma il fulmine, precipitando a terra,
- non è mai stato così veloce come tu sali al cielo”.
- Se io fui liberato dal primo dubbio
- dopo queste poche parole dette sorridendo,
- purtroppo da un altro fui preso come in una rete
- e dissi: “Già contento mi calmai
- per il grande stupore, ma ora mi meraviglio
- sul perchè io salga tra questi corpi lievi”.
- perciò lei, dopo un sospiro pietoso,
- mi guardò con lo stesso atteggiamento
- che ha la madre nei confronti del figlio delirante,
- e cominciò: “Tutte le cose hanno un ordine
- tra di loro, e questo è il principio
- che rende l’universo somigliante a Dio.
- Qui le creature superiori riconoscono
- l’operato divino, che è il fine per cui si è dato
- l’ordine di cui si è appena parlato.
- A quest’ordine partecipano tutte le cose
- create, che, secondo la loro inclinazione,
- sono più o meno vicine a Dio, loro principio;
- per cui [tutte le cose create] si muovono verso
- differenti fini per il gran scenario dell’universo,
- e ciascuna è diretta dal proprio specifico istinto.
- Questo ordine è ciò che porta il fuoco verso
- il cielo della luna, è principio motore
- negli esseri irrazionali, è la forza di gravità;
- ma l’istinto non influenza soltanto le creature
- che sono prive di intelligenza,
- ma anche quelle dotate di intelletto e volontà.
- La Provvidenza, che regola l’universo,
- rende quieto e pago con la sua luce l’Empireo
- in cui ruota la sfera più veloce;
- ed ora nell’Empireo, come nel posto stabilito,
- ci porta la forza di quella corda dell’arco
- che dirige la freccia verso il suo bersaglio.
- è vero che, come la forma non corrisponde
- molte volte all’idea iniziale dell’artista,
- perchè la materia non segue la sua volontà,
- così talvolta da questa via si allontana
- l’essere umano, che ha la facoltà di dirigersi
- verso il male, benché sia fatto per il bene;
- e così come si può vedere cadere
- un fulmine, così la naturale inclinazione
- spinge l’uomo a terra, sviato da falsi piaceri.
- Non devi più stupirti, se reputo bene,
- della tua salita, se non quanto di un fiume
- che da un monte scende a valle.
- Sarebbe un miracolo in riferimento a te
- se, privo di ogni impedimento, tu fossi rimasto
- sulla terra, come se sulla terra una fiamma fosse ferma”.
- E così rivolse gli occhi al cielo.
1 colui che tutto move: tipica perifrasi per indicare Dio secondo i principi della filosofia aristotelica, in cui il creatore coincide con il motore immobile; secondo una voluta simmetria, le parole che aprono il Paradiso sono quasi identiche a quelle che lo chiudono (Paradiso XXXIII, v. 145, dove c’è un’altra perifrasi per indicare Dio: “l’amor che move il sole e le altre stelle”).
2 in una parte più e meno altrove: Dante si riferisce al concetto teologico per cui la luce di Dio si diffonde secondo la capacità di ogni persona e di ogni oggetto di accoglierla. È un concetto che deriva da San Tommaso, auctoritas tra le principali di Dante, e che ritroviamo anche nel Convivio e nel De vulgari eloquentia.
3 Nel ciel che più de la sua luce prende: è l’Empireo, che nella cosmologia medievale e della Commedia ospita i beati.
4 fu’io: posizione di rilievo del pronome personale soggetto.
5 e vidi cose che ridire | né sa né può chi di là sù discende: per Dante è impossibile riferire esattamente quanto visto per la deficienza della memoria umana rispetto alla potenza divina.
6 al suo desire: il desiderio ultimo dell’intelletto è ovviamente Dio.
7 materia: argomento del canto poetico. Secondo la critica dantesca, vi è qui una sottile distinzione: Dante dichiara che è ineffabile, e cioè non narrabile, ciò che ha contemplato nell’Empireo (ovvero, Dio), ma dice che può dire ciò che ha visto nei nove cieli che ha attraversato prima di giungere là.
8 fammi del tuo valor sì fatto vaso, | come dimandi a dar l’amato allor: parafrasi letterale: “dammi un vaso colmo del tuo valore poetico, così come lo richiedi per poter dare l’alloro da te tanto amato”.
9 Per i poeti classici il Parnaso era il simbolo della poesia mentre l’Elicona era sacro alle Muse; per una sovrapposizione di età medievale ciò che il poeta vuole dire con questi versi è che per poter trattare questa materia ancora più alta avrà bisogno dell’aiuto non solo delle Muse (come nei proemi di Inferno e Purgatorio), ma anche di Apollo stesso.
10 aringo: termine germanico che indica il territorio, il campo di battaglia. Si tratta insomma di un immagine per sottolineare la difficoltà dell’impresa poetica.
11 Marsia: si può notare il parallelismo tra questo passo e il proemio del Purgatorio, dove si ricordava la punizione delle Piche ad opera delle Muse (Purgatorio I, vv. 10-12). Qui, sempre come esempio si cita lo scorticamento di Marsia ad opera di Apollo, dopo una gara musicale. La fonte sono le Metamorfosi di Ovidio.
12 Dante chiarisce in questa terzina che l’altezza stilistica e concettuale del Paradiso dovrebbero, secondo lui, permettergli di fregiarsi della corona d’alloro destinata ai grandi poeti.
13 Il ragionamento di Dante è qui complesso (vv. 28-33): dato che tanto raramente si ottiene la gloria poetica per il trionfo di un imperatore o di un poeta - poiché la natura umana non ambisce più alla gloria (v. 30) - già solo il fatto che l’alloro (“fronda peneia”, dal nome del fiume Peneo che generò Dafne, la ninfa tramutata nella pianta da Apollo) abbia suscitato in lui questo desiderio dovrebbe portare un sorriso sul volto di Apollo (che in tal senso dovrebbe garantirgli il proprio aiuto nella difficile impresa).
14 Cirra: Cirra era un città della Focide, sul golfo di Corinto, legata quindi a Delfi ed identificata per antonomasia con Apollo stesso.
15 In queste due terzine Dante vuole specificare il periodo del suo viaggio ultramondano: ci troviamo nell’equinozio di primavera, momento in cui il sole entra nella costellazione di Ariete. La terzina successiva specifica anche l’ora del giorno, che dovrebbe essere quella di mezzogiorno.
16 quello emisferio: l’emisfero australe in cui si erge il monte del Purgatorio.
17 aguglia sì non li s’affisse unquanco: nell’età classica e per tutto il Medioevo si diceva che l’aquila abituasse i suoi piccoli a fissare intensamente il sole.
18 Secondo i termine della fisica moderna.
19 pelegrin: il paragone può essere riferito o al falco pellegrino o al pellegrino che vuole tornare a casa proprio essendo lontano da essa.
20 aspetto: dal latino aspicere con valore attivo; quindi “nel guardarla, osservandola”.
21 Glauco: Dante spiega la trasumanazione attraverso un passo di Ovidio (Metamorfosi, XIII, 898-968) in cui si racconta il mito di Glauco, pescatore della Beozia. Egli si accorse che alcuni pesci, dopo essere stati pescati, riprendevano vigore e tornavano in vita, assaggiando una determinata erba; decise quindi di provarla e si mutò in una divinità marina.
22 Trasumanar: ovvero, l’esperienza che Dante sta provando di uscire dai limiti della Ragione; sarà un tema costante per tutta la cantica.
23 essemplo: cioè, sia sufficiente l’esempio al lettore cristiano per poter intendere la trasformazione e l’elevazione spirituale avvenuta.
24 quel che creati novellamente: cioè l’anima razionale, che secondo le convinzioni medievali viene creata per ultima da Dio.
25 sempiterni: il verbo indica l’atto di Dio che rende eterno il desiderio della “rota” di ricongiungersi a lui; i cieli hanno dunque in Dio la “causa finale” - secondo i termini della filosofia aristotelica - del loro movimento. Fonte di questi versi sul movimento e l’armonia dei cieli è il Somnium Scipionis di Cicerone, nel commento di Macrobio.
26 che vedea me sì com’io: Beatrice ha la capacità di leggere nel pensiero di Dante e per questo anticipa la risposta senza che lui ponga la domanda.
27 commosso: nel senso più forte di “turbato, agitato”.
28 Il significato delle parole di Beatrice è insomma che Dante sbaglia a ragionare “col falso imaginar” (ovvero come se fosse ancora sulla Terra), e deve invece capire di trovarsi in un regno con leggi sue proprie.
29 folgore: il paragone è tra la velocità del fulmine che lascia la sfera del fuoco per cadere sulla terra e la velocità con la quale Dante è salito al Paradiso, luogo naturale e sede dell’anima. Si capisce l’immagine se si considera che, nel sistema medievale, il fulmine abbandona la sfera del fuoco (che sta tra la Terra e i nove cieli) abbandonando il proprio luogo naturale, mentre l’anima di Dante sta tornando dove le compete (il regno di Dio).
30 inretito: “posto dentro una rete”, da leggere in opposizione a “disvestito” (v. 94).
31 requievi: Dante mantiene la forma latina.
32 pio: segno di pietà per la condizione umana, in cui contempo si può notare una punta di umanità nei confronti di Dante da parte di Beatrice.
33 simigliante: secondo san Tommaso (Summa Theologiae, I XLVII 3) la forma, da cui si comprende l’ordine delle cose, è il principio che rende l’universo simile a Dio.
34 alte creature: gli uomini e gli angeli, cioè gli esseri razionali.
35 c’hanno intelletto e amore: si tratta sempre degli angeli e degli uomini, come al v. 106 le “alte creature”.
36 quel c’ha maggior fretta: è il Primo Mobile, la sfera celeste più veloce che trasmette il moto alle altre sfere.
37 Questa terzina in cui è presente la metafora dell’arco vuole significare che dall’Empireo (cioè, da Dio) ci deriva l’istinto che guida ogni creatura dell’universo verso il giusto soddisfacimento dei suoi fini.
38 da questo corso: la via dell’inclinazione naturale.
39 In questa terzina Dante vuole mettere in luce come possano esistere delle eccezioni ai principi divini; infatti come il fulmine scende dalle nuvole abbandonando la sfera naturale del fuoco, così l’uomo, pur indirizzato verso il bene per atto di creazione, può essere traviato e volto verso il male (“falso piacere”).
40 in te: nei tuoi riguardi, in merito a te stesso.