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Dante e lo stile comico nel Medioevo

Parafrasi Analisi Lo stile "comico" nel Medioevo

Quando si utilizza il termine “comico” in ambito medievale, non dobbiamo pensare che abbia lo stesso significato con cui viene utilizzato oggi comunemente. Innanzitutto bisogna aver chiara la cosiddetta teoria degli stili: questa è, appunto, una teoria codificata in epoca classica, in cui veniva stabilita l’esistenza di tre stili rispettivamente corrispondenti alla materia trattata. Gli stili identificati sono i seguenti: sublime o grave; medio o elegiaco; comico o umile. Lo stile umile, detto anche comico, (cioè dimesso, semplice) è il più basso dei tre livelli stilistici; le sue caratteristiche sono l’adozione di termini ed espressioni del linguaggio comune e lo scarso grado di elaborazione stilistica (od ornamentazione, dal latino ornatus, “bellezza, eleganza dell’espressione”); esso si propone infatti di informare (docēre, in latino) e di dimostrare (probāre). Con lo stile medio, o elegiaco, si vuole essenzialmente suscitare piacere (delectāre); esso è quindi piacevolmente ornato, ma senza il grado di elaborazione artistica propria dello stile sublime. Infine, lo stile sublime è il più elevato dei tre livelli stilistici; persegue l’intento di suscitare forti emozioni (movēre) ed è caratterizzato da un alto grado stilistico, e in particolar modo dall’abbondanza di figure retoriche.

 

Questa distinzione giungerà fino al Medioevo, inizialmente riguardando solo il rapporto tra la forma ed il genere letterario, per poi invece ampliarsi ad altri ambiti di interesse, come ad esempio il livello sociale dei personaggi. Riprendiamo qui di seguito le parole di un importante studioso italiano, Cesare Segre, che ci dice che:

 

Non ci si fermava qui: nella famosa Rota Virgilii si può osservare l’esemplificazione di una corrispondenza fra i tre stili, i tipi di personaggi, i nomi propri, gli animali, gli strumenti, la residenza e le piante che a loro si possono più opportunamente attribuire. La rota ha come punti di riferimento le Bucoliche, le Georgiche e l’Eneide, assunti come modelli dei tre generi in cui si realizzano i tre stili.

Rappresentando tutto ciò graficamente nella famosa Rota Virgilii:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ma concentriamoci adesso sul primo stile che abbiamo citato in precedenza: lo stile comico, o umile. Come si è detto, questo stile privilegia un linguaggio basso e popolare, racconta situazioni quotidiane e preferisce, come forma metrica, il sonetto; il pubblico di riferimento, più ampio, comprende anche i ceti borghesi e artigiani. Tuttavia, il “comico” medievale aveva un influsso ben più ampio ed esteso di quanto si potrebbe oggi immaginare: si pensi ad esempio al carnevale, festa popolare sopravvissuta sino ad oggi, momento in cui ognuno era libero di essere altro da quello che era, di mascherarsi, di travestirsi e di rendersi perfettamente irriconoscibile ed aver quindi anche la possibilità di fare ciò che nella vita quotidiana non gli era consentito. Una festa simile era la fête des folles, la festa dei folli, occasione in cui era concesso ogni cosa, ed era caratterizzata dal ribaltamento sociale e dalla possibilità di manifestare apertamente la propria opinione, le proprie idee in merito al potere, al clero, alla società e alla vita. Il comico e il ridere in queste occasioni e di queste situazioni era quindi un riso dissacrante, moralizzatore ed al contempo anche didattico. Il riso comico scaturisce nel momento in cui, appunto, si ride di ciò che non si vuole diventare o di ciò da cui ci si vuole tenere lontani.

 

Il concetto di stile comico non è quindi legato, come potrebbe far pensare il termine, al semplice far ridere, al contrario; a riprova di ciò, in Toscana nel XIII° secolo si diffuse una poesia comica in opposizione a quella dei poeti Siciliani e degli Stilnovisti, con l’obiettivo di crearne il rovescio e la dissacrante parodia. Il “comico” di questa produzione è allora da intendersi come una opposizione stilistica ricercata e voluta e non solo come una poesia ingenua ed illetterata (o semplicemente divertente). Il riso ovviamente poteva scaturire dalla lettura o dall’ascolto dei testi lirici, ma il suo fine era quello di creare una distanza, uno straniamento tra il lettore o ascoltatore e la situazione presentata, così che servisse da monito per un comportamento futuro. Il poeta non vuole affatto abbassare il proprio stile rendendolo quindi totalmente piano e di immediata comprensione; anzi talvolta esistono dei testi che, nonostante appartengano al genere “comico-basso”, sono di notevole difficoltà ermeneutica. Tra gli esponenti di questa corrente bisogna ricordare Rustico Filippi, fiorentino, Cecco Angiolieri, senese, e Folgòre da San Gimigniano, originario dell’omonima città. Oltre a questi poeti, non possiamo non prendere in considerazione la vena comica presente nella produzione artistica di Dante.

 

Si pensi ad esempio alla tenzone” tra l’Alighieri e Forese Donati, scritta probabilmente tra il 1293 e il 1296. Parlando di “tenzone” si intende un dibattito tra due poeti su argomenti vari in cui ognuno prende una posizione e la difende; una delle caratteristiche principali è che i due autori utilizzano lo stesso genere poetico e lo stesso schema metrico. Talvolta è anche possibile riscontrare identità di schema rimico. La tenzone fra Dante e Forese è costituita dallo scambio di sei sonetti, tre a testa, e l’inizio spetta a Dante; si noti, in questo caso, l’utilizzo sia dello schema metrico sia di quello rimico non costante nella tenzone (particolare questo alquanto originale per il genere):

 

Dante a Forese: Chi udisse tossir la malfatata (ABAB ABAB CDE CDE)

Forese a Dante: L’altra notte mi venne una gran tosse (ABAB ABAB CDE ECD)

Dante a Forese: Ben ti faranno il nodo Salamone (ABAB ABAB CDE CDE)

Forese a Dante: Va’ rivesti San Gal prima che dichi (ABAB ABAB CDE CDE)

Dante a Forese: Bicci novel, figliuol di non so cui (ABAB ABAB CDC DCD)

Forese a Dante: Ben so che fosti figliuol d’Alaghieri (ABAB ABAB CDC DCD)

In questo scambio di sonetti i due autori si accusano vicendevolmente di differenti colpe, quali l’insufficienza maritale e la povertà nel primo, a cui Forese risponde accusando Dante di aver recato torto al padre defunto; successivamente sono presenti le accuse di ghiottoneria, di povertà e di furto a carico di Forese, che ribatte con la forte povertà di Dante; infine gli ultimi due sonetti presentano il tema della dubbia legittimità di nascita del Donati e, al contrario, della certezza di quella di Dante, ma anche della stessa incapacità di compiere una vendetta per conto del padre.
Lo stile di questi componimenti è sicuramente quello comico; in questo caso vediamo come i due autori utilizzino uno stile basso, ma estremamente ricercato, allusivo ed estremamente articolato. I sonetti di Dante sono caratterizzati da una grande competenza metrica, stilistica e retorica, con chiare allusioni al trobar clus provenzale, al contrario quelli di Forese presentano una praticità ed una immediatezza maggiore. Come detto in precedenza, i poeti vogliono cercare di muovere il lettore al riso attraverso questo stile basso, senza però cadere nella semplicità e nella facilità di comprensione di un testo composto da un illetterato o da un poeta senza una adeguata preparazione e competenza retorica, formale, compositiva e argomentativa. Si può notare infatti come nei sei sonetti la difficoltà ermeneutica sia equivalente tra le due risposte, ma crescente da una coppia di sonetti all’altra: la complessità del discorso e la strutturazione del periodo presenta una maggiore articolazione compositiva, ma in un arco di versi minore negli ultimi sonetti rispetto ai primi due.

 

Appendice:

 

Trobar leu e trobar clus = rispettivamente, comporre in maniera piana, semplice e comporre in maniera chiusa, difficile, ermetica. La distinzione tra i due stili poetici in ambito provenzale era un fattore molto sentito e persino esplicitato dagli stessi trovatori così che troviamo nei testi la dichiarazione di appartenenza ad un gruppo piuttosto che all’altro, con anche il successivo attacco a coloro i quali poetavano seguendo l’altro stile. Il trobar leu è uno stile improntato sulla chiarezza espressiva, sulla facilità di comprensione e sulla mancanza di artifici retorici che potrebbero rendere poco fruibile il testo, possiamo citare Jaufré Rudel e Bernart de Ventadorn. D’altra parte il trobar clus è lo stile in cui la ricercatezza, l’allusività e la difficoltà nella decodifica del testo sono in punti fondamentali; uno degli esponenti maggiori è Arnaut Daniel, che Dante incontrerà nel Purgatorio (XXVI, 115-148).

 

Bibliografia essenziale:

 

Testi:

 

Dante Alighieri, Rime - Edizioni a cura di:

 

Rime, a cura di G. Contini, Torino, Einaudi, 1939.

Rime della «Vita nuova» e della giovinezza, a cura di M. Barbi e F. Maggini, Firenze, Le Monnier, 1956.

Rime, a cura di D. De Robertis, Firenze, SISMEL Edizioni del Galluzzo, 2005.

Rime, in Dante Alighieri, Opere, edizione diretta da M. Santagata, volume I, a cura di C. Giunta, G. Gorni e M. Tavoni, Milano, Mondadori (Meridiani), 2011.

 

Studi:

 

M. Bachtin, L’opera de Rabelais e la cultura popolare. Riso, carnevale e festa nella tradizione medievale e rinascimentale (1965), Torino, Einaudi, 2001.

E. Banfi, Sei lezioni sul linguaggio comico, Trento, Università degli Studi di Trento, 1995.

H. Bergson, Il riso. Saggio sul significato del comico, (1900), Bari, Laterza, 1991 (quinta ristampa).

J. Le Goff, I riti, il tempo, il riso. Cinque saggi di storia medievale, Bari, Laterza, 2001.

V. Propp, Comicità e riso. Letteratura e vita quotidiana, Torino, Einaudi, 1988.

M. de Riquer, Leggere i trovatori, a cura di M. Bonafin, Macerata, EUM, 2010.

C. Segre, Avviamento all’analisi del testo letterario, Torino, Einaudi, 1985, pp. 310-311.