Questa canzone, per il suo forte valore programmatico, è stata ritenuta da alcuni la prima delle Rime petrose (tutte scritte dopo il 1296, tra la morte di Beatrice e l’esilio) in ordine di composizione. Fin dal primo verso il poeta tiene a precisare che al mutamento tematico corrisponde un mutamento stilistico; qui l’asprezza viene perseguita tanto nel contenuto quanto nello stile.
Metro: Canzone di sei stanze di tredici versi ciascuna, endecasillabi e settenari, con struttura in fronte e sirma: ABbCABbC CDdEE), alle quali si va ad aggiungere un congedo di cinque versi, che riprende lo schema metrico e rimico della sirma (CDdEE). La fronte presenta piedi identici e la sirma è intrecciata alla fronte, con la ripresa del verso C.
- Così nel mio parlar voglio esser aspro
- com’è ne li atti questa bella petra,
- la quale ognora impetra 1
- maggior durezza e più natura cruda,
- e veste sua persona d’un dïaspro 2
- tal che per lui, o perch’ella s’arretra,
- non esce di faretra
- saetta che già mai la colga ignuda;
- ed ella ancide, e non val ch’om 3 si chiuda
- né si dilunghi da’ colpi mortali,
- che, com’avesser ali,
- giungono altrui 4 e spezzan ciascun’arme;
- sì ch’io non so da lei né posso atarme.
- Non trovo scudo ch’ella non mi spezzi 5
- né loco che dal suo viso m’asconda;
- ché, come fior di fronda,
- così de la mia mente tien la cima:
- cotanto del mio mal par che si prezzi,
- quanto legno 6 di mar che non lieva onda;
- e ’l peso che m’affonda
- è tal che non potrebbe adequar rima 7.
- Ahi angosciosa e dispietata lima 8
- che sordamente la mia vita scemi,
- perché non ti ritemi 9
- sì di rodermi il core a scorza a scorza,
- com’io di dire altrui chi ti dà forza?
- Ché più mi triema il cor qualora io penso
- di lei in parte ov’altri li occhi induca,
- per tema non 10 traluca
- lo mio penser di fuor sì che si scopra,
- ch’io non fo de la morte, che ogni senso
- co li denti d’Amor già mi manduca 11;
- ciò è che ’l pensier bruca
- la lor vertù sì che n’allenta l’opra.
- E’ m’ha percosso in terra, e stammi sopra
- con quella spada ond’elli ancise Dido 12,
- Amore, a cui io grido
- merzé chiamando, e umilmente il priego;
- ed el d’ogni merzé par messo al niego.
- Egli alza ad ora ad or la mano, e sfida
- la debole mia vita, esto perverso,
- che disteso a riverso mi tiene in terra
- d’ogni guizzo stanco:
- allor mi surgon ne la mente strida;
- e ’l sangue, ch’è per le vene disperso,
- fuggendo corre verso
- lo cor, che ’l chiama; ond’io rimango bianco 13.
- Elli mi fiede sotto il braccio manco 14
- sì forte, che ’l dolor nel cor rimbalza:
- allor dico: "S’elli alza
- un’altra volta, Morte m’avrà chiuso
- prima che ’l colpo sia disceso giuso".
- Così vedess’io lui fender per mezzo
- lo core a la crudele che ’l mio squatra;
- poi non mi sarebb’atra
- la morte, ov’io per sua bellezza corro:
- ché tanto dà nel sol quanto nel rezzo
- questa scherana micidiale e latra 15.
- Omè, perché non latra
- per me, com’io per lei, nel caldo borro 16?
- ché tosto griderei: "Io vi soccorro".
- e fare’l volentier, sì come quelli
- che ne’ biondi capelli
- ch’Amor per consumarmi increspa e dora
- metterei mano, e piacere’le allora.
- S’io avessi le belle trecce prese,
- che fatte son per me scudiscio e ferza 17,
- pigliandole anzi terza 18,
- con esse passerei vespero e squille:
- e non sarei pietoso né cortese,
- anzi farei com’orso quando scherza 19;
- e se Amor me ne sferza,
- io mi vendicherei di più di mille.
- Ancor ne li occhi, ond’escon le faville
- che m’infiammano il cor, ch’io porto anciso,
- guarderei presso e fiso,
- per vendicar lo fuggir che mi face;
- e poi le renderei con amor pace 20.
- Canzon 21, vattene dritto a quella donna
- che m’ha ferito il core e che m’invola
- quello ond’io ho più gola,
- e dàlle per lo cor d’una saetta;
- ché bell’onor s’acquista in far vendetta.
- Nel comporre i miei versi voglio usare uno stile aspro,
- quale aspra negli atteggiamenti è questa bella donna restìa,
- la quale chiude sempre più in sé, come una pietra,
- il suo temperamento duro e insensibile,
- e indossa una pietra preziosa,
- che ha proprietà tali che, per sua virtù o perché la donna
- arretra, non viene mai scoccata freccia
- alcuna da faretra che la colga indifesa e vulnerabile;
- al contrario lei colpisce a morte, e non serve proteggersi
- o scansare i suoi colpi mortali,
- i quali, come se volassero,
- raggiungono il loro obiettivo e infrangono ogni corazza;
- al punto tale che io non so né posso difendermi.
- Non trovo scudo alcuno che lei non spezzi
- né luogo che mi ripari dal suo sguardo;
- poiché, come il fiore in cima allo stelo,
- così lei occupa la cima dei miei pensieri:
- tanto sembra preoccuparsi della mia sofferenza,
- quanto una nave si preoccupa di un mare tranquillo;
- e il peso che mi affligge è tale che
- il mio verso non sarebbe in grado di eguagliarlo.
- Ahi, angosciosa e spietata lima,
- che pur senza farti sentire consumi la mia vita,
- perché non mostri ritegno nel consumare
- pezzo per pezzo il mio cuore, come ne mostro io
- nel fare ad altri il nome di chi ti infonde forza?
- Dal momento in cui il mio cuore s’intimorisce quando io
- penso a lei in un luogo dove altri mi vedano,
- per il timore che traspaia
- il mio pensiero amoroso e venga così scoperto,
- più di quanto io non abbia paura della morte,
- poiché Amore con i suoi denti divora ogni mia facoltà sensitiva;
- ciò significa che la potenza dei denti corrode
- il mio intelletto così da ridurne le capacità.
- Egli [Amore] mi ha sbattuto a terra, e se ne sta
- sopra di me con quella spada con la quale uccise
- Didone, Amore contro il quale io grido invocando
- pietà, e umilmente lo imploro;
- eppure egli pare deciso a negarmela.
- Amore alza di tanto in tanto la mano, e minaccia
- me ridotto in fin di vita, questo crudele,
- che mi tiene a terra supino,
- incapace di ogni movimento:
- allora mi sovvengono alla mente le grida;
- mentre il sangue, che scorre nelle vene,
- fuggendo corre verso
- il cuore, che lo chiama a sé; per la qual cosa io impallidisco.
- Egli mi ferisce sotto il braccio sinistro così forte,
- che il dolore ha un contraccolpo sul cuore:
- allora mi dico: “Se costui infierisce
- di nuovo, la Morte non mi lascerà scampo
- ancor prima che il colpo scenda giù”.
- Potessi io vedere Amore colpire allo stesso modo
- in mezzo al cuore questa crudele che fa a pezzi il mio!
- Non sarebbe così difficile da sopportare
- la morte, alla quale accorro per via della sua bellezza:
- poiché questa assassina violenta e subdola
- colpisce tanto al sole quanto all’ombra.
- Ahimè, perché non languisce
- per me, come io per lei, nell’abisso infuocato?
- Dal momento che subito le griderei: “Io arrivo
- in aiuto”. E lo farei di buon grado, come quello
- che metterebbe mano nei capelli biondi
- che Amore per farmi soffrire rende ricci e dorati,
- e allora le piacerebbe.
- Se io avessi afferrato le belle trecce,
- che per me sono diventate scudiscio e frusta,
- afferrandole alla mattina,
- in loro compagnia starei fino alla sera e alla notte:
- e non avrei pietà né cortesia,
- anzi farei come l’orso quando scherza;
- e se Amore con queste mi colpisse,
- io mi vendicherei con più di mille colpi.
- Anzi la guarderei da vicino e fissamente negli occhi,
- da dove escono le fiammelle che mi infiammano il cuore,
- che io mi porto dietro con tormento,
- per vendicarmi del fuggire che lei mi fa;
- e poi la perdonerei e le restituirei il mio amore.
- Canzone, va dritto verso quella donna
- che ha ferito il mio cuore e che mi sottrae
- quello che io più desidero,
- e colpiscila in mezzo al cuore con una freccia;
- giacché nel vendicarsi si acquista un grande onore.
1 impetra: “chiude in sé”, ma anche “esige”, “richiede”. La metafora della donna-petra si presta insomma da subito ad una duplice lettura, tra difficoltà di seduzione e qualità antitetiche alla tipica donna stilnovistica, ad esempio di Tanto gentile e tanto onesta pare.
2 dïaspro: pietra preziosa capace, secondo alcune credenze medievali, di rendere invulnerabile chi l’indossasse.
3 e non val ch’om: pronome impersonale comune in Dante, di origine provenzale.
4 altrui: e cioè “chiunque”; è un’altra forma impersonale.
5 La seconda stanza si apre con la metafora di ispirazione militare, con la quale si chiudeva la stanza precedente, secondo il sistema della cobla capfinida di importazione provenzale.
6 quanto legno: metonimia, in cui la materia (il “legno”) indica il referente reale (l’imbarcazione).
7 non potrebbe adequar rima: tipica delle “rime petrose” dantesche è anche questa tematizzazione della difficoltà del fare poesia, soprattutto quando si tratta di adeguarsi a realtà complesse quale quella della donna-petra.
8 angosciosa e dispietata lima: la metafora della lima dà conto della consunzione provocata dal tormento amoroso, e si pone agli antipodi rispetto al clima della lirica stilnovistica.
9 non ti ritemi: dura accusa del poeta alla donna amata, la cui spietatezza è messa a confronto con il ritegno del poeta, che decide invece di non rivelare l’identità di lei. Anche l’immagine seguente (un cuore masticato “scorza a scorza”, quasi scorticato pezzo per pezzo) è alquanto forte ed assai concreta.
10 per tema non: costruzione alla latina del verbo (timeo + non), da parafrasare senza negazione.
11 mi manduca: l’immagine fisica e corporea dei "denti d’Amor" (immaginato pertanto come una fiera) rivitalizza il tema - già stilnovistico - del logorio provocato dal tormento amoroso.
12 Dido: Amore irragionevole per eccellenza è, non a caso, quello di Didone per Enea (Dante colloca la regina carteginese anche tra i suicidi per amore del canto V dell’Inferno).
13 rimango bianco: viene ripreso, anche se con maggior evidenza icastica, il motivo dell’impallidire per amore, spiegato, secondo la fisiologia medievale, con il defluire del sangue al cuore.
14 il braccio manco: la ferita di Amore, simbolicamente, avviene in corrispondenza del cuore.
15 Costruzione vv. 56-57: “ché [poiché] questa scherana micidiale e latra tanto dà [cioè, compie il suo dovere di assassina spietata] tanto nel sol quanto nel rezzo”.
16 nel caldo borro: "borro" (o "botro") significa letteralmente voragine. La voragine infuocata per antonomasia è appunto quella infernale.
17 scudiscio e ferza: dicotomia sinonimica, per cui due termini indicano in realtà un solo referente (ovvero, la frusta cui Dante paragona le “belle trecce” dell’amata). Si nota qui come, all’interno delle “petrose”, Dante privilegi di gran lunga termini concreti ed espliciti rispetto al rarefatto lessico d’amore dello Stilnovo.
18 anzi terza: cioè “prima della terza”, che corrispondeva alle nove del mattino.
19 com’orso quando scherza: Dante fa riferimento all’espressione proverbiale, ricordata da Sacchetti: “Non ischerzare coll’orso, se non vuogli esser morso”.
20 le renderei con amor pace: al perdono della donna-petra si aggiunge, nell’immaginazione di Dante, un evidente sostrato sessualmente allusivo.
21 Nel congedo, il poeta apostrofa la canzone, ordinandole di recarsi dall’amata e colpirla con lo stesso dardo con il quale lui è stato ferito: ribadisce pertanto, anche nella chiosa finale, un atteggiamento aggressivo, radicalmente antitetico rispetto ai modi stilnovistici.