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Il "Convivio" di Dante: riassunto e commento dell'opera
Dante scrive molte rime, molti componenti isolati: sonetti, serventesi e soprattutto canzoni; scrive anche sestine, il genere più complesso e artificioso della retorica medievale che Dante decide comunque di sperimentare. Poesie che non raccoglie mai in un organismo complessivo. Tra queste forse le più singolari, le più curiose, le più emotivamente coinvolgenti sono le cosiddette rime petrose per una donna sconosciuta di cui sappiamo solamente il soprannome che Dante le rivolge: Petra. In una di queste canzoni (denominate “rime petrose” dal bello spirito ottocentesco di Vittorio Imbriani) Così nel mio parlar voglio essere aspro, Dante immagina addirittura una scena sadomasochistica con "madonna", evidentemente molto distante dai climi angelicati dello stilnovismo.
S’io avessi le belle trecce prese,
che fatte son per me scudiscio e ferza,
pigliandole anzi terza,
con esse passerei vespero e squille:
e non sarei pietoso né cortese,
anzi farei com’orso quando scherza;
e se Amor me ne sferza,
io mi vendicherei di più di mille.
Ancor ne li occhi, ond’escon le faville
che m’infiammano il cor, ch’io porto anciso,
guarderei presso e fiso,
per vendicar lo fuggir che mi face;
e poi le renderei con amor pace.
Canzon, vattene dritto a quella donna
che m’ha ferito il core e che m’invola
quello ond’io ho più gola,
e dàlle per lo cor d’una saetta,
ché bell’onor s’acquista in far vendetta.
In realtà, l’organismo testuale in cui le rime di Dante vengono raccolte in misura più ampia, a parte la precedente Vita Nova, è il Convivio: una grande opera dottrinaria che Dante immaginava addirittura in quattordici grandi trattati filosofici di cui ne restano solo quattro; la stesura si interrompe infatti al quarto trattato. Il tema è quello della filosofia: dopo la morte di Beatrice e dopo esperienze come quelle con donna Petra, Dante si dedica agli studi filosofici. I versi si alternano alla prosa che, a differenza della prosa di Vita Nova, non è narrativa o comunque autobiografica, bensì altamente dottrinaria, costruita, dal punto di vista sintattico e retorico, sui modelli della grande prosa trattatistica latina che però Dante scrive in volgare.
La filosofia a cui si ispira, che segue Dante in quest’opera e in quelle successive, è la filosofia aristotelica. Le correnti dell’aristotelismo nella Firenze del suo tempo, nell’Europa del suo tempo, perché gli studi di Dante erano a largo raggio e comprendevano letture dai maestri e sapienti di tutta Europa, avevano diverse sfumature. Quella maggioritaria era quella più ortodossa ispirata al padre della Chiesa, San Tommaso d’Aquino, e alla sua Summa Theologica; c’erano tuttavia altre tendenze che avevano interpretato il pensiero di Aristotele in direzioni diverse, come quella del filosofo arabo Averroè, molto seguito nelle cattedre parigine, che in parte veniva mediato dalla dottrina di Alberto Magno, considerata più ortodossa.
Il titolo dell’opera, Convivio, metaforizza la vivanda delle canzoni, accompagnata dal pane dei trattati filosofici che commentano le canzoni stesse. C’è un trattato introduttivo, il primo a cui non sono acclusi testi poetici, in cui Dante si sofferma sulla sua scelta della lingua volgare, una scelta tutt’altro che scontata per una trattazione, nelle intenzioni dell’autore, così alta e onnicomprensiva. Normalmente il latino, definito da Dante stesso “perpetuo e non corruttibile”, è più nobile del volgare che, invece, è non stabile e corruttibile. Dante sceglie il volgare per “liberaritate” nei confronti dei lettori e per “lo naturale amore a propria loquela”.
Negli altri tre trattati vengono commentate grandi canzoni di Dante che sono probabilmente i testi più recenti della sua produzione poetica:
Voi che ‘ntenendo il terzo ciel movete, nel cui commento Dante si sofferma sui diversi sensi possibili della lettera poetica, ovvero il senso letterale, allegorico, morale e anagogico, il quale si rifà più direttamente alle Sacre Scritture;Amor che nella mente mi ragiona, che glorifica la donna gentile; un’ulteriore incarnazione dell’eterno femminino dantesco che però, in questo caso, è allegoria della filosofia. Dolci rime d’amor ch’i’ solia, in cui Dante giustifica il suo aver abbandonato l’attività poetica, in particolare quella amorosa, a favore della riflessione filosofica e politica.Questa struttura così artificiosa e complessa viene abbandonata al quarto dei quattordici trattati previsti perché evidentemente questa unione, questa combinazione di poesia e filosofia che Dante sta sperimentando non sopporta più neanche la suddivisione “grafica” nel corpo dell’opera. D’ora in poi, per Dante la poesia e la filosofia dovranno essere tutt’uno e il risultato sarà la poesia della Commedia.