Il Convivio dantesco è per molti aspetti un’opera capitale del pensiero dell’autore della Commedia. Innanzitutto per il progetto complessivo, poi interrotto al quarto libro, da cui egli parte: un ampio trattato sul ‘cibo’ dell’intelletto, progettato scrupolosamente in un proemio iniziale più quattordici libri che spiegano e commentano ciascuno una canzone "filosofica" dello stesso Dante. Opera cronologicamente collocabile nel periodo dell’esilio (dal 1302 in là, quindi), il Convivio discute - secondo una pratica di autoesegesi già vista in altre forme nella Vita Nova - la questione della conoscenza umana, intesa come desiderio e fine di ogni uomo, obbedendo anche in questo ad una filosofia del sapere di stampo aristotelico. Staccandosi definitivamente dall’esperienza stilnovista (e in tal senso l’ultimo capitolo della Vita Nova era lungimirante), Dante approfondisce i propri interessi filosofici - a sentir lui, come rimedio e cura alla morte di Beatrice - sui testi fondamentali del pensiero medievale, anche se in realtà il suo orizzonte culturale e speculativo si rivela da subito assai ampio e sfaccettato. Ai modelli classici consolidati (oltre a Cicerone, Seneca, c'è anche l’amatissimo Boezio, filosofo del V-VI secolo d.C. tra i fondatori della Scolastica medioevale) si aggiungono Brunetto Latini e il suo Trésor e l’approfondimento - su fonti latine, e non sempre di primissima mano - del pensiero di Aristotele, su un arco di posizioni molto variegate che spazia da S. Tommaso d’Aquino fino alle punte più radicali rappresentate da Avicenna ed Averroè (il primo medico e filosofo persiano vissuto attorno all'anno Mille e il secondo filosofo arabo dell'XI secolo d.C.).
Il poeta compie poi alcune scelte illuminanti per spiegare meglio i suoi intenti: su tutte la scelta del volgare (che Dante tratta a partire dal quinto capitolo del primo libro) rispetto al latino, che era la lingua ufficiale della comunicazione intellettuale. L’opzione dantesca si inquadra invece nella volontà esplicita di rivolgersi ad un uditorio il più vasto possibile, come poi per la Commedia: non si tratta solo di commentare le canzoni con la stessa lingua con cui esse sono state scritte, ma di portarne il messaggio anche a chi non è naturalmente avvezzo a tematiche elevate o complesse, dimostrando allo stesso tempo che il volgare può trattare argomenti complessi senza temere il confronto con la lingua ‘ufficiale’ (e cioè con il latino, lingua dei dotti e del sapere). In tal senso, anche l’amore stilnovista per la donna-angelo diventa amore di sapere e del sapere, e cioè Filosofia. Dante spiega allora, nel secondo libro, i quattro livelli d’interpretazione di un testo (letterale, allegorico, morale ed anagogico, relativo cioè ad un tipo di lettura per la salvezza spirituale del lettore), mentre nel quarto trattato sottopone a revisione il concetto tradizionale di ‘nobiltà’ (come chiarito dalla studiosa Maria Corti). Coerentemente con la nuova politica culturale del Convivio, ‘nobile’ è per Dante chi (al di là di titoli nobiliari o stirpe familiare) ha ricevuto da Dio il “seme” che lo orienta e lo guida all’amore per la conoscenza.
La centralità del sapere (e il Convivio del resto spiega bene l’interesse dantesco per la riflessione teorica, come si vedrà anche nel De vulgari eloquentia e nella Monarchia) ridefinisce anche lo stile complessivo del Convivio. Le tre canzoni, tutte dottrinali ed ‘impegnate’, si allontanano infatti dalla levità delle rime stilnoviste, mentre le parti in prosa, complesse e sintatticamente articolate, cercano sì l’elaborazione stilistica - l’ornatus, secondo la terminologia della retorica medievale - ma non perdono mai di vista la precisione concettuale cui Dante sempre mira nelle vesti di ‘filosofo’.
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Dante, "Convivio": temi e stile
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