Introduzione
La vicenda di Orfeo viene inserita da Virgilio all'interno della favola di Aristeo e le api, posta al termine delle Georgiche 1. Seguendo la tecnica dell'epillio alessandrino 2, il poeta costruisce questa favola con molta cura, basandosi su un raffinato gioco di contrapposizioni e corrispondenze.
Aristeo era un apicoltore (ricordiamoci che il libro conclusivo delle Georgiche era dedicato proprio all’apicoltura) ma il suo sciame di api si era estinto all'improvviso. Recatosi presso il vecchio del mare Proteo 3, riesce a scoprire la causa di questa moria: in passato aveva importunato la ninfa Euridice e questa, per sfuggire alle sue attenzioni, era stata morsa da un serpente. Il cantore Orfeo, promesso sposo della ninfa, disperato per l’accaduto, era sceso negli Inferi dove, grazie alla dolcezza della sua musica, era riuscito a convincere i sovrani infernali Plutone e Proserpina a restituirgli l’amata. Solo una era la condizione richiesta: Orfeo, mentre tornava sui suoi passi, non si sarebbe dovuto voltare fino a quando non avesse raggiunto il regno dei vivi 4. Ovviamente Orfeo rompe questo patto perdendo per sempre la sua Euridice.
Dopo questo lungo flashback, la storia torna su Aristeo, punito per la morte di Euridice con la perdita delle sue api: per riaverle indietro avrebbe dovuto sacrificare un bue e farlo marcire (si tratta di una bougonia, ovvero “nascita dal bue”). Dalla sua carne putrefatta sarebbe ricomparso un nuovo sciame d’api 5.
All'interno di questa storia, la vicenda di Orfeo si inserisce in diretta contrapposizione con Aristeo. Mentre l'apicoltore riconosce i propri errori e rispetta il volere degli dei compiendo i dovuti sacrifici, Orfeo vìola i confini che gli sono stati assegnati, cerca di infrangere il muro inviolabile della morte: egli quindi miseramente fallisce per la sua mancanza di rispetto per gli ordini degli dei. Mentre Aristeo viene premiato e riottiene indietro quello che aveva perso, il cantore precipita in un abisso di solitudine e muore di morte violenta.
Grazie a Virgilio questa storia rimase incisa nella memoria letteraria occidentale (diventando una sorta di topos) e venne riscritta e ricordata innumerevoli volte. Ricordiamo, tra le altre, la riscrittura di Poliziano (La favola d'Orfeo, 1494), Dino Buzzati (Poema a fumetti, 1969), Cesare Pavese (il racconto L'inconsolabile all'interno dei Dialoghi con Leucò, 1947).
Metrica: esametri.
- Iàmque pedèm referèns casùs evàserat òmnes 6;
- rèdditaqu(e) Èurydicè 7superàs venièbat ad àuras 8,
- pòne sequèns 9, namqu(e) hànc dederàt Prosèrpina lègem 10,
- cùm subit(a) ìncautùm demèntia 11 cèpit 12 àmant(em),
- ìgnoscènda 13 quidèm, scirènt s(i) 14ignòscere mànes 15.
- Rèstitit 16 Èurydicènque suàm iam lùce sub ìpsa
- ìmmemor hèu! victùsqu(e) animì respèxit. Ib(i) òmnis
- èffusùs labor àtqu(e) immìtis 17 rùpta tyrànni 18
- foèdera, tèrque 19 fragòr stagnìs audìtus Avèrnis 20.
- Ìlla “Quis èt m(e)”, inquìt, “miser(am) èt te pèrdidit, Òrpheu,
- quìs tantùs furor? Èn iterùm crudèlia rètro
- Fàta vocànt, condìtque natàntia 21 lùmina sòmnus.
- Iàmque valè: feror 22 ìngentì circùmdata nòcte
- ìnvalidàsque 23 tibì tendèns, heu nòn tua, pàlmas!
- Dìxit et èx oculìs subitò, ceu fùmus in àuras
- còmmixtùs tenuès, fugìt divèrsa, nequ(e) ìllum 24,
- prènsantèm nequìqu(am) umbràs et mùlta volèntem
- dìcere, praètereà vidìt, nec pòrtitor òrci 25
- àmplius òbiectàm passùs transìre palùdem.
- Quìd facerèt 26? Quo 27 sè raptà bis còniuge 28 fèrret 29?
- Quò fletù Manìs 30, quae nùmina vòce movèret 31?
- Ìlla quidèm Stygià 32 nabàt iam frìgida cùmba.
- Sèpt(em) illùm totòs perhibènt ex òrdine mènses
- rùpe sub àërià 33 desèrt(i) 34 ad Strìmonis ùndam
- flèsse 35 sib(i) èt gelidìs haec èvolvìsse sub àntris
- mùlcentèm tigrès et agèntem càrmine quèrcus;
- quàlis 36pòpuleà maerèns philomèla sub ùmbra
- àmissòs queritùr fetùs, quos dùrus aràtor
- òbservàns nid(o) ìmplumès detràxit; at ìlla
- flèt noctèm ramòque sedèns miseràbile càrmen
- ìntegrat èt maestìs latè loca quèstibus ìmplet.
- Nùlla Venùs 37, non ùll(i) animùm flexèr(e) 38 hymenaèi 39.
- Sòlus Hypèrboreàs 40 glaciès Tanaìmque 41 nivàlem
- àrvaque Rhìpaeìs 42 numquàm viduàta pruìnis
- lùstrabàt 43 rapt(am) Èurydicèn atqu(e) ìnrita Dìtis
- dòna querèns; spretaè Ciconùm 44 quo mùnere màtres 45
- ìnter sàcra deùm noctùrniqu(e) 46 òrgia 47 Bàcchi
- dìscerptùm latòs iuvenèm sparsère 48 per àgros 49.
- Tùm quoque màrmoreà capùt a cervìce revùlsum
- gùrgite cùm mediò 50 portàns Oeàgrius 51 Hèbrus
- vòlveret, èurydicèn vox ìps(a) et frìgida lìngua
- “Àh miser(am) Èurydicèn!” animà fugiènte 52 vocàbat:
- “Èurydicèn” totò referèbant flùmine 53 rìpae.
- E già riportando indietro il passo era sfuggito a tutte le vicissitudini;
- ed Euridice, essendo stata restituita, andava verso l’aria aperta,
- seguendolo da dietro - infatti Proserpina aveva dato questa condizione -,
- quando una improvvisa follia prese l’incauto amante,
- una follia da perdonare certamente, se i Mani sapessero perdonare.
- Si fermò e, ahimè! vinto nell’animo, guardò la sua Euridice alla luce immemore.
- Lì ogni fatica fu dispersa e furono rotti i patti del tiranno
- spietato, e tre volte un fragore fu sentito negli stagni averni.
- Quella disse: “Chi mandò in rovina me misera e te, o Orfeo,
- quale grande follia? Ecco di nuovo i crudeli fati mi chiamano
- indietro e un sonno seppellisce gli occhi che vacillano. Ora addio:
- vengo trascinata dopo essere stata circondata da una notte profonda
- e mentre, non più tua, tendo a te le mani prive di forze!
- Parlò e improvvisamente fuggì dagli occhi,
- come il tenue fumo mescolato all’aria, e Orfeo non vide
- che cercava invano di afferrare le ombre e che voleva dire
- molte cose, e il traghettatore dell’Orco non accettò
- che quello attraversasse nuovamente la palude posta davanti.
- Che cosa avrebbe dovuto fare? Dove si sarebbe dovuto recare
- dopo che la moglie gli era stata tolta due volte?
- Con quale pianto avrebbe potuto commuovere i Mani, quali Numi con la voce?
- Quella certamente già fredda naviga con la navicella stigia.
- Dicono che per sette mesi interi quello abbia pianto
- sotto una rupe a picco, presso l’onda deserta dello Strimone
- e abbia raccontato queste cose in antri gelidi
- addolcendo le tigri e trascinando le querce con il canto;
- come un usignolo afflitto si lamenta all’ombra
- del pioppo per i figli persi, che il crudele aratore,
- vedendoli, sottrasse implumi al nido; ma quella
- piange di notte e sedendo su un ramo ripete un carme miserabile
- e riempie ampiamente i luoghi di tristi lamentele.
- Nessun amore, nessun imeneo piegò il suo animo.
- Da solo passava in rassegna i ghiacci iperborei e le nevi del Tanai
- e le regioni mai prive di nevi della Scizia
- cercando Euridice che gli era stata sottratta e i vani doni
- di Dite; e le madri dei Ciconi, rifiutate a causa di questo rimpianto,
- tra i rituali degli dei e le orge notturne di Bacco,
- dispersero nei vasti campi il giovane fatto a pezzi.
- Anche allora, mentre l’Ebro Eagrio trasportava la testa strappata dal collo
- di marmo portandola in mezzo ai gorghi,
- la voce stessa e la fredda lingua invocava:
- “Euridice! Oh misera Euridice!” mentre l’anima fuggiva:
- in tutto il fiume le sponde ripetevano “Euridice”.
1 La vicenda “editoriale” legata alla conclusione delle Georgiche è piuttosto singolare. Secondo una notizia riferitaci da Servio, il finale dell’opera consisteva in una lode di Gaio Cornelio Gallo (69-26 a.C.), poeta elegiaco e amico personale di Virgilio presente anche all'interno delle Bucoliche. Solo che Gallo, divenuto primo prefetto d’Egitto, cadde in disgrazia presso Augusto e fu costretto al suicidio. Per questo motivo, forse su suggerimento dello stesso Principe, il poeta cambiò il finale della sua opera, inserendo al suo posto il mito di Aristeo e le api.
2 Con questo termine si intende un piccolo componimento epico, dal carattere estremamente erudito, molto diffuso in età alessandrina.
3 Proteo viveva in Egitto presso l'isola di Faro, dove successivamente sarebbe sorto il celebre faro di Alessandria. Il vecchio, capace di mutare la sua forma in qualunque cosa volesse, era un indovino che poteva rispondere a qualunque domanda. Anche Menelao, nell'Odissea, si era recato dal vecchio del mare ed era stato informato da lui circa il destino dell'amico Ulisse.
4 Il fine era evidentemente quello di evitare la contaminazione che Euridice portava con sé per il fatto di essere stata nel regno dei morti. La storia conserva in sé il motivo tipico delle fiabe popolari del “divieto infranto”. Al protagonista della fiaba (in questo caso Orfeo) viene fatto un esplicito divieto, che il personaggio di norma infrange, ricevendo per questo una dura punizione.
5 Bisogna tener conto che secondo gli antichi era possibile la generazione spontanea, ovvero la nascita degli insetti e di altri animale inferiori come le rane e i vermi dalle carcasse in putrefazione o dal fango riscaldato dal sole. Solo tra Seicento e Settecento questa teoria venne confutata grazie agli esperimenti di Francesco Redi (1626-1697) e Lazzaro Spallanzani (1729-1799) che negarono la possibilità che la vita potesse nascere dal nulla. Nel finale delle Georgiche questo evento miracoloso contiene in sé un messaggio di salvezza: le api sono sempre state un simbolo dell'anima. Il fatto che queste emergano vive dalla carcassa di un animale in putrefazione rappresenta in qualche modo una garanzia della sopravvivenza dell'uomo dopo la morte, quasi una rappresentazione di quella reincarnazione che le dottrine orfico-pitagoriche predicavano.
6 Casus […] omnes: si tratta di un iperbato. Infatti le due parole che concordano tra loro sono separate dal verbo “evaserat” (da evado, evadis, evasi, evasum, evadere).
7 Eurydice: quello di Euridice è un nome proprio di origine greca. Come spesso succede in latino per le parole di origine straniera, anche Euridice possiede una declinazione particolare: al nominativo possiede alternativamente la forma Eurydice o Eurydica. Al genitivo e al dativo Eurydices, all’accusativo Eurydicen, al vocativo e all’ablativo nuovamente Eurydice. In questo caso si tratta di un nominativo.
8 superas […] ad auras: si tratta di anastrofe o inversione. L’ordine naturale della preposizione sarebbe infatti “ad superas auras”. Ma è anche un iperbato, dal momento che tra le due parole concordate si inserisce anche il verbo “veniebat” (venio, venis, veni, ventum, venire). Il significato di superus è ovviamente “superiore”, “che sta più in alto”. In questo caso si intende l’aria del nostro mondo, che si trova più in alto rispetto al regno dei morti dove si trovavano precedentemente Orfeo ed Euridice.
9 pone sequens: “pone” in questo caso è un avverbio.
10 legem: ovvero la condizione che Orfeo andasse davanti e non si voltasse prima di essere tornato in superficie per vedere l’amata Euridice.
11 subita [...] dementia: altro iperbato.
12 cum… cepit: il cum con l’indicativo (da capio, capis, cepi, captum, capere) regge una normale subordinata temporale.
13 ignoscenda: si tratta del gerundivo del verbo ignosco, ignoscis, ignovi, ignotum, ignoscere concordato con“dementia” del verso precedente.
14 scirent si: si tratta di una anastrofe; l’ordine regolare della frase sarebbe si scirent. Si tratta di un periodo ipotetico dell’irrealtà, anche se manca l’apodosi.
15 Manes: secondo quanto ci dice Varrone, questo termine deriverebbe dall'aggettivo manus, mana, manum che vorrebbe dire “buono”. Così si indicavano di solito l’insieme delle divinità dell’oltretomba o, più in generale, le anime stesse dei morti. Sulle epigrafi funerarie romane era sempre presenta la scritta DM, che sta per Dis Manibus, “agli dei Mani”. In loro onore venivano celebrate diverse festività, tese per lo più a placare questi demoni che potevano manifestarsi anche in forma di spettri malvagi.
16 restitit: verbo composto dal prefisso re- e dal verbo sto (sto, stas, steti, statum, stare), col significato di “stare fermo”, “stare immobile”.
17 Immitis: composto dal prefisso negativo in- e l’aggettivo mitis (“mite”, “moderato”). Il significato letterale è dunque “non mite”, quindi “spietato”. Ma si può immaginare ovviamente che gli accordi siano stati presi da entrambe le divinità.
18 [tyrannus: il riferimento è a Plutone, il dio degli inferi (definito anche “Giove Stigio”, per il fatto di governare sulle terre distese intorno al fiume Stige). Ci troviamo di fronte a una apparente contraddizione, dal momento che appena cinque versi prima si era detto che gli accordi erano stati fatti con Proserpina, moglie di Plutone e con il consenso del dio dell’oltretomba.
19 terque: il rumore sancisce la definitiva condanna di Proserpina. Viene ripetuto tre volte, perché il tre è numero sacro presso quasi tutte le culture antiche.
20 stagnis [...] Avernis: si tratta di un iperbato. Quello di Averno è un altro dei modi con cui viene solitamente definito l’oltretomba. Il termine è di origine greca e vorrebbe dire letteralmente “privo di uccelli” (άορνος). Il termine deriva dal fatto che uno degli ingressi dell’Ade veniva localizzato presso l’odierno lago d’Averno, vicino a Cuma. Questo luogo presenta diversi fenomeni di vulcanismo secondario, compresa la fuoriuscita di gas venefici, che avevano la tendenza di uccidere i pochi uccelli presenti.
21 natantia: aggettivo della seconda classe a una uscita (natans, natantis) concordato a “lumina”. Il significato letterale è quello di “ondeggiante” ed è di norma riferito alla superficie del mare, a cui implicitamente vengono paragonati gli occhi di Euridice, evidentemente pieni di lacrime.
22 feror: indicativo presente prima persona singolare passivo del verbo fero, fers, tuli, latum, ferre.
23 invalidas: l’aggettivo invalidus, invalida, invalidum è composto dal prefisso in- (con valore negativo) e dall’aggettivo validus (“forte, prestante”). Possiamo quindi tradurlo con “non forte”, “privo di forze” o semplicemente “debole”.
24 illum: si tratta ovviamente di Orfeo.
25 portitor Orci: si tratta di Caronte, il traghettatore che trasporta le anime dei defunti al di là del fiume Stige. Virgilio ne fa una descrizione più approfondita nel sesto libro dell’Eneide (v. 299 e seguenti). Tornerà poi nel terzo canto dell’Inferno dantesco.
26 Quid faceret: si tratta di un congiuntivo dubitativo, che si può trovare solo nelle frasi interrogative.
27 Quo: si tratta di un avverbio interrogativo di moto a luogo (“verso dove?”, “dove?”).
28 rapta […] coniuge: si tratta di un ablativo assoluto.
29 [se ferret: si tratta di un congiuntivo dubitativo. L’espressione vorrebbe dire letteralmente “porta sé stesso”, “si porta”. Di norma si rende con “andare”.
30 Manis: arcaismo per “Manes”.
31 moveret: si tratta di nuovo di un congiuntivo dubitativo. Il verbo moveo, moves, movi, movitum, movere in questo caso non rappresenta un movimento fisico, ma dell’anima. Per questo si rende con “commuovere”.
32 Stygia […] cumba: si tratta di un forte iperbato. La navicella stigia era ovviamente la barca con cui Caronte traghettava le anime da una parte all’altra dello Stige, il fiume che “circonda nove volte” i regni dell’Ade. L’attraversamento dello Stige, che di norma si poteva realizzare solo dopo che il cadavere ha ricevuto regolare sepoltura, rappresentava la separazione definitiva dal mondo dei vivi e anche la possibilità di interagire con esso. Nel mondo classico i fantasmi erano dei morti senza sepoltura, ovvero quelli che non avevano ancora potuto passare il fiume Stige e desideravano farlo.
33 rupe sub aeria: si tratta di una anastrofe (l’ordine regolare della frase sarebbe infatti “sub rupe aeria”). Aerius è aggettivo che deriva da aer, aeris (“aria”). Ci si immagina dunque che questa rupe fosse particolarmente impervia, ripida ed esposta ai venti. Traduciamo quindi “a picco”.
34 deserti: participio perfetto del verbo desero, deseris, deserui, desertum, deserere. Concorda con “strimonis”, ma per il senso si riferisce piuttosto a “undam”, trattandosi di una ipallage.
35 flesse: forma sincopata per “flevisse” (da fleo, fles, flevi, fletum, flere).
36 Inizia qui una similitudine che confronta il comportamento di Orfeo con quello di un usignolo che ha appena perso i suoi piccoli.
37 Venus: si tratta di una metonimia: la dea dell’amore viene usata per indicare l’amore stesso.
38 flexere: forma sincopata per flexerunt (da flecto, flectis, flexi, flectum, flexere).
39 Hymenaei: gli imenei erano dei canti che venivano intonate durante il corteo che portava la coppia di sposi nella camera da letto nuziale. In questo caso indicano permetonimia le nozze stesse. Dopo la morte di Euridice, Orfeo non aveva accettato la compagnia di nessuna donna. Secondo alcune fonti proprio per questo motivo sarebbe stato addirittura l’inventore dell’omosessualità.
40 Hyperboreas: questo termine significa letteralmente “ciò che si trova al di là del vento Borea”; si tratta del vento che soffia da Nord, e ancora oggi la Bora si chiama così da Borea. Anche a causa delle poche esplorazioni compiute nell’antichità nelle regioni più settentrionali (la più famosa è quella del marsigliese Pitea, ma la sua narrazione, per quanto corrispondente in molti punti alla verità, venne all’epoca considerata una fandonia), le terre settentrionali diventarono la sede di miti strani e singolari. Già in Erodoto leggiamo che le terre settentrionali erano abitate da un popolo religioso e particolarmente devoto al culto di Apollo, tanto da inviare ogni anno offerte al santuario di Delfi. In questo contesto chiaramente si vuole mostrare come nelle sue peregrinazioni Orfeo girò veramente tutto il mondo, comprese le terre più solitarie e deserte.
41 Tanaimque: sarebbe l’odierno fiume Don che scorre in Russia e sfocia nel Mar Nero.
42 Rhipaeis: il suo significato sarebbe “del monte Rifeo”. Con questo termine si indicava di solito più in generale la Scizia, dove questo monte si trovava. Per gli antichi il termine Scizia copriva una regione molto vasta a nord del Mar Nero, coperta in gran parte dalle nevi. Si può notare come ci sia una singolare corrispondenza tra le regioni deserte frequentate da Orfeo dopo la morte di Euridice e il suo stato d’animo interiore.
43 lustrabat: il verbo lustro, lustras, lustravi, lustratum, lustrare indicava inizialmente l’atto del purificare qualcosa (lustratio). Inizialmente, esso è collegato con la sfera militare, poiché, prima della battaglia, l’esercito veniva purificato per propiziare il successo. In seguito, il termine passa ad indicare l’atto di passare in rassegna i soldati e poi, ancor, più in generale, l’esame analitico di qualcosa.
44 Ciconum: si tratta di una popolazione della Tracia, regione a nord della Grecia, che si diceva avesse dato i natali allo stesso Orfeo.
45 matres: qui con il termine si intende più in generale le “donne”.
46 nocturnique: l’aggettivo è concordato a “Bacchi” ma si riferisce logicamente a “orgia”. Si tratta quindi di unaipallage.
47 [orgia: con il termine orgia si indicavano nell’antichità una serie di rituali di natura misterica, celebrati per lo più di notte e caratterizzati dall’abolizione delle normali norme di vita quotidiana. Il rituale dionisiaco prevedeva riti di questo tipo, che non venivano particolarmente apprezzati dalla morale dei romani, molto più rigida di quella greca. Il senato romano decreto l’abolizione dei baccanali nel 186 a.C. Forse anche per il tramite dei romani il termine orgia assunse una connotazione solo negativa e legata prevalentemente alla sfera sessuale.
48 sparsere: forma sincopata per sparserunt (da spargo, spargis, sparsi, sparsum, spargere).
49 sparsere per agros: quello di fare a pezzi una vittima e disperdere il suo cadavere per i campi, a volte consumando anche parti del corpo crude (il rito viene chiamato in greco sparagmos) era una caratteristica tipica dei rituali bacchico-dionisiaci, volti probabilmente al mantenimento della fertilità dei campi.
50 gurgite [...] medio: iperbato.
51 Oeagrius: ovvero di Eagro. Eagro era amico del fiume Ebro, e secondo alcune fonti era addirittura padre dello stesso Orfeo. Non deve dunque stupire che siano proprio le acque di questo fiume ad accogliere la testa decapitata del cantore.
52 anima fugiente: ablativo assoluto.
53 toto […] flumine: si tratta di un complemento di stato in luogo, con la preposizione in sottintesa. Questa omissione avviene sempre quando troviamo gli aggettivi totus, tota, totum, medius, media, medium e universus, universa, universum.