Genere, modelli e finalità dell’opera
Le Bucoliche sono la prima opera di Virgilio, composta e pubblicata tra il 42 e il 39 a.C. Si tratta di una silloge di dieci carmi autonomi, detti eclogae (cioè “poesie scelte”), caratterizzati da un’ambientazione agricola e pastorale. Come indica il titolo stesso della raccolta, essa appartiene al genere della poesia bucolica (dal greco boukólos, che significa “pastore”), inaugurato in età ellenistica dal poeta greco di origini siracusane Teocrito (III sec. a.C.), autore di una raccolta di carmi, gli Idilli, tra i quali figuravano numerosi componimenti ambientati nella campagna d’Arcadia 1 e incentrati sul dialogo tra i pastori.
Il genere bucolico mira ad evocare un mondo lontano sia nel tempo sia nello spazio dalla contemporaneità, legato ai valori tradizionali della campagna e alieno dai problemi e dai drammi della realtà presente. Le Bucoliche virgiliane trasportano questo locus amoenus letterario e il suo ideale di vita in sintonia con la natura (e scandita solo dal canto poetico e dall’amore). Molto significativa da questo punto di vista è il momento di ideazione e stesura dell’opera virgiliana: siamo infatti negli anni travagliati delle guerre civili culminate nella battaglia di Filippi (42 a.C.), in seguito alla quale la redistribuzione delle terre ai veterani colpisce lo stesso poeta. Il rifugio letterario in un mondo protetto, in cui si fondono l’Arcadia teocritea e ricordi d’infanzia della campagna mantovana, è allora da intendersi come la ricerca di un equilibrio - forse impossibile - tra la ricerca della serenità personale e le tragedie della Storia.
Riassunto delle egloghe
Ecloga I: Il carme è un dialogo tra due pastori, Titiro e Melibeo, dal destino molto diverso: il primo, pur in mezzo a tanti sconvolgimenti, ha potuto, grazie all’intervento di un giovane protettore 2, mantenere i suoi campi e godrà di una vita tranquilla; il secondo, invece, colpito dall’esproprio delle sue terre, andrà incontro al triste destino di profugo. L’egloga è stata letta come un’eco delle vicende che hanno colpito il giovane Virgilio, al pari del IX componimento delle Bucoliche.
Ecloga II: Si tratta del monologo di Coridone che canta con toni elegiaci il suo amore senza speranza per Alessi: dapprima l’innamorato si presenta ed enfatizza le proprie pene descrivendosi come un amante desiderabile; segue poi l’invito ad Alessi, al quale Coridone vorrebbe insegnare a suonare la zampogna 3, ricevuta in eredità da Dameta e utilizzata per cantare insieme con Pan. Questo, tuttavia, non è l’unico dono promesso all’amato: l’intero mondo della natura gli renderà omaggio. Con l’allocuzione a se stesso del v. 56 si apre l’ultima sezione dell’egloga: consapevole che i suoi rozzi doni non interessano ad Alessi, Coridone si abbandona alla disperazione; il suo amore, però, non viene mai meno, almeno fino all’ultimo disincantato esametro: “Troverai un altro Alessi, se questo ti disprezza” (v. 73).
Ecloga III: Gara di canto - come la V e la VII egloga - tra due poeti-pastori, Menalca e Dameta, i quali, dopo una schermaglia introduttiva, danno vita alla tenzone vera e propria, incorniciata dai discorsi del giudice Palemone. I temi della contesa sono legati alla vita dei pastori: bestiame, amore eterosessuale e omosessuale, ma soprattutto talento musicale e poetico. Non a caso sono esplicitamente nominati innanzitutto Orfeo, che fa la sua prima comparsa nella letteratura latina, poi Asinio Pollione, protettore di Virgilio e poeta lui stesso, e infine Apollo con le Muse. La modalità è quella del canto amebeo, cioè alternato, con botta e risposta.
Ecloga IV: Componimento che va al di là delle convenzioni del genere, la IV egloga inizia con un’invocazione alle Muse siciliane perché siano ispiratrici di un canto più elevato (“Sicelides Musae, paulo maiora canamus”, v. 1). Oggetto dell’egloga è infatti la nascita di un bambino divino sotto il consolato di Asinio Pollione del 40 a.C. Il poeta infatti ripercorre le tappe dell’esistenza del puer dall’infanzia alla maturità, mostrando come egli riporterà gradualmente l’umanità all’età dell’oro, con il nuovo regno di Saturno, e governerà un mondo pacificato, in cui la terra produrrà spontaneamente tutto ciò che serve al fabbisogno dell’uomo senza che questi debba compiere alcuna fatica. Sperando di poter assistere a queste imprese, il poeta intende cantarle meglio di Orfeo, Lino e Pan 4.
Ecloga V: Gara poetica in forma di inno tra due pastori, Menalca, più anziano, e Mopso, più giovane. Il primo canta la morte del pastore-poeta Dafni, la cui scomparsa produce l’allontanamento dai campi di Apollo e Pale, protettrice degli allevatori e del bestiame. Il secondo ne descrive la divinizzazione e la sua apoteosi. La campagna è ora il regno della pace. Alla fine del componimento Menalca dona al giovane la zampogna con cui ha composto la seconda e la terza egloga, mentre Mopso gli dà un bastone.
Ecloga VI: Il carme si apre con una recusatio 5 del poeta, che parla in prima persona e ricorda come Apollo lo abbia rimproverato per aver pensato di abbandonare la poesia bucolica e dedicarsi all’epica, cantando re e battaglie (“reges et proelia”, v. 3). Egli intona allora un canto bucolico, dedicato a Varo, in cui si racconta come i pastori Cromi e Mnasillo, aiutati dalla ninfa Egle, siano riusciti a costringere Sileno a cantare alcuni episodi della mitologia tradizionale. All’interno di questa cornice si inserisce la consacrazione poetica di Cornelio Gallo, al quale il pastore Lino consegna a nome delle Muse la zampogna una volta utilizzata da Esiodo. L’ecloga termina con l’immagine dei due pastori che, giunta la sera, devono accomiatarsi da Sileno per riportare le loro pecore nella stalla.
Ecloga VII: È un carme incentrato sul canto amebeo: due pastori, Coridone e Tirsi, gareggiano nel canto e intonano strofe in cui invocano le Muse e alcune divinità agresti come Diana, Bacco e Priapo, e ricordano i rispettivi amati, Alessi e Filli. Il giudice della gara, il pastore Melibeo, assegna a Coridone la vittoria.
Ecloga VIII: È dedicata ad Asinio Pollione e descrive la gara tra i pastori Damone, che canta il suo amore infelice per Nisa, ormai promessa sposa a un altro uomo, e Alfesibeo, che assume le vesti di una donna tradita ed esegue un incantesimo d’amore per riportare a sé l’amato Dafni. Spettatori della gara sono alcuni elementi naturali come la giovenca, le linci e i fiumi stessi.
Ecloga IX: Carme di ispirazione autobiografica che mette in scena un dialogo fra i pastori Licida e Meri, intenti a recarsi in città per portare in dono del bestiame ai nuovi proprietari delle loro terre, che sono state confiscate e sono abitate da stranieri. I due pastori ricordano il precedente padrone, Menalca, come un grande poeta, al quale però la poesia non è stata d’aiuto di fronte alle necessità della politica. L’ecloga si articola quindi su uno scambio di battute, in cui si intonano alcuni canti bucolici, e termina con il commiato tra i due, che devono tornare alle proprie attività e non possono perdere altro tempo per la poesia.
Ecloga X: È un componimento dedicato all’amico Cornelio Gallo, già nominato nella VI egloga, per consolarlo del suo amore infelice per Licoride. Gallo diviene addirittura personaggio del carme: egli si consola che i pastori arcadi canteranno di lui, che così sopravvivrà nel paesaggio bucolico, e spera di avere sollievo dalla vita in mezzo alla natura; ma presto l’immaginazione svanisce e rimangono le pene d’amore. Il liber si conclude quindi con una nota malinconica: la poesia bucolica può dare solo un parziale e momentaneo sollievo dalle sofferenze reali.
Tecnica letteraria, lingua e stile
I dieci componimenti che costituiscono la raccolta delle Bucoliche vanno letti tanto in ottica intertestuale con il modello Teocrito quanto in prospettiva intratestuale, cioè tenendo presente la simmetria che governa la disposizione delle egloghe: lasciando da parte l’ultima, che è un pezzo a sé stante, si riconosce per esempio lo stesso argomento da un lato nella I e nella IX e dall’altro nella III e nella VII; si può poi osservare che due egloghe dal forte legame con la romanità come la I e la IV fanno da cornice alle più teocritee II e III; inoltre il nome di Gallo, che compare nella VI e nella X, incornicia la seconda parte dell’opera, e così via. Forti simmetrie sono poi presenti anche all’interno delle singole egloghe.
Il metro delle Bucoliche è l’esametro, mutuato direttamente dal modello greco di Teocrito e in questo contesto definito appunto come Syracosius versus, “verso siracusano” 6. La lingua delle Bucoliche è generalmente un latino semplice, lineare e urbano, privo cioè di tratti rustici moloto marcati. Virgilio è qui portato ad allontanarsi dal modello di Teocrito, che invece, sfruttando i registri propri del dialetto dorico, aveva avuto la possibilità di caratterizzare anche dal punto di vista prettamente linguistico (e non solo lessicale o sintattico) la lingua dei poeti-pastori. Una significativa eccezione rispetto alla generale semplicità linguistica delle Bucoliche è costituita dall’intera quarta egloga, il cui stile, coerentemente con quanto affermato da Virgilio nel primo verso, è decisamente più elevato, e da alcune parti della sesta.
Fortuna
Le Bucoliche ebbero grandissima fortuna non appena pubblicate e furono prese come modello da tutti i successivi poeti bucolici latini. Ebbero poi grande influenza anche sulla poesia latina di autori come Dante (autore di due Egloghe), Petrarca (che compose Bucolicum carmen) e Boccaccio (autore di sedici Egloghe) e furono il modello ispiratore del genere del romanzo e del dramma pastorale, che ebbe notevole successo nel Rinascimento italiano (si pensi all’Arcadia di Sannazaro, all’Aminta di Tasso, al Pastor fido di Guarini) ed europeo, come testimoniano la Galatea di Cervantes (1547-1616) o i Shepheardes Calender di Edmund Spenser (1552-1599). Al mondo bucolico di matrice virgiliana si rifà anche l’Accademia dell’Arcadia.
Bibliografia selettiva
- Virgilio, Bucoliche, note esegetiche e grammaticali a cura di M. Gioseffi, Milano, CUEM, 2005.
- F. della Corte (a cura di), Enciclopedia Virgiliana, Roma, Istituto dell’Enciclopedia italiana, 1984-1991.
- M. von Albrecht, Virgilio. Un’introduzione, traduzione di A. Setaioli, Milano, Vita e Pensiero, 2012.
1 L’Arcadia è originariamente una regione del Peloponneso, abitata prevalentemente da pastori e rimasta ad uno stato rurale; viene trasfigurata letterariamente come terra del dio Pan, luogo di vita serena e pacifica e ultimo angolo di una mitica “età dell’oro” delle epoche passate. Il topos del mondo idillico che ne deriva è uno dei più fortunati dell’intera storia della letteratura mondiale.
2 Lo “iuvenem” del v. 42 e che presumibilmente è Ottaviano, anche se non è mai menzionato per nome.
3 La “fistula” del v. 37.
4 Le interpretazioni di un testo dal tono così misterioso sono molte: c’è chi, cercando di dare una base storica al componimento, ha visto nel puer, a seconda dei casi, il figlio di Pollione, quello di Ottaviano e Scribonia oppure di Antonio e Ottavia; altri hanno pensato a un’interpretazione religioso-astronomica, identificandolo con un nuovo Aion, personificazione del Tempo; i cristiani hanno naturalmente riconosciuto nel puer Gesù Cristo (e quindi in Virgilio un vate cristiano).
5 La recusatio è un procedimento retorico di rinuncia formale a praticare la poesia di un determinato genere.
6 Bucoliche, VI,1.