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Virgilio, "Eneide": riassunto e commento

Genere, genesi e finalità dell'opera

L’Eneide è un poema in dodici libri che narra le vicende mitiche dell’eroe troiano Enea, dall’abbandono della sua terra natia all’arrivo nel Lazio, dove fonda una comunità che sarà all’origine di Roma e del popolo romano. 

Il poema viene composto da Virgilio tra il 29 e il 19 a.C., anno della sua morte: si tratta quindi di un’opera che l’autore non considera conclusa nella sua interezza e che viene pubblicata postuma, per volere di Augusto, dai poeti Vario Rufo e Plozio Tucca, amici di Virgilio. I segni più chiari della mancata revisione finale da parte dell’autore sono una sessantina di versi incompleti, da lui stesso chiamati tibicines, ovvero i “puntelli” provvisori che sostengono un’opera ancora in costruzione.

Perché il principe decida di pubblicare comunque l’Eneide è chiaro da quanto scrive Servio, commentatore tardoantico (IV-V sec. d.C.) di Virgilio, a proposito della finalità dell’opera: Homerum imitari et Augustum laudare a parentibus 1. L’Eneide si presenta infatti come un poema che, risalendo a un periodo storico antichissimo e leggendario, legittima tanto il dominio di Roma sul mondo quanto il potere interno della gens Iulia, la famiglia di Augusto che rivendica per sé la discendenza da Ascanio Iulo, figlio di Enea. L’ideologia augustea viene perciò esaltata con grande efficacia, pur in una dimensione temporale diversa da quella del presente 2

 

 I modelli

 

L’affermazione di Servio sull’Eneide chiarisce bene qual è il modello che Virgilio vuole emulare. La struttura stessa dell’opera, infatti, è convenzionalmente ripartita in una sezione ispirata all’Odissea – le peregrinazioni di Enea narrate nei primi sei libri – e una iliadica, corrispondente alla guerra dei Troiani nel Lazio nei restanti sei libri. Con questo rimando intertestuale a Omero - pur con delle notevoli differenze tra opera e opera - Virgilio rielabora, contamina e continua la narrazione omerica per superarla. I Troiani ora sono i vincitori, e combattono per la fondazione di una nuova comunità; Enea, dopo tante prove dolorose imposte dal Fato, ottiene infine la patria e la pace. Virgilio, tuttavia, attinge anche all’epica greca ellenistica (per la raffinatezza letteraria e per descrivere la sottile psicologia dei suoi personaggi) e in particolare ad Apollonio Rodio: il personaggio di Didone, per esempio, deve molto alla Medea delle Argonautiche (soprattutto al terzo libro), ma l’influsso del poeta ellenistico si estende all’articolazione dell’intera opera. Il rapporto con l’epos romano arcaico, identificabile principalmente con gli Annales di Ennio, è da porre negli stessi termini: anche in questo caso Virgilio ha come obiettivo quello di superare e di sostituirsi al proprio modello, rivendicando per la sua opera lo status di nuova epica nazionale.

 

Struttura e contenuto

 

Nei dodici libri in cui è ripartita l’Eneide l’intreccio e la fabula non coincidono, e cioè la successione degli eventi e l’ordine in cui essi vengono esposti sono differenti.

Libro I: L’opera infatti inizia in medias res (libro I) con un proemio di 33 versi, nei quali il poeta in prima persona chiarisce la materia del suo canto e ne compendia l’antefatto, ricorrendo a una topica invocazione alla Musa. A questa segue la descrizione della navigazione di Enea dalla Sicilia e della tempesta provocata da Giunone, che odia il popolo troiano. L’eroe è così costretto ad approdare a Cartagine, dove viene accolto dalla regina fenicia Didone, fondatrice della città. Quest’ultima, che si è subito innamorata di Enea, chiede al suo ospite di narrarle la fine di Troia.

Libro II: Parte il racconto in analessi (o flashback, cioè la narrazione di eventi precedenti all’interno della narrazione principale) della distruzione della città grazie all’inganno del cavallo di Troia. Il sacerdoto Laocoonte, che aveva ammonito i concittadini a non accettare i doni greci (Eneide, II, v. 49: Timeo Danaos et dona ferentes, “Temo i Greci, soprattutto quando portano doni”) viene stritolato da due giganteschi serpenti. Enea riesce a salvare il padre Anchise e il figlio Ascanio, ma perde la moglie Creusa.

Libro III: Le peripezie di Enea alla ricerca di una nuova patria lo portano dalla Tracia alla Sicilia, dove suo padre Anchise trova la morte. Il flashback si chiude con la tempesta che porta l’eroe sulle spiagge cartaginesi.

Libro IV: L’amore di Didone ed Enea è l’oggetto del quarto libro; questa passione, tuttavia, che potrebbe distogliere l’eroe dalla sua missione, è vietato da Giove attraverso il suo messaggero Mercurio. Abbandonata da Enea, la regina si suicida, non prima di aver maledetto l’eroe e la sua discendenza e aver promesso eterno odio tra Roma e Cartagine.

Libro V: Partiti da Cartagine, i Troiani fanno tappa in Sicilia presso Erice, dove si trova la tomba di Anchise, e in suo onore organizzano gare e sacrifici; lasciati qui i vecchi, inabili al combattimento, e le donne, Enea riparte, ma perde il timoniere Palinuro, che cade in mare sopraffatto da Morfeo, dio del sonno.

Libro VI: Giunto a Cuma, presso Napoli, l’eroe fa visita alla Sibilla, la celebre profetessa che gli rivela le difficili prove del futuro e gli mostra la via per l’oltretomba. Qui Enea si reca per incontrare il padre: si imbatte prima in Palinuro (che invoca la sepoltura), Didone , che di fronte a lui ostenta un muto disprezzo, e gli eroi della guerra di Troia. Anchise, infine, gli illustra la teoria della reincarnazione e gli presenta i grandi uomini del futuro di Alba e di Roma.

Libro VII: Lasciati gli inferi, Enea sbarca alla foce del Tevere dove, dopo un proemio interno e la descrizione del popolo di re Latino, Virgilio narra l’intervento di Giunone e della “furia” Alletto, che istigano alla guerra contro i nuovi arrivati la moglie di Latino, Amata, e il rutulo Turno. Quest’ultimo, in particolare, ambisce alla mano di Lavinia, figlia di Latino, che invece è stata promessa a Enea per sancire la nuova alleanza

Libro VIII: Sono descritti i preparativi della guerra, ormai inevitabile; ai Latini si unisce il re etrusco Mezenzio, mentre l’arcade Evandro si schiera con i Troiani. Nel frattempo Vulcano forgia nuove armi per Enea, che gli vengono consegnate dalla madre Venere: le immagini dello scudo illustrano la storia dei suoi discendenti, dalla fondazione di Romolo (753 a.C.) alla battaglia di Azio (31 a.C.).

Libro IX: Scoppia la guerra: Turno, di cui viene descritta l’aristia (ovvero, il brano narrativo che celebra le virtù e le imprese di un eroe glorioso), distrugge le navi di Enea, mentre Eurialo e Niso, due giovani valorosi troiani, sono uccisi dopo una coraggiosa impresa notturna.

Libro X: Il personaggio di Pallante, figlio di Evandro e fraterno compagno di Enea, viene ucciso da Turno, che lo spoglia del balteo, la cintura di cuoio dei soldati romani. Enea, per vendetta, massacra Lauso e Mezenzio.

Libro XI: La prima parte del libro è dedicata al compianto per i morti (e per Pallante in particolare), per la cui sepoltura vengono sospese le ostilità. Nella seconda parte, nella battaglia intorno a Laurento muore l’eroina Camilla, schieratasi a fianco di Turno.

Libro XII: Per porre fine alle ostilità tra i Troiani, sostenuti da Venere, e i Rutuli aiutati da Giunone, si prepara il duello finale di Enea e Turno: vari eventi e interventi divini ritardano lo scontro tra i due, che si conclude con la sconfitta di Turno da parte di Enea; l’eroe vorrebbe risparmiare il nemico, ma la vista della cintura di Pallante, esibita da Turno come trofeo di guerra, lo induce ad ucciderlo.

 

Lingua, stile e metro

 

Virgilio utilizza una lingua chiara e per nulla artificiosa: lo sforzo di esprimersi con semplicità e concisione produce a volte locuzioni originali che trovano il loro senso più profondo nelle radici stesse della lingua latina 3. Gli arcaismi, più frequenti che nelle altre opere del poeta, sono comunque rari: vanno ricordati soprattutto il verbo simplex pro composito, la terminazione ēre della terza persona dell’indicativo perfetto e, in misura minore, il dativo singolare olli anziché illi.

Nonostante lo stile sia nel complesso sobrio, non mancano ripetizioni di parole, parentesi ed effetti fonici come le allitterazioni, utili per sottolineare una scena e a conferirle pathos e drammaticità. Inoltre, sebbene di solito Virgilio si nasconda dietro la maschera del narratore onnisciente e oggettivo, talvolta si lascia andare ad apostrofi cariche di passione.

Il metro utilizzato è quello tradizionale del genere epico a partire da Omero: l’esametro. Tuttavia l’esametro latino, e dunque anche quello virgiliano, predilige la cesura semiquinaria alla cesura femminile dopo il terzo trocheo. Nell’opera si riscontra l’uso di esametri spondiaci, adoperati quando si vuole conferire al dettato una particolare gravitas, e cioè sostenutezza dell’espressione in accordo al contenuto elevato della narrazione.

 

La fortuna

 

La recitazione di alcuni brani dell’Eneide è testimoniata fin dalla loro prima circolazione dopo la stesura, mentre Virgilio è ancora in vita, e l’opera è elogiata dagli altri poeti di età augustea, come Properzio e Ovidio. Essa sostituisce rapidamente l’epica arcaica nelle scuole e diventa il paradigma per chiunque voglia cimentarsi in questo genere: Lucano, gli epici di età flavia, gli autori dell’epica biblica in epoca tardoantica.

Emistichi e versi virgiliani sono anche i mattoni che costituiscono i cosiddetti "centoni", come quello di Proba (IV sec.). L’Eneide fu poi letta in ogni epoca ed è alla base dell’epica neolatina (come l’Africa di Petrarca), della Commedia dantesca e della Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso, estendendo la propria influenza sino al Paradise Lost (1667) di John Milton (1608-1674).

 

Bibliografia selettiva

 

- Virgilio, Eneide, a cura di E. Paratore e traduzione di L. Canali, Milano, Mondadori, 1978-1983.
- F. della Corte (a cura di), Enciclopedia Virgiliana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia italiana, 1984-1991.
- M. von Albrecht, Virgilio. Un’introduzione, traduzione di A. Setaioli, Milano, Vita e Pensiero, 2012.

1 Cioè: “imitare Omero e lodare Augusto a partire dai suoi antenati”.

2 La legittimazione del potere romano è tradizionalmente basata sulla frase che conclude il discorso di Anchise al figlio Enea: “Parcere subiectis et debellare superbos” (Eneide, VI, 853), cioè “aver misericordia dei sottomessi e abbattere i superbi”.

3 Per questo il filologo Michael von Albrecht può sostenere che “come il viaggio di Enea, anche il cammino del poeta è allo stesso tempo un progredire verso il nuovo e una ricerca delle radici” (cfr. M. von Albrecht, Virgilio. Un’introduzione, traduzione di A. Setaioli, Milano, Vita e Pensiero, 2012, p. 195).