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"Inferno": riassunto e struttura della cantica

L’Inferno, primo regno attraversato dal poeta e dal fido Virgilio, è concepito da Dante come un grosso imbuto a forma di pozzo scosceso, creatosi - secondo la tradizione - dall’angelo caduto Lucifero che, precipitando sulla Terra e conficcandovisi al centro, avrebbe generato la voragine. In un sistema tolemaico e geocentrico, la porzione dell’emisfero boreale rimossa da Satana riemerge nell’altro emisfero, dando vita al regno purgatoriale visitato da Dante nella seconda cantica.

 

L’Inferno (composto da trentatré canti più un proemio) si dispone al suo interno secondo una struttura a spirale, che il poeta suddivide in nove cerchi distinti, i quali, nel corso del viaggio, corrisponderanno alla collocazione dei dannati e alla crescente gravità del loro peccato, punito secondo la legge del contrappasso (e cioè, secondo uno specifico rapporto di analogia o di contrapposizione rispetto alla colpa commessa in vita). Se quindi la ‘realtà’ dell’Inferno risponde in pieno alla teologia tolemaica medievale (che resta fonte privilegiata per Dante), tuttavia ogni singolo canto (e, più ancora, ogni singolo peccatore) vive anche di vita propria, conferendo rilievo tanto alle singole esperienze individuali quanto al loro significato in chiave morale, allegorico ed anagogico. A partire dalla selva da cui, “smarrita” la “diritta via” (Inferno, I, 3), Dante rischia la morte, il viaggio del personaggio è sempre rispondente alla teoria medievale di interpretazione del testo in senso letterale, morale, allegorico e salvifico: da qui la complessità di livelli della rappresentazione poetica e la molteplicità di significati che ogni situazione o figura assume.

 

Passata la selva, l’Antinferno e il Limbo, dove hanno sede i non battezzati o i morti prima di Cristo, tra cui Virgilio, (canti I-IV) si entra nell’Inferno vero e proprio: il secondo cerchio è quello dei lussuriosi (canto V, quello celeberrimo di Paolo e Francesca), mentre nel terzo e quarto cerchio (rispettivamente, canti VI e VII) troviamo peccatori di gola, avari e prodighi. Contemplati nel quinto cerchio iracondi ed accidiosi (canti VII-IX), Dante arriva - nel sesto cerchio - alla città infernale di Dite (canti IX-XI), dove sono confinati gli eretici (canto X, con protagonisti Farinata e Cavalcante). Cominciano da qui in poi i peccati di violenza, suddivisi in tre gironi (canti XII-XVII) secondo una tipica gradazione di gravità; tra le figure memorabili, il suicida Pier delle Vigne (canto XIII), il bestemmiatore Capaneo (canto XIV) e Brunetto Latini (canto XV, quello dei sodomiti). L’ottavo cerchio (canti XVIII-XXX) raccoglie con le sue dieci bolge la nutrita schiera degli ingannatori, tra cui ricordiamo l’icastica figura di Ulisse (canto XXVI). Il pozzo dei Giganti (una delle molte figure della mitologia classica trasposte da Dante nell’inferno cristiano) introduce al punto più profondo della caverna dei dannati: il nono cerchio (canti XXXI-XXXIV) riunisce i traditori, divisi nelle regioni della Caina (traditori dei parenti), dell’Antenora (traditori della patria, come l’Ugolino della Gherardesca del canto XXXIII), della Tolomea (traditori degli ospiti) e della Giudecca (traditori dei benefattori). Lo sfondo è quello del lago Cocito, interamente ghiacciato e su cui spira un vento eterno prodotto dalle ali di Lucifero, intento a divorare senza sosta i traditori per eccellenza: Bruto e Cassio - i cesaricidi traditori dell’autorità imperiale - e Giuda Iscariota, traditore di Gesù Cristo e quindi dell’autorità divina. Conosciute tutte le gradazioni del Male, Virgilio (portandosi Dante a spalle) può allora arrampicarsi su Lucifero e, attraverso la “natural burella” (Inferno XXXIV, 98), uscir “a riveder le stelle” (v. 139) in direzione della spiaggia del Purgatorio.