La Commedia dantesca è un’opera letteraria di una tale complessità che al suo interno si può individuare una gran molteplicità di fonti e modelli letterari e filosofici, sia antichi sia contemporanei a Dante. Ciò che rende difficile identificare in maniera precisa e puntuale tutti i modelli culturali dello scrittore - al di là della cultura articolata ed eterogenea dell’Alighieri che, come si vede anche nel Convivio, non si cura particolarmente di mescolare talvolta tra loro autori e opere non concilabili - è il fatto che Dante cita molto di rado le sue fonti in maniera diretta. Ne abbiamo un buon esempio ad inizio del poema, nel secondo canto, in cui Dante, avendo dei timori e dei dubbi in merito alla sua effettiva possibilità di effettuare il viaggio ultramondano, si metta a confronto con Enea e San Paolo, riprendendo di conseguenza, ma in maniera comunque indiretta, alcune delle sue fonti (quali appunto, il poema virgiliano o la Seconda lettera ai Corinzi):
Ma io, perché venirvi? O chi ‘l concede?
Io non Enëa, io non Paulo sono;
me degno a ciò né io né altri ‘l crede.
Per che, se del venire io m’abbandono,
temo che la venuta non sia folle.
Se’ savio; intendi me’ ch’i non ragiono. 1
Per avere un’idea più chiara e schematica delle fonti della Commedia possiamo allora, per comodità, dividerle in cinque gruppi: classiche, filosofiche, cristiane, medievali e arabe.
Fonti classiche
Virgilio e l’Eneide sono sicuramente una delle fonti principali per Dante, innanzitutto per il ruolo che viene attribuito a Virgilio stesso, come guida, maestro e simbolo della Ragione umana, ma anche per i molteplici riferimenti mitologici ripresi del poema classico con particolare attenzione al VI libro dell’Eneide, momento in cui il protagonista, Enea, considerato figura Christi 2, scende nell’Averno. Se il modello virgiliano (e i tributi riverenti al maestro da parte dell’allievo) costituisce una delle ossature principali del poema in volgare, fino al commovente congedo nel trentesimo canto del Purgatorio, altri autori antichi e classici (e quindi pagani) sono ben presenti. Oltre al modello omerico dell’Odissea (del resto, anche la Commedia è il racconto di un viaggio, e a Ulisse - come tutti sanno - è dedicato uno dei canti più celebri di tutta l’opera, il ventiseiesimo dell’Inferno) che Dante può leggere in latino, si va infatti da Orazio (l’Ars poetica) e Ovidio (le Metamorfosi nel Medioevo sono un vero e proprio archivio di esempi, modelli e citazioni; prima fra tutte, la figura di Orfeo, già ricordata da Virgilio sempre nel sesto libro dell’Eneide), a Stazio (la Tebaide; e il poeta latino comparirà nel ventunesimo canto del Purgatorio), fino a Lucano 3 (e la sua Pharsalia, o Bellum civile), senza dimenticare Cicerone con il suo De re publica (e la conclusioone del sesto libro sul Somnium Scipionis).
In particolare, di quest’ultima opera si recupera (e più precisamente dal sesto libro) il cosiddetto Somnium Scipionis che, trattando dell’incontro in sogno tra Scipione l’Emiliano e il nonno Scipione l’Africano, è, nella cultura medievale, un testo capitale (anche grazie ad un “commentario” di Macrobio nel V secolo) per sviluppare il tema della visione profetica (che ricorre nella Commedia non solo nella struttura del viaggio del protagonista ma anche in alcuni episodi fondamentali: basti pensare alle figure di Ciacco, Farinata o Cacciaguida) e quello riflessione sull’immortalità dell’anima; tutti elementi che, nella visione sincretica tipica dell’intellettuale medievale, saranno rielaborati e confluiranno nel filone neoplatonico del Cristianesimo. Nè si può dimenticare che alla base della rilettura dei “classici” c’è sempre, nella mentalità medievale, la teoria dei “quattro sensi” dell’interpretazione: il senso letterale (che trasmette la “lettera” del testo, ovvero il suo riferirsi al mondo reale), quello allegorico (in cui dietro la storia fittizia c’è un senso recondito da scoprire), quello morale (relativo all’insegnamento etico che si può desumere dalle pagine scritte) e quello anagogico (che reinterpreta il contenuto dell’opera in ottica spiritual-salvifica).
Fonti filosofiche
In merito alle fonti di ambito filosofico (in merito alle quali occorre ricordare che già il Convivio testimonia la ricchezza e le sfaccettature della cultura dantesca) si può riscontrare la conoscenza e la presenza di Platone e Aristotele (“maestro di color che sanno” per Dante, in Inferno, IV, v. 131), oltre a Severino Boezio (480 circa - 526) con il De consolatione philosophiae (un prosimetro che narra il dialogo tra l’autore, condannato a morte, e la Filosofia), l’Itinerarium mentis in Deum del francescano Bonaventura da Bagnoregio (1217/1221-1274), per il quale tutte le forme della conoscenza umana tendono naturalmente verso Dio, e il mistico Bernardo di Chiaravalle, collocato nel Paradiso come terza e ultima guida di Dante (canti XXXI-XXXIII). Ovviamente, punto cardinale del “Dante filosofo” è la Summa Theologiae di Tommaso d’Aquino (1221-1274), anch’egli presente nella cantica paradisiaca, che è il testo filosofico e morale di riferimento per Dante e, più in generale, uno dei testi più importanti del pensiero occidentale.
Fonti cristiane
Se è naturale che in Dante fonti filosofiche e fonti religiose si intersechino e si sovrappongano (e del resto la stessa struttura ideologica della Commedia prevede che ad un certo punto la Ragione, e cioè Virgilio, lasci spazio alla Teologia, ovvero Beatrice), si capisce come anche le fonti cristiane abbondino nelle pagine del poema dantesco. Ovviamente è la Bibbia il testo di riferimento principale per figure, episodi e situazioni con cui il poeta a mano a mano si confronta; bisogna tuttavia ricordare altri testi centrali nell’immaginario collettivo del Medioevo. Uno è senza dubbio la Seconda lettera ai Corinzi del già citato san Paolo di Tarso 4 (la Lettera verrà poi ulteriormente sviluppata nella Visio sancti Pauli del V secolo, che racconta appunto la visione d’ascesa di Paolo al terzo cielo paradisiaco), l’altro è l’Apocalisse, ultimo libro neotestamentario e attribuito all’apostolo Giovanni.
Fonti medievali
Oltre alla cultura classica, filosofica e teologica, non possiamo però prescindere dalla conoscenza dantesca della sua contemporaneità e dalla diffusione di opere riportanti i racconti di leggende legati alla figura di Cristo e di santi. In questo senso, tra i testi che fanno da base alla Commedia ci sono leggendari medievali e raccolte di vite di santi quali la Legenda Aurea del domenicano Jacopo da Varazze (1238-1298), oppure testi appartenenti al filone del “viaggio ultraterreno” quali la Navigatio Sancti Brendani (IX-X secolo, di area irlandese) e la leggenda del Purgatorio di San Patrizio (opera di un monaco cistercense della fine del XII secolo) a cui bisogna aggiungere il filone delle visioni ultramondane. Per quanto riguarda testi più vicini a livello cronologico rispetto alla composizione della Commedia, della seconda metà del XIII secolo in poi, possiamo pensare al De Babilonia civitate infernali e al De Ierusalem Coelesti di Giacomino da Verona, al Libro delle tre scritture di Bonvesin de la Riva (1240 ca. - 1315 ca.) e al Libro dei vizi e delle virtù di Bono Giamboni (1235-1295), in cui il valore simbolico-allegorico del viaggio nell’aldilà acquista un preciso valore morale e didascalico.
Fonti arabe
Molti critici, sulla scorta di alcuni studi di Maria Corti, sostengono oggi in maniera più convinta la conoscenza della cultura araba da parte di Dante, filtrata da una serie di traduzioni. Un esempio è sicuramente quello del Libro della Scala, opera escatologica in arabo in cui viene raccontata l’ascesa di Maometto al cielo, e tradotto successivamente, su commissione di Alfonso X di Castiglia in spagnolo, francese antico e latino (negli ultimi due casi, il lavoro venne commissionato a Bonaventura da Siena). Inoltre la diffusione della cultura araba in area italiana è testimoniata dalla presenza di studiosi, libri e persone alla corte di Federico II e nelle università, come Bologna e Padova, dove veniva discusso il commento di Averroè ad Aristotele.
Di fornte a questo variegato panorama, l’eccezionalità poetica di Dante sta allora nella capacità di coniugare e fondere questa molteplicità di fonti, spunti e tematiche, riuscendo a creare nella sua Commedia un mondo nuovo, vivo ed ancora attuale, con una rigorosità strutturale, dottrinale ed artistica non comune a gran parte delle opere coeve e venture.
Bibliografia essenziale:
Inferno, a cura di U. Bosco e G. Reggio, Firenze, Le Monnier, 2002.
Enciclopedia Dantesca, in Enciclopedia Treccani, Milano, Mondadori.
E. Auerbach, Studi su Dante, Milano, Feltrinelli, 2002 (1° edizione 1963).
E. Pasquini, Dante e le figure del vero, Milano, Mondadori, 2001.
C. Singleton, La poesia della Divina Commedia, Bologna, Il Mulino, 1999.
1 Inferno, II, 31-36.
2 E cioè, secondo il concetto di “figura” dantesca elaborata dal filologo e critico tedesco Erich Auerbach, una “prefigurazione” e una anticipazione nel corso della Storia del mondo di Cristo e della redenzione cristiana.
3 Si ricordino allora i versi del quarto canto dell’Inferno (vv. 85-93), che tributano i giusti onori ai propri modelli poetici: “Lo buon maestro cominciò a dire: | «Mira colui con quella spada in mano, | che vien dinanzi ai tre sì come a sire: | quelli è Omero poeta sovrano; | l’altro è Orazio satiro che vene; | Ovidio è ‘l terzo, e l’ultimo Lucano. | Però che ciascun meco si convene | nel nome che sonò la voce sola, | fannomi onore, e di ciò fanno bene»”.
4 Si veda ad esempio questo passo: “Conosco un uomo in Cristo che, quattordici anni fa - se con il corpo o fuori del corpo non lo so, lo sa Dio - fu rapito fino al terzo cielo. E so che quest'uomo - se con il corpo o senza corpo non lo so, lo sa Dio. Fu rapito in paradiso e udì parole indicibili che non è lecito ad alcuno pronunziare” (II Cor., 12, 2-4).