Nel ventunesimo canto del Purgatorio Dante si trova nella quinta cornice, quella di avari e prodighi; il momento è tuttavia quello dell’incontro con il poeta latino Stazio, che qui scopre di avere di fronte a sé Virgilio, suo grande modello di poetica e stile. Stazio (40-96 d.C.), poeta romano è ricordato soprattutto per il poema epico Tebaide (assai vicino alla Pharsalia di Lucano) e per l’incompiuta Achilleide.
- La sete natural che mai non sazia
- se non con l’acqua onde la femminetta
- samaritana domandò la grazia 1,
- mi travagliava, e pungeami la fretta
- per la ’mpacciata via 2dietro al mio duca,
- e condoleami a la giusta vendetta.
- Ed ecco, sì come ne scrive Luca 3
- che Cristo apparve a’ due ch’erano in via,
- già surto fuor de la sepulcral buca,
- ci apparve un’ombra, e dietro a noi venìa,
- dal piè guardando la turba che giace;
- né ci addemmo di lei, sì parlò pria,
- dicendo: "O frati miei, Dio vi dea pace".
- Noi ci volgemmo sùbiti, e Virgilio
- rendéli ’l cenno ch’a ciò si conface 4.
- Poi cominciò 5: "Nel beato concilio
- ti ponga in pace la verace corte
- che me rilega ne l’etterno essilio".
- "Come!", diss’elli, e parte 6 andavam forte:
- "se voi siete ombre che Dio sù non degni,
- chi v’ ha per la sua scala tanto scorte?".
- E ’l dottor mio: "Se tu riguardi a’ segni
- che questi porta e che l’angel profila 7,
- ben vedrai che coi buon convien ch’e’ regni.
- Ma perché lei che dì e notte fila
- non li avea tratta ancora la conocchia
- che Cloto impone a ciascuno e compila 8,
- l’anima sua, ch’è tua e mia serocchia,
- venendo sù, non potea venir sola,
- però ch’al nostro modo non adocchia 9.
- Ond’io fui tratto fuor de l’ampia gola
- d’inferno per mostrarli, e mosterrolli
- oltre, quanto ’l potrà menar mia scola 10.
- Ma dimmi, se tu sai, perché tai crolli
- diè dianzi ’l monte, e perché tutto ad una
- parve gridare infino a’ suoi piè molli 11".
- Sì mi diè, dimandando, per la cruna
- del mio disio 12, che pur con la speranza
- si fece la mia sete men digiuna 13.
- Quei cominciò: "Cosa non è che sanza
- ordine senta la religïone
- de la montagna, o che sia fuor d’usanza 14.
- Libero è qui da ogne alterazione:
- di quel che ’l ciel da sé in sé riceve
- esser ci puote, e non d’altro, cagione 15.
- Per che non pioggia, non grando, non neve,
- non rugiada, non brina più sù cade
- che la scaletta di tre gradi breve 16;
- nuvole spesse non paion né rade,
- né coruscar, né figlia di Taumante 17,
- che di là cangia sovente contrade;
- secco vapor non surge più avante
- ch’al sommo d’i tre gradi ch’io parlai,
- dov’ ha ’l vicario di Pietro le piante 18.
- Trema forse più giù poco o assai;
- ma per vento che ’n terra si nasconda 19,
- non so come, qua sù non tremò mai.
- Tremaci quando alcuna anima monda
- sentesi, sì che surga o che si mova
- per salir sù; e tal grido seconda.
- De la mondizia sol voler fa prova,
- che, tutto libero a mutar convento,
- l’alma sorprende, e di voler le giova.
- Prima vuol ben, ma non lascia il talento
- che divina giustizia, contra voglia,
- come fu al peccar, pone al tormento 20.
- E io, che son giaciuto a questa doglia
- cinquecent’anni e più, pur mo sentii
- libera volontà di miglior soglia:
- però sentisti il tremoto e li pii
- spiriti per lo monte render lode
- a quel Segnor, che tosto sù li ’nvii".
- Così ne disse; e però ch’el si gode
- tanto del ber quant’è grande la sete,
- non saprei dir quant’el mi fece prode 21.
- E ’l savio duca: "Omai veggio la rete
- che qui vi ’mpiglia e come si scalappia,
- perché ci trema e di che congaudete 22.
- Ora chi fosti, piacciati ch’io sappia,
- e perché tanti secoli giaciuto
- qui se’, ne le parole tue mi cappia".
- "Nel tempo che ’l buon Tito 23, con l’aiuto
- del sommo rege, vendicò le fóra 24
- ond’uscì ’l sangue per Giuda venduto,
- col nome che più dura e più onora
- era io di là", rispuose quello spirto,
- "famoso assai, ma non con fede ancora.
- Tanto fu dolce mio vocale spirto,
- che, tolosano, a sé mi trasse Roma,
- dove mertai le tempie ornar di mirto 25.
- Stazio 26 la gente ancor di là mi noma:
- cantai di Tebe, e poi del grande Achille;
- ma caddi in via con la seconda soma.
- Al mio ardor fuor seme le faville,
- che mi scaldar, de la divina fiamma
- onde sono allumati più di mille;
- de l'Eneïda dico, la qual mamma
- fummi, e fummi nutrice, poetando:
- sanz'essa non fermai peso di dramma 27.
- E per esser vivuto di là quando
- visse Virgilio, assentirei un sole
- più che non deggio al mio uscir di bando 28".
- Volser Virgilio a me queste parole
- con viso che, tacendo, disse "Taci";
- ma non può tutto la virtù che vuole 29;
- ché riso e pianto son tanto seguaci
- a la passion di che ciascun si spicca,
- che men seguon voler ne’ più veraci 30.
- Io pur sorrisi come l’uom ch’ammicca;
- per che l’ombra si tacque, e riguardommi
- ne li occhi ove ’l sembiante più si ficca 31;
- e "Se 32 tanto labore in bene assommi",
- disse, "perché la tua faccia testeso
- un lampeggiar di riso dimostrommi?".
- Or son io d’una parte e d’altra preso:
- l’una mi fa tacer, l’altra scongiura
- ch’io dica; ond’io sospiro 33, e sono inteso
- dal mio maestro, e "Non aver paura",
- mi dice, "di parlar; ma parla e digli
- quel ch’e’ dimanda con cotanta cura".
- Ond’io: "Forse che tu ti maravigli,
- antico spirto, del rider ch’io fei;
- ma più d’ammirazion vo’ che ti pigli.
- Questi che guida in alto li occhi miei,
- è quel Virgilio dal qual tu togliesti
- forte a cantar de li uomini e d’i dèi.
- Se cagion altra al mio rider credesti,
- lasciala per non vera, ed esser credi
- quelle parole che di lui dicesti".
- Già s’inchinava ad abbracciar li piedi
- al mio dottor, ma el li disse: "Frate,
- non far, ché tu se’ ombra e ombra vedi".
- Ed ei surgendo: "Or puoi la quantitate
- comprender de l’amor ch’a te mi scalda,
- quand’io dismento nostra vanitate,
- trattando l’ombre come cosa salda 34".
- Il desiderio di sapere innato che non finisce
- se non con l’acqua di cui chiese la donna
- di Samaria per ottenere la grazia,
- mi tormentava, e mi spingeva la fretta di
- seguire il mio maestro nella via difficoltosa e
- provavo compassione per la loro giusta pena.
- Ed ecco, così come scrive Luca nel Vangelo,
- che Cristo apparve a due discepoli,
- già risorto e fuori dal sepolcro,
- qui ci apparve un’ombra, venendo dietro noi,
- che stavamo attenti a non calpestare la schiera
- che giaceva, nè ci accorgemmo di lei, finchè non parlò,
- dicendoci: “O fratelli miei, Dio vi renda pace”.
- Noi ci girammo subito, e Virgilio gli rese
- il saluto che si conviene al gesto di saluto.
- Poi iniziò: “Nella schiera dei beati
- ti ponga in pace il tribunale divino,
- che invece rilega me nell’esilio eterno del Limbo”.
- “Come?”disse lui, e intanto si camminava
- veloce: “se siete anime non degne di Dio,
- chi vi ha guidato per questa salita?”
- E il mio maestro: “Se tu guardi bene i segni
- che lui porta e che l’angelo segna,
- vedrai bene che lui è destinato a stare con i beati.
- Ma poichè Lachesi non aveva ancora finito
- di filare il filo della vita che Cloto avvolge per ciascuno
- e di cui decide la lunghezza,
- la sua anima, che è sorella mia e tua,
- salendo qui, non poteva venire da sola, perchè
- non vede bene come noi anime aeree.
- Per questo, io potei uscire dall'ampia gola
- infernale, per mostrargli, e gli mostrerò
- ancora, fino a quando io potrò.
- Ma dimmi, se tu lo sai, perchè tali scosse
- ha avuto il monte poco fa, perchè all’unisono
- tutte le anime iniziarono a cantare?”
- Chiedendo questo, riuscì ad infilare il filo
- nella cruna del mio desiderio, che, già solo
- con la speranza di risposta, si placò la sete.
- Egli cominciò: “Non esiste cosa che la legge di Dio
- di questo monte possa provare
- fuori dall’ordine o dalle usanze solite.
- Qui non esiste perturbazione climatica:
- qui ci può essere solo ciò che il cielo
- riceve da sé e per sé, e non altro che venga da fuori.
- Perciò, dopo i tre gradini dell’ingresso,
- non piove, non grandina, non nevica,
- non c’è la rugiada, non esiste brina;
- non si vedono né nuvole spesse, né rade,
- né lampi, né l’arcobaleno,
- che in terra cambia spesso zona;
- neanche il vapore secco non esiste più
- dopo i tre gradini di qui parlai,
- dove si trova l’angelo vicario di Pietro.
- Forse trema più o meno sotto i tre gradini;
- ma per il vento imprigionato nella terra,
- non so perché, qui il monte non tremò mai.
- Trema solo quando un’anima si sente
- purificata, così che si alza e si muove
- per salire; a ciò segue il grido di gioia.
- Della purificazione è prova il desiderio che,
- libero ormai di poter cambiare luogo,
- sorprende l’anima, cui piace seguir questa volontà.
- Anche prima desidera il bene, ma non può
- per il talento che la giustizia, contro la volontà,
- come nel momento del peccare, tormenta.
- Ed io, che giaccio a terra per mondarmi
- da più di cinquecento anni, solo ora ho sentito
- la volontà libera di poter salire:
- per questo tu sentisti il terremoto e gli spiriti
- pii in tutto il monte del Purgatorio rendere lode
- a Dio, perchè presto li accolga in Paradiso”.
- E disse questo; e poiché è tanto il godimento
- nel bere quanto grande è la sete,
- non saprei dire quanto mi rese felice.
- E la mia guida saggia: “Ormai vedo il nodo
- che qui vi tiene e come liberarvene,
- perchè il monte trema e perchè cantiate.
- Ora ti piaccia che io sappia chi fosti in terra,
- e perchè sei da molti secoli in questo luogo,
- come ho capito dalle tue parole”.
- “Nel tempo in cui il buon Tito, con l’aiuto di
- Dio vendicò le ferite da cui uscì il sangue
- di Cristo che fu venduto da Giuda,
- con il nome di poeta, che dura ed onora
- nel tempo, fui sulla terra" rispose l’anima,
- "molto famoso, ma ancora pagano.
- Fu così dolce il mio canto, che,
- nonostante fossi di Tolosa, Roma
- mi chiamò a sé, dove fui coronato col mirto.
- La gente viva mi chiama ancora Stazio:
- cantai di Tebe, e poi del grande Achille;
- ma morii prima di completare la seconda opera.
- La mia poesia prese origine e nacque
- grazie alla divina opera
- a cui si sono ispirati molti poeti;
- mi riferisco all’Eneide, che fu per me madre
- e nutrice per la mia poesia: senza questa
- opera alcuna mia parola avrebbe senso.
- E per poter esser vissuto nello stesso
- periodo in cui visse Virgilio, accetterei
- un altro anno di espiazione in questa cornice".
- Queste parole fecero volgere Virgilio verso di
- me con un viso che, tacendo, mi disse:
- “Taci”’; ma la volontà non può ogni cosa;
- perchè il riso ed il pianto seguono tanto
- la passione da cui scaturiscono,
- che seguono meno la volontà nei momenti più sinceri.
- Io sorrisi appena come chi ammicca,
- ma Stazio vedendolo tacque, e mi guardò
- profondamente negli occhi dove si imprime il sentimento;
- e “Possa tu condurre a buon fine il tuo
- viaggio” disse, “ma perchè ora il tuo viso ha mostrato,
- rapido come un fulmine, un sorriso?”.
- Ora io sono preso da due volontà opposte:
- una mi dice di tacere, l’altra prega affinchè
- io dica; per questo sospiro, e sono capito
- dal mio maestro, e “Non aver timore”,
- mi dice, “di parlare; ma parla e rispondi
- a quello che ti chiede con grande desiderio”.
- Ed io: “Forse tu ti meravigli, o antico spirito,
- del mio sorrido, ma voglio che tu provi
- un’ammirazione ancora maggiore.
- Colui che mi guida verso l’alto,
- è proprio quel Virgilio da cui tu prendesti
- tutta l'ispirazione per cantare uomini e dei.
- Se credesti ci fosse altro motivo del mio
- ridere, non ritenerlo vero, ma credi invece
- che fu quello che tu dicesti di lui”.
- Stava per inchinarsi a baciarei piedi
- al mio maestro, quando Virgilio gli disse: “Fratello,
- non farlo, tu sei uno spirito e uno spirito vedi".
- Ed egli alzandosi: “Ora puoi comprendere
- il grande amore che mi spinge verso di te,
- nel momento in cui io dimentico la nostra condizione,
- trattando le ombre come cose corporee”.
1 La sete natural che mai non sazia | se non con l’acqua onde la femminetta | samaritana domandò la grazia: I versi introduttivi del canto riprendono l’episodio della Samaritana (Giovanni, IV, 6-15) in cui Cristo chiede da bere alla giovane donna. Questa gli porge dell’acqua, ma una volta saputo chi si trova di fronte gli chiede di darle un’altra acqua, così che lei possa non avere più sete (“Chiunque beve quest’acuqa avrà sete ancora; ma chi beve l’acqua che io gli darò, non avrà sete in eterno”). Le due terzine dantesche dicono che è insita della natura umana la sete di sapere, che può però essere placata solo con la Rivelazione cristiana.
2 la ‘mpacciata via: la via ostacolata dalla presenza di anime in espiazione, e i due protagonisti prestano attenzione per non calpestarle.
3 Luca: riferimento all’episodio evangelico dell’apparizione di Cristo a due discepoli sulla via di Emmaus (Luca, XXIV, 3-17).
4 ch’a ciò si conface: rendere il gesto di saluto opportuno a quanto ricevuto, sempre secondo le regole della cortesia e della misura.
5 Poi cominciò: parla Virgilio.
7 profila: “ha tracciato”. Sono i segni delle P tracciate dall’angelo sulla fronte di Dante ad indicare il suo processo di espiazione.
8 Ma perché lei che dì e notte fila | non li avea tratta ancora la conocchia | che Cloto impone a ciascuno e compila: le Parche sono le divinità che regolano il destino degli uomini: Cloto, colei che tesse il filo della vita, la filatrice, Lachesi, colei che assegna il destino agli uomini, e Atropo, colei che recide il filo della vita.
9 adocchia: Dante, essendo ancora vivo, non ha la possibilità di vedere come le anime, dato che la sua vista è ancora annebbiata e offuscata.
10 quanto ’l potrà menar mia scola: fino a dove il mio insegnamento - tramite quindi la Ragione umana, di cui Virgilio è simbolo - può arrivare.
11 Ai versi successivi (vv. 37-75) Dante tramite Virgilio chiede una spiegazione sul terremoto che ha da poco avvertito e che sarà dovuto dall’ascensione di un’anima purificata al Cielo.
12 disio: cioè Virgilio si fa interprete molto acuto del desiderio di Dante, con un’abilità pari a quella di infilare un filo nella cruna dell’ago.
13 digiuna: fu sufficiente anche solo la speranza di avere una risposta che la mia sete di sapere venne in parte soddisfatta. Viene qui ripresa la metafora iniziale tra la sete e la sete di conoscenza.
14 Sul monte del Purgatorio può avvenire solo ciò che è prestabilito dall’ordine divino; anche il terremoto rientra quindi nell’ordine assoluto della legge divina. Il tono del discorso di Stazio è da subito assai elevato, e retoricamente costruito.
15 di quel che ’l ciel da sé in sé riceve | esser ci puote, e non d’altro, cagione: l’unica causa possibile per le alterazioni che avvengono nel Purgatorio è di origine divina.
16 la scaletta di tre gradi breve: i tre gradini che delimitano l’ingresso vero del Purgatorio.
17 Figlia di Taumante: Iride, figlia di Taumante ed Elettra, messaggera degli dei e personificazione dell’arcobaleno.
18 piante: l’angelo custode del Purgatorio poggia le piante dei piedi sul terzo gradino.
19 per vento che ‘n terra si nasconda: Stazio afferma di non sapere il motivo per cui in Purgatorio non si registrano i terremoti terrestri generati da venti imprigionati nelle viscere della Terra.
20 De la […] tormento: secondo la filosofia di S. Tommaso, l’anima ha una “volontà assoluta” che la spinge alla perfezione ed una “volontà relativa”, chiamata anche “talento”. L’anima tende alla volontà assoluta, ma si sente bloccata dai peccati commessi. Per questo le anime purganti presentano due opposte tensioni: da un lato la sofferenza per le pene che devono espiare, dall’altro la felicità nel sapere che la realizzazione della libertà assoluta sarà Dio.
21 In questa terzina continua la metafora della sete di conoscenza, già presente dall’inizio del canto.
22 Dopo il discorso esplificativo di Stazio, Virgilio capisce perfettamente il motivo per cui le anime sono ferme nel Purgatorio per espiare le colpe commesse in vita, e al contempo ora sa anche come è possibile superare questo impedimento per poter proseguire il percorso di espiazione.
23 Tito: figlio dell’imperatore Vespasiano, Tito (39-81 d.C.) passò alla storia, oltre che per l’ottima amministrazione dell'Impero, per la repressione della rivolta giudaica del 70 d.C., quando distrusse il tempio di Gerusalemme, riconquistando la città. In tal senso, Dante può considerarlo come “vendicatore” della condanna di Cristo alla croce.
24 fora: le ferite sul corpo di Cristo in seguito alla crocifissione.
25 mirto: Stazio ottenne la corona di mirto, come riconoscimento delle sue doti letterarie e della sua grandezza poetica.
26 Stazio (45-96 d.C.), poeta latino, visse durante il regno dei Flavi, ed ebbe come poeta di riferimento Virgilio a cui si ispirò per le sue opere, la Tebaide e l’Achilleide.
27 Al mio ardor [...] peso di dramma: queste due terzine vogliono elogiare l’Eneide e il suo autore, riconoscendolo come uno dei poeti dell’antichità più importanti per i secoli successivi.
28 Più che non deggio al mio uscir di bando: Stazio afferma che avrebbe preferito rimanere un anno in più di quello che sarebbe spettato per la sua espiazione pur di aver avuto la possibilità di poter vivere nello stesso periodo in cui visse Virgilio.
29 la virtù che vuole: la volontà volitiva, secondo le suddivisioni della filosofia tomistico-aristotelica.
30 In questa terzina Dante vuole dire che le passioni difficilmente possono essere dissimulate dalle persone più sincere e vere.
31 ove ’l sembiante più si ficca: nel luogo in cui il sentimento umano diveta più intenso e più trasparente al tempo stesso.
32 Se: con valore ottativo.
33 sospiro: Dante sospira poichè non sa che decisione prendere ed aspetta un consiglio, che arriverà tra poco dal suo maestro.
34 Stazio, quasi dimentico della sua condizione di anima incorporea cerca di abbracciare Virgilio per mostrargli l'affetto e la devozione che ha avuto in vita per il grande poeta.