Introduzione
Nel Canto XVI del Purgatorio, Dante e Virgilio avanzano nella terza cornice, totalmente invasa da un fumo denso e scuro, che per contrappasso rappresenta l’oscuramento della mente causato dall’ira. Qui sono infatti puniti gli spiriti degli iracondi. Dante parla ora con Marco Lombardo, cortigiano nobile e generoso di cui si hanno scarse notizie storiche, con cui discute del problema del libero arbitrio e delle cause della corruzione umana, nonché del rapporto tra potere temporale e spirituale.
Il canto dunque ha un’impostazione eminentemente politica e morale.
Parafrasi
- Buio d’inferno e di notte privata
- d’ogne pianeto 1, sotto pover cielo,
- quant’esser può di nuvol tenebrata 2,
- non fece al viso mio sì grosso velo
- come quel fummo 3 ch’ivi ci coperse,
- né a sentir di così aspro pelo 4,
- che l’occhio stare aperto non sofferse;
- onde la scorta mia saputa e fida
- mi s’accostò e l’omero m’offerse.
- Sì come cieco va dietro a sua guida
- per non smarrirsi e per non dar di cozzo
- in cosa che ’l molesti, o forse ancida,
- m’andava io per l’aere amaro e sozzo 5,
- ascoltando il mio duca che diceva
- pur: "Guarda che da me tu non sia mozzo".
- Io sentia voci, e ciascuna pareva
- pregar per pace e per misericordia
- l’Agnel di Dio che le peccata leva.
- Pur ’Agnus Dei’ 6 eran le loro essordia;
- una parola in tutte era e un modo 7,
- sì che parea tra esse ogne concordia.
- "Quei sono spirti, maestro, ch’i’ odo?",
- diss’io. Ed elli a me: "Tu vero apprendi,
- e d’iracundia van solvendo il nodo" 8.
- "Or tu chi se’ che ’l nostro fummo fendi 9,
- e di noi parli pur come se tue
- partissi ancor lo tempo per calendi?” 10
- Così per una voce detto fue;
- onde ’l maestro mio disse: "Rispondi,
- e domanda se quinci si va sùe".
- E io: "O creatura che ti mondi
- per tornar bella a colui che ti fece,
- maraviglia udirai, se mi secondi".
- "Io ti seguiterò quanto mi lece",
- rispuose; "e se veder fummo non lascia,
- l’udir ci terrà giunti in quella vece".
- Allora incominciai: "Con quella fascia
- che la morte dissolve men vo suso,
- e venni qui per l’infernale ambascia 11.
- E se Dio m’ ha in sua grazia rinchiuso,
- tanto che vuol ch’i’ veggia la sua corte
- per modo tutto fuor del moderno uso 12,
- non mi celar chi fosti anzi la morte,
- ma dilmi, e dimmi s’i’ vo bene al varco 13;
- e tue parole fier le nostre scorte".
- "Lombardo fui, e fu’ chiamato Marco 14;
- del mondo seppi, e quel valore amai
- al quale ha or ciascun disteso l’arco 15.
- Per montar sù dirittamente vai".
- Così rispuose, e soggiunse: "I’ ti prego
- che per me prieghi quando sù sarai".
- E io a lui: "Per fede mi ti lego
- di far ciò che mi chiedi; ma io scoppio
- dentro ad un dubbio, s'io non me ne spiego.
- Prima era scempio, e ora è fatto doppio
- ne la sentenza tua, che mi fa certo
- qui, e altrove, quello ov’io l’accoppio.
- Lo mondo è ben così tutto diserto
- d’ogne virtute, come tu mi sone,
- e di malizia gravido e coverto;
- ma priego che m’addite la cagione,
- sì ch’i’ la veggia e ch’i’ la mostri altrui;
- ché nel cielo uno, e un qua giù la pone".
- Alto sospir, che duolo strinse in "uhi!",
- mise fuor prima; e poi cominciò: "Frate,
- lo mondo è cieco, e tu vien ben da lui.
- Voi che vivete ogne cagion recate
- pur suso al cielo, pur come se tutto
- movesse seco di necessitate 16.
- Se così fosse, in voi fora distrutto
- libero arbitrio 17, e non fora giustizia
- per ben letizia, e per male aver lutto.
- Lo cielo i vostri movimenti inizia;
- non dico tutti, ma, posto ch’i’ ’l dica,
- lume v'è dato a bene e a malizia,
- e libero voler; che, se fatica
- ne le prime battaglie col ciel dura,
- poi vince tutto, se ben si notrica.
- A maggior forza e a miglior natura
- liberi soggiacete 18; e quella cria
- la mente in voi, che ’l ciel non ha in sua cura. 19
- Però, se ’l mondo presente disvia,
- in voi è la cagione, in voi si cheggia;
- e io te ne sarò or vera spia.
- Esce di mano a lui che la vagheggia
- prima che sia, a guisa di fanciulla
- che piangendo e ridendo pargoleggia,
- l’anima semplicetta 20 che sa nulla,
- salvo che, mossa da lieto fattore,
- volontier torna a ciò che la trastulla.
- Di picciol bene in pria sente sapore;
- quivi s’inganna, e dietro ad esso corre,
- se guida o fren non torce suo amore.
- Onde convenne legge per fren porre;
- convenne rege aver, che discernesse
- de la vera cittade 21 almen la torre.
- Le leggi son, ma chi pon mano ad esse?
- Nullo, però che 'l pastor che procede,
- rugumar può, ma non ha l'unghie fesse 22;
- per che la gente, che sua guida vede
- pur a quel ben fedire ond’ella è ghiotta,
- di quel si pasce, e più oltre non chiede 23.
- Ben puoi veder che la mala condotta
- è la cagion che ’l mondo ha fatto reo,
- e non natura che ’n voi sia corrotta.
- Soleva Roma, che ’l buon mondo feo,
- due soli aver, che l’una e l’altra strada
- facean vedere, e del mondo e di Deo 24.
- L’un l’altro ha spento; ed è giunta la spada
- col pasturale 25, e l’un con l’altro insieme
- per viva forza mal convien che vada;
- però che, giunti, l’un l’altro non teme:
- se non mi credi, pon mente a la spiga,
- ch’ogn’erba si conosce per lo seme 26.
- In sul paese ch’Adice e Po riga 27,
- solea valore e cortesia 28 trovarsi,
- prima che Federigo avesse briga;
- or può sicuramente indi passarsi
- per qualunque lasciasse, per vergogna,
- di ragionar coi buoni o d’appressarsi.
- Ben v’èn tre vecchi ancora in cui rampogna
- l’antica età la nova 29, e par lor tardo
- che Dio a miglior vita li ripogna:
- Currado da Palazzo 30 e ’l buon Gherardo 31
- e Guido da Castel 32, che mei si noma,
- francescamente, il semplice Lombardo 33.
- Dì oggimai che la Chiesa di Roma,
- per confondere in sé due reggimenti,
- cade nel fango, e sé brutta e la soma".
- "O Marco mio", diss’io, "bene argomenti;
- e or discerno perché dal retaggio
- li figli di Levì 34 furono essenti.
- Ma qual Gherardo è quel che tu per saggio
- di’ ch’è rimaso de la gente spenta,
- in rimprovèro del secol selvaggio?".
- "O tuo parlar m’inganna, o el mi tenta",
- rispuose a me; "ché, parlandomi tosco,
- par che del buon Gherardo nulla senta.
- Per altro sopranome io nol conosco,
- s’io nol togliessi da sua figlia Gaia.
- Dio sia con voi, ché più non vegno vosco.
- Vedi l’albor 35 che per lo fummo raia
- già biancheggiare, e me convien partirmi
- (l’angelo è ivi 36) prima ch’io li paia".
- Così tornò, e più non volle udirmi.
- Né il buio dell’Inferno, né quello di una notte priva
- degli astri, osservando sotto un orizzonte limitato,
- oscurato quanto più è possibile dalle nuvole,
- crearono mai davanti ai miei occhi un velo così spesso
- come quel fumo che ci avvolse in quel cerchio,
- né così fu mai così pungente a sentirsi,
- al punto che i miei occhi non riuscirono a stare aperti;
- per cui la mia esperta e fidata guida
- mi si accostò e mi offrì la spalla.
- Così come un cieco segue la sua guida
- per non smarrirsi e per non urtare
- qualcosa che gli faccia male, o persino lo uccida,
- così mi muovevo io attraverso quell’aria
- acre e sporca ascoltando la mia guida che continuava
- a dire: “Fai attenzione a non separarti da me”.
- Io sentivo delle voci, e ciascuna sembrava
- pregare per la pace e la misericordia
- l’Agnello di Dio che toglie i peccati.
- Tutte iniziavano con il versetto “Agnus dei”;
- cantavano tutti le stesse parole all’unisono,
- così che appariva tra di loro una perfetta armonia.
- “Maestro, sono anime queste che sento?”,
- dissi io. Ed egli a me: “Hai colto la verità,
- e stanno espiando la colpa dell’ira”.
- “Chi sei tu che attraversi il fumo che ci avvolge,
- e di parli di noi proprio come se tu
- dividessi ancora il tempo in mesi?”.
- Così disse una voce;
- per cui il mio maestro mi disse: “Rispondi,
- e domanda se per di qui si sale”.
- E io: “O creatura che ti purifichi
- per tornare bella e pura a Dio che ti ha creato,
- sentirai cose incredibili, se mi segui”.
- “Io ti seguirò quanto mi è concesso”,
- rispose; “e se il fumo non mi lascia vedere, il suono
- della voce ci terrà congiunti facendo le veci di quella”.
- Allora incominciai: “Con quell’involucro esteriore
- che si dissolve con la morte io salgo le pendici del Purgatorio
- e arrivai qui attraversando l’Inferno e le sue pene.
- E poiché Dio mi ha accolto nella sua grazia,
- tanto da voler che io veda il Paradiso
- in modo del tutto diverso da quanto è solito,
- non celarmi chi sei stato prima della morte, ma dimmelo,
- e dimmi se procedo nella direzione giusta per raggiungere il valico;
- e saranno le tue parole la nostra scorta”.
- “Sono stato Lombardo, e mi sono chiamato Marco;
- conobbi gli affari del mondo, e amai quella virtù
- cui nessuno più mira.
- Per salire continua diritto”.
- Così rispose ed aggiunse: “Ti prego
- di pregare per me quando sarai lassù”.
- E io a lui: “Mi lego a te con il giuramento
- di fare quello che tu mi chiedi; ma mi sento come scoppiare
- davanti ad un dubbio, se non lo risolvo.
- Prima era una semplice incertezza, e ora è diventato duplice
- dopo la tua affermazione, che mi conferma
- qui, come già altrove, lun’altrafrase simile cui associo la tua.
- Il mondo è davvero del tutto abbandonato
- da ogni virtù, come tu mi dici,
- e invaso e addirittura ricoperto dalla malvagità;
- ma ti prego di indicarmene la ragione, così che
- la comprenda e la spieghi ad altri; perché alcuni
- l’attribuiscono al cielo, altri alla responsabilità degli uomini”.
- Dapprima Marco emise un profondo sospiro, che
- il dolore trasformò nel suono “uhi!”; e poi
- disse: “Fratello, il mondo è cieco, e tu provieni senz’altro da lì.
- Voi che siete in vita attribuite ogni causa
- solamente al cielo, proprio come se, muovendosi,
- trascinasse tutto con sé per necessità.
- Se fosse così, in voi non esisterebbe il libero arbitrio,
- e non sarebbe espressione della giustizia il fatto di ricevere
- un premio per il bene, o una punizione per il male”.
- Il cielo dà un impulso iniziale ai vostri movimenti;
- non proprio a tutti, ma, anche ammesso che io dica questo,
- comunque vi è data la facoltà di distinguere il bene dal male,
- e così anche la libera volontà; che, se fatica
- nella prima lotta con gli influssi celesti,
- poi ha la meglio, se viene ben coltivata.
- Ad una forza maggiore e a una natura migliore
- voi siete soggetti pur essendo liberi; ed è quella che crea
- la vostra mente, su cui i cieli non hanno influenza.
- Perciò se il mondo esce dalla buona strada,
- la causa è in voi, in voi si cerchi;
- e io te lo dimostrerò chiaramente.
- L’anima esce dapprima dalla mano di Dio che
- la immagina con amore prima che sia creata,
- come una fanciulla che in modo infantile passa dal riso al pianto,
- e, semplicetta, non sa niente,
- salvo che, mossa dal Sommo Bene,
- torna volentieri a ciò che le dà letizia.
- Inizialmente fa esperienza di un bene minimo;
- quindi si inganna, e lo insegue, a meno che una guida
- o un freno non lo indirizzino verso il vero amore.
- Quindi fu necessario istituire delle leggi per porre un freno;
- convenne avere un’autorità regale, che
- sapesse distinguere almeno la parte più visibile della Città divina.
- Le leggi ci sono, ma chi le fa applicare?
- Nessuno, poiché il pastore che conduce il gregge,
- può ruminare, ma non ha le unghie tagliate in due;
- per cui la gente, che vede la sua guida
- solamente mirare a quei beni terreni di cui è ghiotta,
- si nutre di quelli, e non chiede altro.
- Puoi ben vedere che questa cattiva condotta
- è la prima causa che ha reso malvagio il mondo,
- e non il fatto che la vostra natura sia corrotta.
- L’Impero romano, che rese il mondo buono, era solito
- godere della luce di due soli, che illuminavano rispettivamente
- due strade, quella mondana e quella di Dio.
- L’uno ha spento la luce dell’altro; e la spada
- si è congiunta con il pastorale, e uniti a forza l’uno all’altro
- è necessario che vadano in rovina;
- poiché, congiunti, l’uno non teme l’altro:
- se non mi credi, pensa alla spiga,
- perché ogni pianta si riconosce dal suo seme.
- In quel territorio che è bagnato da Adige e Po,
- era solito trovare persone che dimostravano valore e cortesia,
- prima che Federico venisse contrastato dalla Chiesa;
- ora può tranquillamente passare di lì chiunque
- prima evitasse, per vergogna,
- di parlare o anche solo di avvicinarsi alla gente onesta.
- In verità, è vero che ci sono ancora tre vecchi
- per il cui esempio il passato rimprovera il presente, e sembra loro
- che tardi il giorno in cui Dio li chiamerà a una vita migliore:
- Sono Corrado da Palazzo e il buon Gherardo
- e Guido da Castello, che è meglio conosciuto,
- alla francese, come il “semplice” Lombardo.
- Puoi ormai concludere che la Chiesa di Roma,
- per il fatto di aver confuso nel suo governo i due poteri,
- cade nel fango, e insozza sia se stessa sia il suo carico.
- “O mio caro Marco”, dissi io, “parli e dimostri bene;
- e adesso capisco perché i Leviti
- furono esclusi dalle eredità.
- Ma chi è quel Gherardo che dici essere uno dei
- saggi rimasti della generazione scomparsa,
- a rimprovero di questa età incivile?”.
- “O non ho capito le tue parole, oppure cerchi di stuzzicarmi”,
- mi rispose; “perché, pur essendo toscano,
- sembra che tu non sappia niente del buon Gherardo.
- Non lo conosco con nessun altro cognome,
- a meno da non ricavarlo da sua figlia Gaia,
- Dio sia con voi, perché non posso più venir con voi.
- Vedi che il sole che risplende attraverso il fumo
- già mostra la sua luce chiara, ed è necessario che io mi allontani
- (l’angelo è ormai vicino) prima che io gli appaia davanti”.
- Così tornò indietro e non volle più ascoltarmi.
1 di notte privata d’ogne pianeto: senza la luce di sole e luna, che all’epoca di Dante, erano considerati pianeti.
2 La prima terzina può sembrare ripetitiva e tautologica, ma serve con la sua insistenza a chiarire l’estrema oscurità di quel fumo soprannaturale.
3 fummo: nella terza cornice scontano la loro pena gli iracondi che, per la legge del contrappasso, sono immersi in un fumo denso e pungente.
4 aspro pelo: Dante prosegue, dopo aver usato l’immagine del “velo” con la metafora di un panno ruvido per esprimere il doppio effetto del fumo purgatoriale.
5 sozzo: il termine, che compare più volte nell’Inferno, nel Purgatorio - la Cantica della dolcezza - è presente solo in questo canto.
6 Agnus dei: gli iracondi cantano la preghiera della Messa, ispirata all’espressione evangelica Ecce agnus Dei. La scelta non è casuale: l’Agnello divino è infatti esempio di mansuetudine, cui gli spiriti un tempo iracondi devono ispirarsi. Dante parte dal testo liturgico e lo parafrasa in breve.
7 una parola in tutte era e un modo: come sempre nel Purgatorio, le loro voci sono in armonia.
8 La metafora del nodo per il peccato, che quindi stringe e soffoca l’anima, è consueta, quasi un topos.
9 fendi: ancora una volta è sottolineato lo stato corporale e materiale di Dante, in opposizione a quello aereo degli spiriti.
10 Nella tradizione latina, la Kalenda è il primo giorno del mese, dunque per metonimia indica il mese. Va notato in realtà che anche gli spiriti purganti misurano il tempo in mesi, ancora vicini, in fondo, al sentire dei viventi. C’è dunque qualche incongruenza nella definizione dei viventi in contrapposizione agli animi purganti. Probabilmente Dante ha sentito particolarmente il condizionamento della rima.
11 infernale ambascia: con questo gioco di parole Dante si riferisce sia al regno infernale che all’affanno in senso più proprio, a proposito della difficoltà del percorso che ha affrontato.
12 per modo tutto fuor del moderno uso: l’unico che aveva visitato il Paradiso dopo la morte di Cristo era stato san Paolo. Da lungo tempo dunque nessuno aveva avuto la grazie di compiere l’impresa ora concessa a Dante.
13 al varco: cioè al passo che rende possibile la salita alla quarta cornice.
14 Marco Lombardo è un personaggio pressoché ignoto. Deve essere stato un cortigiano della Marca Trevigiana, vissuto nella seconda metà del XIII secolo, saggio e nobile d’animo, tanto che Dante gli affida l’importante questione del libero arbitrio.
15 Nel linguaggio tecnico del tempo, “tendere l’arco” significa mirare, porsi un obiettivo. “Distendere l’arco” significa quindi l’opposto
16 Necessitate: è sbagliato attribuire agli astri la causa di ogni azione dell’uomo, persino quando si tratta di un’azione morale.
17 libero arbitrio: quello del libero arbitrio è un concetto fondamentale sia a livello morale che dottrinale. Senza libero arbitrio tutto dipenderebbe esclusivamente dalla volontà di Dio e gli uomini non avrebbero alcuna libertà di scelta, né per conseguenza alcuna responsabilità.
18 Va notato l’espressivo ossimoro utilizzato da Dante: siete sottoposti e liberi al tempo stesso. È proprio questo il concetto di libero arbitrio: gli uomini sono figli di Dio - onnisciente e onnipotente - ma sono anche liberi di scegliere e capire, nonché spesso di sbagliare e commettere peccato.
19 E’ fondamentale dunque la distinzione tra influsso celeste (astrologico) e ruolo di Dio come creatore. Il primo può anche essere verso il male, cui la volontà deve opporsi, mentre il secondo è ispirato di necessità al bene.
20 l’anima semplicetta: Dante, considera l’anima come una tabula rasa, e quindi si trova in polemica con la dottrina platonica delle idee innate.
21 vera cittade: chiaro riferimento al De Civitate dei di S. Agostino.
22 La traduzione fuor di metafora può essere: “Il pastore che guida il gregge, quindi il Papa, può conoscere la legge divina (rumina bene perché ha sulla bocca la scienza divina) ma non ha la capacità di agire in quanto guida temporale (non ha l’unghia fessa, cioè la divisione dei poteri).
23 È questa una delle più forti e note critiche dantesche alla Chiesa, che non solo non offre alcun esempio morale, ma, accaparrandosi le prerogative del potere temporale, contrasta il naturale dispiegamento dell’unica istituzione che per Dante ha il diritto di governare sul mondo terreno, ovvero quella imperiale.
24 Marco enuncia qui la famosissima “teoria dei due soli”, che Dante presenta anche nella Monarchia, secondo la quale l’uomo, per essere perfettamente felice, deve disporre di due guide distinte, la Chiesa per la felicità spirituale, l’Impero (o comunque lo Stato) per quella terrena
25 pasturale: il pastorale è il bastone simbolo del potere spirituale.
26 Variante di sapore evangelico della massima “l’albero si riconosce dal frutto”, cioè l’origine o la causa si riconoscono dalle conseguenze.
27 In sul apese ch’Adice e Po: con questa determinazione geografica Dante intende riferirsi alla Lombardia, che all’epoca in cui scriveva comprendeva un territorio molto più vasto rispetto a quello odierno, fino alla Marca Trevigiana.
28 Valore e cortesia sono le virtù cavalleresche per antonomasia.
29 Il tema del passato come età onesta al cui confronto il presente manifesta tutta la corruzione che lo contraddistingue è topico ed abbondantemente testimoniato, anche nella Commedia, ad esempio nel Paradiso, in particolare nei Canti di Cacciaguida.
30 Corrado III dei conti di Palazzo, di cui si conosce molto poco a parte la fama delle sue qualità morali, fu bresciano e brillò nella carriera politica e militare in diverse città d’Italia, svolgendo anche l’attività di vicario di Carlo I d’Angiò.
31 Gherardo da Camino ebbe una notevole carriera militare che lo portò ad essere capitano generale di Treviso. Dante lo ricorda positivamente come uomo morale e protettore delle arti; in realtà è noto che egli fu implicato nella morte di Jacopo del Cassero (citata nel Canto V del Purgatorio) e che fu legato a Corso Donati, guelfo nero fiorentino indicato da Dante come uomo corrotto per eccellenza nel ventiquattresimo canto del Purgatorio.
32 Guido da Castello, emiliano, forse ghibellino ed esule a Verona, dove Dante potrebbe averlo conosciuto. In ogni caso si tratta di informazioni incerte..
33 L’interpretazione di questo soprannome non è chiara. Probabilmente Dante vuole intendere che persino i francesi, che consideravano i lombardi poco onesti in quanto abili mercanti, avessero apprezzato le virtù morali di Guido, chiamato appunto “semplice” cioé “privo di inganni”. Poiché Guido rappresenta un’intera generazione moralmente integra ed ormai quasi scomparsa, dobbiamo immaginare che la critica dei francesi agli altri lombardi non sia condivisa da Dante.
34 Figli di Levì: i Leviti, sacerdoti del popolo di Israele che per legge non potevano essere beneficiari di eredità materiali o temporali.
35 albor: intende la luce del sole, non dell’angelo che viene citato due versi dopo. La luce che filtra attraverso il fumo, che Dante descrive come molto denso ed acre all’inizio del Canto, significa che i tre si sono ormai avvicinati al limitare della zona in cui gli iracondi possono dimorare.
36 Presso ogni cornice del Purgatorio si trova un angelo che la governa e custodisce, sancendo l’avvenuta purificazione delle anime che hanno compiuto il loro percorso. Proprio questi angeli cancellano di volta in volta le P che l’angelo custode, nel Canto IX, ha impresso sulla fronte di Dante, come simbolo della sua condizione di penitente che viene gradualmente alleggerita.