Introduzione
Nel canto V del Purgatorio, Dante e Virgilio si trovano nella terza delle quattro zone da cui è composto l’Antipurgatorio, detta seconda balza 1: qui attendono le anime negligenti dei morti di morte violenta. Anch’esse si sono pentite tardi, ma nella concezione dantesca chi ha sofferto in vita è destinato a godere in misura eguale quando raggiungerà la beatitudine celeste.
In questo canto Dante incontra Jacopo del Cassero, podestà di Bologna e Milano, morto per mano di sicari nel padovano, Bonconte da Montefeltro, ghibellino, ferito a morte nella battaglia di Campaldino, e infine Pia de’ Tolomei, senese, assassinata dal marito in Maremma nel 1297.
Parafrasi
- Io era già da quell’ombre 2 partito,
- e seguitava l’orme del mio duca,
- quando di retro a me, drizzando ’l dito,
- una gridò: "Ve’ che non par che luca 3
- lo raggio da sinistra 4 a quel di sotto 5,
- e come vivo par che si conduca!".
- Li occhi rivolsi al suon di questo motto,
- e vidile guardar per maraviglia
- pur me, pur me 6, e ’l lume ch’era rotto.
- "Perché l’animo tuo tanto s’impiglia",
- disse ’l maestro, "che l’andare allenti?
- che ti fa ciò che quivi si pispiglia?
- Vien dietro a me, e lascia dir le genti:
- sta come torre ferma, che non crolla
- già mai la cima per soffiar di venti 7;
- ché sempre l’omo in cui pensier rampolla
- sovra pensier, da sé dilunga il segno,
- perché lafoga l’un de l’altro insolla".
- Che potea io ridir, se non "Io vegno"?
- Dissilo, alquanto del color consperso
- che fa l’uom di perdon talvolta degno 8.
- E ’ntanto per la costa di traverso
- venivan genti 9 innanzi a noi un poco,
- cantando ’Miserere’ 10a verso a verso.
- Quando s’accorser ch’i’ non dava loco
- per lo mio corpo al trapassar d’i raggi 11,
- mutar lor canto in un "oh!" lungo e roco;
- e due di loro, in forma di messaggi,
- corsero incontr’a noi e dimandarne:
- "Di vostra condizion fatene saggi".
- E ’l mio maestro: "Voi potete andarne
- e ritrarre a color che vi mandaro
- che ’l corpo di costui è vera carne 12.
- Se per veder la sua ombra restaro,
- com’io avviso, assai è lor risposto:
- fàccianli onore, ed esser può lor caro" 13.
- Vapori accesi non vid’io sì tosto
- di prima notte mai fender sereno,
- né, sol calando, nuvole d’agosto 14,
- che color non tornasser suso in meno;
- e, giunti là, con li altri a noi dier volta,
- come schiera che scorre sanza freno.
- "Questa gente che preme a noi è molta,
- e vegnonti a pregar", disse ’l poeta:
- "però pur va, e in andando 15 ascolta".
- "O anima che vai per esser lieta 16
- con quelle membra con le quai nascesti",
- venian gridando, "un poco il passo queta.
- Guarda s’alcun di noi unqua vedesti,
- sì che di lui di là 17 novella porti:
- deh, perché vai? deh, perché non t’arresti? 18
- Noi fummo tutti già per forza 19 morti 20,
- e peccatori infino a l’ultima ora;
- quivi lume del ciel ne fece accorti,
- sì che, pentendo e perdonando, fora
- di vita uscimmo a Dio pacificati,
- che del disio di sé veder n’accora".
- E io: "Perché ne’ vostri visi guati,
- non riconosco alcun; ma s’a voi piace
- cosa ch’io possa, spiriti ben nati 21,
- voi dite, e io farò per quella pace
- che, dietro a’ piedi di sì fatta guida,
- di mondo in mondo cercar mi si face".
- E uno 22 incominciò: "Ciascun si fida
- del beneficio tuo sanza giurarlo,
- pur che ’l voler nonpossa non ricida.
- Ond'io, che solo innanzi a li altri parlo 23,
- ti priego, se mai vedi quel paese
- che siede tra Romagna e quel di Carlo 24,
- che tu mi sie di tuoi prieghi cortese
- in Fano, sì che ben per me s’adori
- pur ch’i’ possa purgar le gravi offese.
- Quindi fu’ io; ma li profondi fóri
- ond’uscì ’l sangue in sul quale io sedea 25,
- fatti mi fuoro in grembo a li Antenori 26,
- là dov’io più sicuro esser credea 27:
- quel da Esti 28 il fé far, che m’avea in ira
- assai più là che dritto non volea.
- Ma s’io fosse fuggito inver’ la Mira 29,
- quando fu’ sovragiunto ad Orïaco,
- ancor sarei di là dove si spira.
- Corsi al palude, e le cannucce e ’l braco
- m’impigliar sì ch’i’ caddi; e lì vid’io
- de le mie vene farsi in terra laco".
- Poi disse un altro 30: "Deh, se quel disio
- si compia che ti tragge a l’alto monte,
- con buona pïetate aiuta il mio!
- Io fui di Montefeltro, io son Bonconte;
- Giovanna o altri non ha di me cura 31;
- per ch’io vo tra costor 32 con bassa fronte".
- E io a lui: "Qual forza o qual ventura
- ti travïò sì fuor di Campaldino,
- che non si seppe mai tua sepultura?".
- "Oh!", rispuos’elli, "a piè del Casentino
- traversa un’acqua c’ ha nome l’Archiano 33,
- che sovra l’Ermo 34 nasce in Apennino 35.
- Là ’ve ’l vocabol suo diventa vano 36,
- arriva’ io forato ne la gola,
- fuggendo a piede e sanguinando il piano.
- Quivi perdei la vista e la parola;
- nel nome di Maria fini’, e quivi
- caddi, e rimase la mia carne sola.
- Io dirò vero, e tu ’l ridì tra ’ vivi:
- l’angel di Dio mi prese, e quel d’inferno
- gridava: "O tu del ciel, perché mi privi?
- Tu te ne porti di costui l’etterno
- per una lagrimetta 37 che ’l mi toglie;
- ma io farò de l’altro altro governo!".
- Ben sai 38 come ne l’aere si raccoglie
- quell’umido vapor che in acqua riede,
- tosto che sale dove ’l freddo il coglie.
- Giunse quel mal voler che pur mal chiede
- con lo ’ntelletto, e mosse il fummo e ’l vento
- per la virtù che sua natura diede 39.
- Indi la valle, come ’l dì fu spento,
- da Pratomagno al gran giogo 40 coperse
- di nebbia; e ’l ciel di sopra fece intento,
- sì che ’l pregno aere in acqua si converse;
- la pioggia cadde, e a’ fossati venne
- di lei ciò che la terra non sofferse;
- e come ai rivi grandi si convenne,
- ver’ lo fiume real tanto veloce
- si ruinò, che nulla la ritenne.
- Lo corpo mio gelato in su la foce
- trovò l’Archian rubesto; e quel sospinse
- ne l’Arno, e sciolse al mio petto la croce
- ch’i’ fe’ di me quando ’l dolor mi vinse 41;
- voltòmmi per le ripe e per lo fondo,
- poi di sua preda mi coperse e cinse".
- "Deh, quando tu sarai tornato al mondo
- e riposato de la lunga via",
- seguitò 'l terzo spirito al secondo,
- "ricorditi di me, che son la Pia 42;
- Siena mi fé, disfecemi Maremma 43:
- salsi 44 colui che ’nnanellata pria
- disposando m’avea con la sua gemma" 45.
- Mi ero già allontanato da quelle ombre,
- e seguivo da vicino la mia guida,
- quando da dietro di me, puntandomi contro il dito,
- un’anima gridò: “Guardate, sembra che i raggi di sole
- non trapassino, da destra a sinistra, chi cammina
- più in basso e sembra che si muova come uomo vivo!”.
- Al suono di queste parole volsi indietro lo sguardo,
- e vidi che le anime guardavano con meraviglia proprio
- e solo me e il fascio di luce interrotto dal mio corpo.
- “Perché la tua mente si lascia distrarre a tal punto”,
- disse il mio maestro, “che rallenti l’andatura?
- Cosa ti importa di ciò che esse bisbigliano?
- Seguimi, e lascia parlare le persone:
- comportati come una torre immobile, a cui non crolla
- mai la cima per il soffiare del vento;
- poiché sempre l’uomo in cui un pensiero si sovrappone
- ad un altro, allontana da sé la sua meta,
- perché la foga di un pensiero indebolisce l’altro”.
- Che cosa potevo rispondere, se non “Vengo”?
- Così dissi, soffuso con abbondanza di quel colore rosso
- che talvolta rende l’uomo degno di essere perdonato.
- E intanto, trasversalmente rispetto a noi, lungo il fianco
- del monte, procedevano delle anime un po’ più in alto
- di noi, cantanto “Miserere” a versetti alternati.
- Quando si accorsero che impedivo
- con il mio corpo il passaggio dei raggi solari,
- sostituirono al loro canto un “oh!” lungo e roco;
- e due di loro, in veste di messaggeri,
- ci corsero incontro e ci domandarono:
- “Rendeteci nota la vostra condizione”.
- E il mio maestro: “Voi potete tornare da coloro
- che vi inviarono e riferire loro che il corpo di costui
- è fatto di carne materiale.
- Se si fermarono per aver visto l’ombra che egli proietta,
- come ritengo, questa risposta è sufficiente: lo accolgano
- tra loro con felicità, perché ciò può portar loro del bene”.
- Non vidi mai stelle cadenti fendere il cielo sereno
- così rapidamente al principio della notte,
- né, al calar del sole, fendere le nuvole durante l’estate,
- rispetto a cui quelle anime non tornassero indietro più rapide,
- e giunte là dove erano prima, tornarono indietro con le altre,
- come una folla che corre sfrenata.
- “Questa gente che fa ressa intorno a noi è molta,
- e viene per pregarti”, disse il poeta: “però continua
- a camminare, e ascoltali mentre cammini”.
- “O anima che sei in viaggio per giungere alla beatitudine
- con quelle membra con le quali sei nato”, gridavano
- venendoci incontro, “ferma per un po’ il tuo incedere.
- Guarda se hai mai conosciuto qualcuno di noi,
- così da portarne notizie in terra: ebbene,
- perché continui a camminare? Perché non ti fermi?
- Noi siamo tutti morti di morte violenta,
- e siamo stati peccatori fino all’ultimo momento;
- in quell’istante la Grazia divina ci rese consapevoli,
- cosicché, pentendoci dei peccati e perdonando i nemici,
- lasciammo la vita riappacificati con Dio,
- che ci tormenta con il desiderio di vederlo”.
- E io: “Per quanto guardi attentamente i vostri visi,
- non riconosco nessuno; ma se desiderate che io faccia
- ciò che è nei miei poteri, o spiriti destinati alla vita eterna,
- ditemelo, e io lo farò in nome di quella pace
- che, seguendo questa guida,
- io cerco dall’uno all’altro mondo dell’oltretomba”.
- E un’anima incominciò a dire: “Ciascuno di noi ha fiducia
- del bene che prometti senza bisogno di giuramento, purché
- l’impotenza di compierlo non impedisca il compiersi della tua volontà.
- Perciò io, che da solo davanti agli altri parlo,
- ti prego, se mai dovessi visitare quel paese,
- che si estende tra la Romagna e il regno di Carlo,
- che tu mi usi la cortesia di chiedere ad amici e parenti
- a Fano, di pregare Dio in mio nome
- affinché io venga aiutato a espiare i miei gravi peccati.
- Io vengo da quella città; ma le profonde ferite
- da cui uscì il sangue in cui io avevo la mia vita,
- mi furono inferti nel territorio di Antenore, nel padovano,
- là dove io credevo di essere più sicuro:
- me le fece infliggere il signore d’Este, che mi aveva
- in odio molto di più di quanto non ne avesse diritto.
- Ma se io fossi fuggito verso Mira,
- quando venni raggiunto dai miei nemici ad Oriago,
- sarei ancora nel mondo di vivi.
- Corsi invece verso la palude, e le canne e il fango
- mi intralciarono cosicché io caddi; e lì vidi il mio sangue,
- uscendo dalle mie vene, formare in terra un lago”.
- Poi parlò un altro: “Dunque, possa realizzarsi
- il desiderio che ti spinge a salire l’alto monte,
- abbi pietà e aiuta il mio”
- Io fui di Montefeltro, sono Bonconte;
- Giovanna e gli altri parenti non si curano di me;
- per cui io cammino tra queste anime con la testa bassa”.
- E io dissi a lui: “Quale violenza o quale caso
- ti trascinò così lontano da Campaldino,
- che non si è mai saputo dove sei stato sepolto?”.
- “Oh!” rispose egli, “ai piedi del Casentino
- scorre un fiume che si chiama Archiano,
- che nasce sull’Appennino sopra l’Eremo di Camaldoli.
- Là, dove sfociando nell’Arno perde il suo nome,
- giunsi con la gola trafitta,
- fuggendo a piedi e bagnando di sangue la pianura.
- Lì persi la vista e la forza di parlare;
- giunsi alla fine con il nome di Maria sulle labbra, e lì
- morii e non rimase altro che la mia carne.
- Io ti racconterò la verità e tu raccontala tra i vivi:
- l’angelo di Dio prese la mia anima, e l’emissario
- dell’Inferno gridava: 'Angelo del cielo, perché me la rubi?
- Tu porti via l’anima immortale di costui
- per una sola piccola lacrima che così me ne priva;
- ma io tratterò diversamente il suo corpo!'.
- Tu sai bene come si raccoglie nell’aria
- quel vapore acqueo che si converte in acqua,
- appena sale nella parte fredda dell’atmosfera.
- Il demonio congiunse quella cattiva volontà che
- non desidera che il male con il suo intelletto, e agitò
- il vapore e il vento con i poteri che la natura gli diede.
- Quindi, appena il giorno terminò, coprì di nebbia
- la pianura, da Partomagno all’Appennino;
- e rese il cielo denso di nuvole pesanti,
- cosicché l’aria satura di vapore si trasformò in acqua;
- cadde la pioggia, e confluì nei fossati
- quella che la terra non poteva assorbire;
- e quando essa confluì nei torrenti,
- verso il fiume maggiore si precipitò, tanto velocemente
- che nulla fu in grado di trattenerla.
- L’Archiano impetuoso trovò il mio corpo gelato
- vicino alla sua foce; e lo sospinse
- nell’Arno, e sciolse la croce che con le mie braccia
- avevo fatto sul petto quando mi vinse il dolore del rimorso;
- mi rivoltò contro le sponde e sul fondo,
- poi con i suoi detriti mi coprì e mi trascinò via con sé”.
- “Ebbene, quando sarai tornato sulla terra
- e ti sarai riposato del lungo viaggio”,
- seguitò un terzo spirito dopo il secondo,
- “ricordati di me, che sono la Pia;
- sono nata Siena, morii in Maremma:
- lo sa bene colui che sposandomi
- mi aveva cinto il dito con il suo anello”.
1 Le altre zone del secondo regno sono la spiaggia, la prima balza e la valletta fiorita.
2 Sono le anime dei negligenti, i quali hanno atteso l’ultimo momento prima della morte per comprendere le loro colpe e pentirsene. Questo ritardo motiva l’attesa, pari alla lunghezza della loro vita, che esse devono scontare nell’Antipurgatorio, nella prima balza, prima di iniziare la purificazione vera e propria dei peccati nel Purgatorio in senso stretto.
3 non par che luca: le anime sono abituate a vedere corpi immateriali e semitrasparenti attraverso cui la luce può trapassare. Ciò non avviene nel caso di Dante, ancora vivo e quindi corporeo in senso terreno.
4 I poeti salgono il monte del Purgatorio con le spalle rivolte verso est, quindi il sole li colpisce sulla parte destra; se Dante fosse un’anima priva di corpo, quindi, la luce arrivando da destra lo attraverserebbe risplendendo poi a sinistra.
5 Dante segue Virgilio e poiché stanno camminando in salita risulta più in basso.
6 pur me, pur me: la ripetizione sta a sottolineare l’insistenza dello sguardo.
7 Il paragone risente di echi classici, virgiliani e senechiani.
8 Dante, che ben comprende il rimprovero della sua guida, arrossisce. Questo atto è identificato qui con una perifrasi che suggerisce come l’umiltà e l’autocoscienza insite nell’arrossire siano meritevoli di perdono, almeno in colpe di questo tipo.
9 Siamo ora alla seconda balza, dove risiede un gruppo distinto di negligenti: anche loro si sono pentiti in fin di vita, ma sono morti di morte violenta.
10 Il Miserere è un salmo penitenziale che invoca la misericordia ed esprime pentimento per i propri peccati: senza dubbio si tratta di una scelta perfettamente coerente rispetto alla situazione di queste anime.
11 Di nuovo le anime si accorgono che Dante è vivo perché getta l’ombra e non è trapassato dalla luce. È un espediente frequente nel Purgatorio, dato che in questo regno domina la luce
12 vera carne: cioè non quella incorporea e solo apparente delle anime.
13 Virgilio anticipa qui le effettive richieste delle anime purganti, che sempre vogliono essere ricordate in terra per ricevere preghiere.
14 All’origine di questa immagine è la convinzione medievale secondo cui sia le stelle cadenti sia i lampi siano l’effetto dell’eccessiva presenza di vapori nell’aria
15 in andando: il gerundio con la preposizione “in” è un uso caratteristico nell’italiano antico.
16 Come ripete più volte nel corso della cantica, Dante condivide la purificazione delle anime che incontra nel Purgatorio con il duplice scopo di essere degno di tornarvi dopo la morte (di non essere cioè condannato all’Inferno) e di poter accedere nel suo viaggio ultraterreno al Paradiso, che senza dubbio richiede purezza e rappresenta la felicità spirituale per antonomasia.
17 di là: cioè nel mondo dei viventi.
18 Come Virgilio aveva previsto, le anime che attorniano Dante sono molte e vorrebbero interromperne il viaggio. Tuttavia, come si vede già alla fine dell’incontro con i negligenti della prima balza, Dante non può indugiare perché nulla è per lui più importante di procedere per tempo con la purificazione e l’ascesa all’Eden.
19 Dante condanna la violenza e l’odio, e non a caso le anime morte di morte violenta si trovano in una condizione migliore rispetto agli altri negligenti.
20 fummo morti: “morire” al passivo e soprattutto con partecipio viene utilizzato nell’italiano antico al posto di “essere ucciso”.
21 spiriti ben nati: le anime sono nate felicemente perché sono destinate alla beatitudine.
22 E uno: si tratta di Iacopo del Cassero, nato in una nobilissima famiglia di Fano, che diede in natali a diversi personaggi illustri dell’epoca. Guelfo, partecipò a numerose imprese politiche e militari; divenne podestà di Bologna nel 1296 e con la sua politica difensiva e lungimirante, si inimicò Azzo III, signore di Ferrara, che decise di vendicarsi. Mentre Iacopo, nel 1298, si dirigeva a Milano attraverso il territorio padovano per assumervi la carica di podestà, fu fatto assassinare ad Oriago sulle rive del Brenta.
23 Finora i morti di morte violenta avevano parlato in coro o comunque anche i singoli avevano parlato a nome di tutti; ora, Iacopo del Cassero parla solo per sé.
24 Iacopo si riferisce alla Marca Anconetana, che confinava a nord con la Romagna e a sud con il Regno di Napoli, su cui governava nel 1300 Carlo II d’Angiò.
25 Nel Medioevo era opinione comune che l’anima risiedesse nel sangue.
26 Dante indica il territorio padovano per tramite dei suoi abitanti, nominati Antenori in quanto discendenti, secondo la leggenda, dal troiano Antenore. Si noti che Antenora è il nome della zona del Cocito infernale che ospita i traditori della patria e del partito: si può intuire che Dante accusi i padovani di aver permesso senza far nulla l’omicidio di Iacopo.
27 Iacopo credeva di essere sicuro perché il territorio era fuori dall’influenza degli Estensi, e proprio per questa ragione deve aver scelto questo percorso per giungere a Milano.
28 Il signore d’Este, Azzo III, mandante dell’omicidio.
29 Mira è un borgo sul Brenta, tra Venezia e Padova.
30 Prende parola Bonconte da Montefeltro, figlio di Guido da Montefeltro, che Dante aveva incontrato nella bolgia dei consiglieri di frode, nel canto XXVII dell’Inferno. Bonconte fu ghibellino, uomo d’arme molto valoroso e più volte al comando delle truppe aretine, vittoriose contro Siena. Durante la battaglia di Campaldino, cui partecipò anche Dante, rimase ucciso (1289) e il suo cadavere non fu mai ritrovato: ecco perché Dante si dimostra curioso in proposito.
31 Giovanna è la moglie di Bonconte; sicuramente in vita al momento del viaggio di Dante erano la figlia Manentessa e il fratello Federico.
32 costor: si riferisce alle altre anime della seconda balza, compagne di pena.
33 Archiano: affluente dell’Arno.
34 Ermo: l’Eremo di Camaldoli, fondato da San Romualdo nel XI secolo.
35 Dante dà qui una rappresentazione sintetica della sorgente dell’Archiano, che in realtà nasce da quattro torrenti, dei quali due sgorgano dall’Eremo e due dal passo dei Mandrioli
36 Ovverossia laddove l’Archiano sfocia nell’Arno e quindi perde il proprio nome.
37 Il diavolo, sconfitto, cerca di svalutare il pentimento di Bonconte; poi deciderà di vendicarsi sul corpo del defunto, impedendo che esso riceva una sepoltura onorata e cristiana.
38 Tutta la rappresentazione scientifica è molto tecnica e risente delle convinzioni aristoteliche ben vive al tempo di Dante.
39 La forza dei demoni rispetto alle forze delle natura è autorevolmente affermata da S. Tommaso.
40 gran giogo: Dante intende gli Appennini alla sinistra dell’Arno.
41 Bonconte al momento della morte ha incrociato le braccia sul petto in segno di pentimento. Il dolore non sarà tanto quello delle ferite che lo portano alla morte, quanto quello dei peccati di cui, all’ultimo momento, egli diviene consapevole.
42 Quasi tutti i commentatori sono d’accordo che si tratti di Pia dei Tolomei, senese, sposa di Nello dei Pannocchieschi, podestà di Volterra e di Lucca che la uccise facendola cadere dal balcone del castello forse per infedeltà di lei, forse per convolare a nuove nozze.
43 Dante crea un verso da epigrafe funeraria.
44 salsi: sincope di “sàllosi”, cioè “lo sa bene”.
45 i due atti di “disposare” e “inanellare” sono quelli canonici nella cerimonia nuziale del tempo. Dapprima si dichiarava la volontà di sposare, poi si infilava l’anello per segnalare con evidenza quella volontà