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Riassunto e analisi del Canto 5 del “Purgatorio”

Introduzione

 

Il quinto canto del Purgatorio si svolge nella seconda balza dell’Antipurgatorio, dove Dante incontra i morti di morte violenta e ha modo di parlare con Iacopo del Cassero, nobile di Fano ucciso nel padovano per volere di Azzo III, Bonconte da Montefeltro, ghibellino ucciso durante la battaglia di Campaldino (e il cui cadavere non fu più trovato) e Pia de’ Tolomei, vittima del marito.

Le anime, accorgendosi che Dante è vivo perché il suo corpo non è trapassato dai raggi del sole come avviene a quello immateriale delle anime, gli si rivolgono in gruppo, probabilmente addirittura parlando in coro, per chiedergli di raccontare di loro ai vivi: entrambi i temi - e cioè la comunanza delle anime e il bisogno della preghiera - sono profondamente caratteristici di tutto il Purgatorio.

 

Riassunto

 

Dante, seguendo Virgilio, giunge alla seconda balza dell’Antipurgatorio, dove attendono il perdono le anime dei morti di morte violenta che si sono pentiti in extremis, cantando il Miserere, uno dei salmi penitenziali che invoca la misericordia divina, a simboleggiare la loro richiesta di pietà. Le anime, sia quelle della prima balza da cui Dante si sta allontanando sia quelle della seconda che egli ha quasi raggiunto, guardano con stupore ed interesse il corpo del poeta, attraverso il quale non passa raggio di luce, perché egli è ancora fatto di materia fisica. Di fronte alla curiosità delle anime, Virgilio raccomanda a Dante di non perdere tempo: prima, gli impedisce di tornare dai negligenti che gli pongono domande sulla sua condizione, poi lo invita ad ascoltare i morti di morte violenta senza fermarsi, ma continuando a camminare. Virgilio, comunque, non vuole evitare che Dante incontri le anime. Anzi, egli assicura alle ombre penitenti che il corpo di Dante è terreno e le invita ad avvicinarsi con rispetto, perché il poeta potrebbe esaudire il desiderio più grande che in entrambe le cantiche sembrano avere le anime dell’aldilà: portare notizia di loro nel mondo degli uomini. Dante stesso pronuncia un solenne giuramento, in cui promette di esaudire le loro richieste, per quanto gli sarà possibile.

Allora prende la parola Iacopo del Cassero (1260-1298), che chiede a Dante, in caso gli capiti di passare da Fano, di chiedere ai suoi parenti di pregare per lui, per aiutarlo ad accorciare la sua attesa. Iacopo del Cassero, di nobile casata, guelfo, valoroso combattente e saggio uomo politico, entrò in contrasto con Azzo III d’Este, signore di Ferrara, il quale lo fece uccidere mentre era in viaggio verso Milano attraverso le terre padovane, dove Iacopo credeva di essere al sicuro.

Anche Bonconte da Montefeltro (1250ca. - 1289), figlio di Guido di Montefeltro, che Dante aveva incontrato nell’Inferno, nella bolgia dei consiglieri di frode, chiede a Dante di sollecitare le preghiere della moglie e dei parenti, i quali sembrano averlo dimenticato. Ghibellino e ben noto uomo d’arme, Bonconte aveva partecipato alla battaglia di Campaldino, rimanendo ucciso; il suo corpo non era mai stato ritrovato ed era rimasto senza sepoltura. In un intenso e drammatico racconto, Bonconte racconta a Dante la storia della propria morte, che nessuno conosce ancora. Bonconte ricorda di essersi pentito in extremis, venendo così salvato da un angelo di Dio dal diavolo che stava venendo a prendere la sua anima. Per vendicarsi, il diavolo aveva deciso di fare scempio del suo corpo provocando un forte temporale che lo aveva trascinato alla foce dell’Archiano: la corrente del fiume, ingrossato dalla tempesta, aveva trascinato via il suo corpo, mentre i detriti del fiume lo avevano trascinato verso il fondo, seppellendolo.

La narrazione si interrompe bruscamente per intervento dell’ombra di Pia de’ Tolomei, nobile senese uccisa dal marito, Nello dei Pannocchieschi, podestà di Volterra e di Lucca. Le fonti dell’epoca discordano sulla causa dell’omicidio: forse un’infedeltà della donna, forse il desiderio del marito di convolare a seconde nozze. Pia de’ Tolomei non esterna nessuna richiesta, si limita a farsi riconoscere, con dei versi che rassomigliano a un’epigrafe funebre.

 

Analisi e commento

 

La struttura del canto V presenta due caratteristiche peculiari. In primo luogo, esso appartiene ad una serie coesa di Canti, i primi otto di questa seconda Cantica, cioè i canti dell’Antipurgatorio: essi sono caratterizzati al contempo da un’impostazione autonoma, per cui ciascuno rappresenta un capitolo chiuso in sé, e dal fatto di essere parte della stessa linea narrativa che li collega strettamente. Il caso del canto V è esemplare: da un certo punto di vista individua una situazione specifica che lo distingue dal precedente e dal successivo, cioè il passaggio alla seconda balza e l’incontro con i negligenti morti di morte violenta. Però esso inizia quando Dante è ancora vicino ai pigri di cui si è parlato nel quarto canto e allo stesso modo il sest canto inizia raffigurando ancora alcune delle anime della seconda balza, sebbene molto in breve. Questi canti iniziali del Purgatorio sono inoltre contraddistinti da alcuni temi ben riconoscibili e ricorrenti: la meraviglia delle anime che si accorgono del corpo mortale di Dante già nel canto III; l’attenzione alla luce e ai suoi movimenti, che appunto consentono di notare la particolare condizione del poeta; la coesione e la consonanza delle anime, già evidenziata dalla descrizione delle anime che scendono dalla barca nel canto II; sempre nel medesimocantoera già individuato il tema della musica nel canto (ricco di significati simbolici) delle anime; la richiesta di preghiere da parte di Dante e, per suo tramite, dei vivi. Nel canto sesto del Purgatorio Virgilio spiega che queste preghiere in suffragio, se sono pronunciate da fedeli nella vera fede, posso accorciare la penitenza, perché sono coerenti con il piano ultimo e la volontà di Dio.

Se invece osserviamo il testo in sé e per sé, noteremo la sua efficace organizzazione in quattro momenti:

  • la separazione dai pigri e l’incontro con i nuovi negligenti (vv. 1-63);
  • Iacopo del Cassero (vv. 64-84);
  • Bonconte da Montefeltro (vv. 85-129);
  • la Pia senese (vv. 130-136).

La successione di queste fasi delinea un particolare percorso tonale, poiché all’inizio l’impressione dominante è quella di pacatezza e serenità, nel segno della purificazione, è seguita da un momento sempre più intenso e drammatico, che culmina nel racconto di Bonconte, per concludere con la tenerezza affettuosa e discreta - addirittura materna dicono i critici - della figura femminile di Pai de’ Tolomei. L’insieme risulta così unitario, perché la progressione è graduale e coerente nel complesso, ma anche vario e ricco dal punto di vista emotivo. Si pensi ad esempio a come la violenza della scena del temporale, causato dal demonio che vuole vendicarsi di Bonconte, sia anticipata da due momenti precedenti, in gradazione ascendente. Prima, il rimprovero di Virgilio a Dante. Spesso ci si è chiesti come mai Virgilio riprenda il suo allievo in modo tanto aspro per un’incertezza tanto innocua come quella che lo spinge a girarsi verso i pigri. Gli elementi da considerare sono molti. A livello narrativo Dante ha ancora un lungo percorso davanti a sé e deve dunque proseguire. Ma soprattutto, mentre nell’Inferno era soltanto uno spettatore esterno, ora egli condivide la sorte dei penitenti, si purifica insieme a loro a sua volta e quindi condivide anche la loro ansia, il loro desiderio di perfezionarsi per raggiungere Dio. Qui ogni deviazione dal Bene divino è molto più grave, proprio perché si è più vicini ad ottenere la ricompensa. È insomma il medesimo concetto che viene sottoliaeato dal rimprovero di Catone alla fine del secondo canto. Non solo: Virgilio insiste in questo modo sulla differenza che Dante deve delineare tra il suo comportamento e quello peccaminoso che le anime pigre hanno tenuto in terra. A questa interpretazione morale e religiosa, se ne può poi affiancare una socio-politica: anche nella sua missione terrena, nel suo compito di uomo e quindi anche come scrittore della Commedia Dante non deve essere timoroso, succube dell’opinione e dei gusti altrui, ma procedere con determinazione verso il proprio obiettivo. Questo tema è molto importante anche se poco esplicito nel corso di tutto il poema e si ritrova alla fine del Purgatorio, quando Dante incontra Beatrice (e poi anche nel lungo colloquio con l’avo Cacciaguida).

L’altra anticipazione del tono violento nella descrizione di Bonconte si trova nelle parole di Jacopo del Cassero. Egli è un buon esempio del doppio binario su cui si sviluppa l’atteggiamento delle anime purganti, compreso ad esempio lo stesso Bonconte che parla poco dopo. Da una parte, esse sono ancora legate al passato, ai loro affetti terreni, alle offese che hanno ricevuto. Anche per questo chiedono di essere ricordate da Dante quando sarà tornato nel mondo; e proprio per questo nelle loro parole risuona talvolta il senso del dolore provato, come appunto per Jacopo, tradito ed ucciso. Resta infatti la memoria del passato e un senso di tristezza o di maliconia, come quando Bonconte accenna a come i suoi parenti l’abbiano dimenticato. D’altra parte, le anime purganti appartengono ormai ad una sfera completamente diversa, che rende le sensazioni, le logiche e i desideri mortali del tutto superati: lo stesso Jacopo non esprime odio per i suoi nemici, ma quasi commiserazione, e racconta la sua storia comunicando un senso di inesorabilità. Il medesimo distacco si coglie con chiarezza anche in Bonconte e in Pia senese, che di fatto con la sua dolcezza sembra perdonare chi l’ha colpita tanto duramente. Anche in ciò si delinea quella armonia, quella coesione di cui abbiamo parlato per queste anime: perdonano come Dio le ha perdonate, solo così possono aspirare alla perfezione del cielo, e ciò vale soprattutto se la loro fine è stata tragica e traumatica. A ciò si aggiunge il senso di come anche Dante, insieme alle anime purganti, superi le divisioni e gli scontri terreni, di fatto trovando un momento di commozione condivisa con Bonconte che, come lo stesso Dante, aveva combattuto a Campaldino, ma nella fazione opposta.

Questa celebrazione dell’amore e dell’unità si riconosce anche nel drammatico racconto della morte di Bonconte, che Dante costruisce con effetto poetico magistrale. L’episodio è ricchissimo di spunti: comincia con i richiami a fatti storici recenti e ben noti (la battaglia di Campaldino dell’11 giugno 1289), prosegue con l’immagine popolare ben nota e diffusa dell’angelo e del demonio che lottano per un’anima. Al lettore della Commedia la scena risulta ancor più gustosa perché conosce già cosa sia successo al padre di Bonconte, Guido da Montefeltro (Inferno, canto XXVII): Guido, consigliere astuto del papa, si pente e diventa frate francescano; Bonifacio VIII però ha ancora bisogno di lui e gli propone di assolverlo preventivamente per qualunque astuzia voglia suggerirgli. Guido accetta, ma al momento di morire, quando san Francesco si presenta per portarne l’anima in salvo, il demonio, furbissimo a sua volta, chiarisce che non vale pentirsi in anticipo: bisogna far penitenza dopo aver commesso la colpa, per dimostrarne piena coscienza. Frate Guido dunque finisce nelle Malebolge, destinato a bruciare in eterno in una lingua di fuoco, mentre il figlio si salva, grazie ad una sola lacrima, sincera però: un perfetto parallelismo rovesciato. A questo punto il demonio, furioso e frustrato, adopera quei poteri che secondo san Tommaso appartengono alle forze infernali: modifica la natura e tortura il corpo morto di Bonconte. Una vendetta davvero inutile e ridicola, che dimostra come anche nella dimensione ultraterrena l’odio, se non è inserito nel piano giusto di Dio, non ha alcun senso né utilità. L’unica ira dotata di ragionevolezza è quella per cui i dannati sono puniti dei loro peccati in eterno. L’efficacia poetica dantesca si legge nel modo in cui questa vendetta è attuata: anche le forze immortali si manifestano attraverso gli enti naturali e così Dante sfrutta un evento storico (un fortissimo temporale verificatosi dopo la battaglia di Campaldino, di cui le cronache riportano precise notizie) e le sue conoscenze scientifiche di stampo aristotelico per concludere la sua rappresentazione. È una scena poeticamente grandiosa. Segue un’altra scena, altrettanto efficace e coinvolgente, ma di carattere elegiaco e pacato, grazie alle parole di Pia.

La scelta dei personaggi in questo canto è peculiare, poiché sono tutti contemporanei di Dante, che in parte li conobbe di persona; la loro collocazione nel Purgatorio non segue un principio necessario, com’era invece per molti dei dannati, la cui colpa era tanto nota da impedire ogni alternativa. La salvezza di queste ombre dipende in fondo, in modo un po’ arbitario, dalla scelta dello stesso Dante: dalle sue simpatie, dalle sue convinzioni oppure dagli scopi poetici che si è proposto: l’incontro con determinati personaggi gli serve insomma fungere come espediente narrativo per fornire un esempio forte al proprio lettore.