Il secondo canto del Purgatorio comincia con il sorgere dell’alba sulla spiaggia che si estende ai piedi della montagna del Purgatorio. Qui Dante e Virgilio assistono all’arrivo di alcune anime destinate a scontare i loro peccati sul monte. I penitenti sono trasportati da una barca, condotta dalle ali di un angelo splendente. Tra queste anime Dante incontra il defunto amico Casella, musico fiorentino a cui Dante chiede di cantare in memoria dell’antico affetto. Sopraggiunge però Catone, il custode del Purgatorio, che interrompe l’esecuzione e spinge le anime a riprendere il loro cammino di espiazione, il quale non può attendere.
- Già era 'l sole a l'orizzonte giunto
- lo cui meridïan cerchio coverchia
- Ierusalèm col suo più alto punto 1;
- e la notte 2, che opposita a lui cerchia,
- uscia di Gange 3 fuor con le Bilance,
- che le caggion di man quando soverchia;
- sì che le bianche e le vermiglie guance,
- là dov’i’ era 4, de la bella Aurora
- per troppa etate divenivan rance 5.
- Noi eravam lunghesso 6 mare ancora,
- come gente che pensa a suo cammino,
- che va col cuore e col corpo dimora.
- Ed ecco, qual, sorpreso dal mattino,
- per li grossi vapor Marte rosseggia
- giù nel ponente sovra ’l suol marino,
- cotal m’apparve, s’io ancor lo veggia 7,
- un lume per lo mar venir sì ratto,
- che ’l muover suo nessun volar pareggia.
- Dal qual com’io un poco ebbi ritratto
- l’occhio per domandar lo duca mio,
- rividil più lucente e maggior fatto.
- Poi d’ogne lato ad esso m’appario
- un non sapeva che bianco, e di sotto
- a poco a poco un altro a lui uscìo.
- Lo mio maestro ancor non facea motto,
- mentre che i primi bianchi apparver ali;
- allor che ben conobbe il galeotto,
- gridò: "Fa, fa che le ginocchia cali 8.
- Ecco l’angel di Dio: piega le mani;
- omai vedrai di sì fatti officiali.
- Vedi che sdegna li argomenti umani,
- sì che remo non vuol, né altro velo
- che l’ali sue, tra liti sì lontani 9.
- Vedi come l’ ha dritte verso ’l cielo,
- trattando l’aere con l’etterne penne,
- che non si mutan come mortal pelo".
- Poi, come più e più verso noi venne
- l’uccel divino 10, più chiaro appariva:
- per che l’occhio da presso nol sostenne,
- ma chinail giuso; e quei sen venne a riva
- con un vasello snelletto e leggero 11,
- tanto che l’acqua nulla ne ’nghiottiva.
- Da poppa stava il celestial nocchiero 12,
- tal che faria beato pur descripto;
- e più di cento spirti entro sediero.
- ’In exitu Isräel de Aegypto’ 13
- cantavan tutti insieme ad una voce
- con quanto di quel salmo è poscia scripto.
- Poi fece il segno lor di santa croce 14;
- ond’ei si gittar tutti in su la piaggia:
- ed el sen gì, come venne, veloce.
- La turba che rimase lì, selvaggia
- parea del loco, rimirando intorno
- come colui che nove cose assaggia.
- Da tutte parti saettava il giorno
- lo sol, ch’avea con le saette conte
- di mezzo ’l ciel cacciato Capricorno 15
- quando la nova gente alzò la fronte
- ver’ noi, dicendo a noi: "Se voi sapete,
- mostratene la via di gire al monte".
- E Virgilio rispuose: "Voi credete
- forse che siamo esperti d’esto loco;
- ma noi siam peregrin come voi siete.
- Dianzi venimmo, innanzi a voi un poco,
- per altra via, che fu sì aspra e forte 16,
- che lo salire omai ne parrà gioco".
- L’anime, che si fuor di me accorte,
- per lo spirare, ch’i’ era ancor vivo,
- maravigliando diventaro smorte.
- E come a messagger che porta ulivo 17
- tragge la gente per udir novelle,
- e di calcar nessun si mostra schivo,
- così al viso mio s’affisar quelle
- anime fortunate tutte quante,
- quasi oblïando d’ire a farsi belle.
- Io vidi una di lor trarresi avante
- per abbracciarmi, con sì grande affetto,
- che mosse me a far lo somigliante.
- Ohi ombre vane, fuor che ne l’aspetto! 18
- tre volte dietro a lei le mani avvinsi,
- e tante mi tornai con esse al petto 19.
- Di maraviglia, credo, mi dipinsi;
- per che l’ombra sorrise e si ritrasse,
- e io, seguendo lei, oltre mi pinsi.
- Soavemente disse ch’io posasse;
- allor conobbi chi era 20, e pregai
- che, per parlarmi, un poco s’arrestasse.
- Rispuosemi: "Così com’io t’amai
- nel mortal corpo, così t’amo sciolta 21:
- però m’arresto; ma tu perché vai?".
- "Casella mio, per tornar altra volta
- là dov’io son, fo io questo vïaggio", 22
- diss’io; "ma a te com’è tanta ora tolta?" 23.
- Ed elli a me: "Nessun m’è fatto oltraggio,
- se quei che leva quando e cui li piace,
- più volte m’ ha negato esto passaggio;
- ché di giusto voler lo suo si face: 24
- veramente da tre mesi elli ha tolto
- chi ha voluto intrar, con tutta pace 25.
- Ond’io, ch’era ora a la marina vòlto
- dove l’acqua di Tevero s’insala,
- benignamente fu’ da lui ricolto.
- A quella foce ha elli or dritta l’ala,
- però che sempre quivi si ricoglie
- qual verso Acheronte non si cala 26".
- E io: "Se nuova legge 27 non ti toglie
- memoria o uso a l’amoroso canto 28
- che mi solea quetar tutte mie doglie,
- di ciò ti piaccia consolare alquanto
- l’anima mia, che, con la sua persona
- venendo qui, è affannata tanto!".
- ’Amor che ne la mente mi ragiona’ 29
- cominciò elli allor sì dolcemente,
- che la dolcezza ancor dentro mi suona.
- Lo mio maestro e io e quella gente
- ch’eran con lui parevan sì contenti,
- come a nessun toccasse altro la mente.
- Noi eravam tutti fissi e attenti
- a le sue note; ed ecco il veglio onesto 30
- gridando: "Che è ciò, spiriti lenti?
- qual negligenza, quale stare è questo?
- Correte al monte a spogliarvi lo scoglio 31
- ch’esser non lascia a voi Dio manifesto".
- Come quando, cogliendo biado o loglio,
- li colombi adunati a la pastura,
- queti, sanza mostrar l’usato orgoglio 32,
- se cosa appare ond’elli abbian paura,
- subitamente lasciano star l’esca,
- perch’assaliti son da maggior cura;
- così vid’io quella masnada 33 fresca
- lasciar lo canto, e fuggir ver’ la costa 34,
- com’om che va, né sa dove rïesca 35;
- né la nostra partita fu men tosta.
- Il sole era già giunto all’orizzonte
- il cui arcuato meridiano sovrasta
- nel suo punto più alto Gerusalemme;
- e la notte, che gira nel senso opposto a quello del
- sole, sorgeva da Oriente nella costellazione della
- Bilancia, dove non si trova più quando è più lunga del dì;
- cosicché le guance bianche e rosse
- della bella Aurora, là dov’ero io,
- diventavano arancione per vecchiezza.
- Noi ci trovavamo ancora presso la riva del mare
- come chi sta pensando a che cammino seguire,
- che vaga col pensiero ma col corpo resta fermo.
- Ed ecco, come Marte, sorpreso dalla luce del mattino,
- circondato da densi vapori si mostra rosso
- ad occidente sull’orizzonte marino,
- tale mi apparve, possa io vederlo ancora,
- una luce che arrivava dal mare così veloce,
- che nessun volo può essere simile per rapidità.
- Come distolsi per un attimo lo sguardo da quella luce
- per domandare alla mia guida di cosa si trattasse,
- riguardandola subito la rividi più luminosa e grande per la vicinanza.
- Poi ai due lati di quella luce mi apparve
- qualcosa di bianco la cui natura mi era ignota, e sotto
- a poco a poco comparve qualcos’altro.
- Il mio maestro ancora non parlava, mentre le due
- prime macchie bianche si rivelavano ali;
- non appena ebbe riconosciuto il nocchiero:
- gridò: “Inginocchiati;
- ecco l’angelo di Dio: congiungi le mani;
- ormai vedrai spesso ministri di Dio a lui simili.
- Vedi come rifiuta gli strumenti umani,
- cosicché non vuole remi, né altre vele
- che le sue ali, per arrivare da una spiaggia lontana.
- Vedi come le tiene dritte verso il cielo,
- fendendo l’aria con le penne eterne,
- che non subiscono la muta come il pelo degli esseri mortali.
- Poi, mentre sempre più si avvicinava a noi
- l’Angelo divino, appariva più luminoso:
- per cui lo sguardo da vicino non poté sopportarlo.
- ma lo abbassai giù; e quello arrivò a riva con una
- piccola imbarcazione rapida e leggera, tanto che
- nessuna sua parte si trovava sotto il pelo dell’acqua.
- Il nocchiero celeste stava a poppa, ed era tale che
- anche solo una sua descrizione renderebbe beato
- ogni uomo; e più di cento anime sedevano in barca.
- “In exitu Isräel de Aegypto” cantavano tutti insieme
- in perfetta unità, come se si trattasse di un’unica voce
- proseguendo con quanto è poi scritto in quel salmo.
- Poi fece su di loro il segno della croce santa;
- e quindi le anime scesero tutte con impeto sulla spiaggia:
- ed egli se ne andò veloce così come era arrivato.
- La folla che rimase lì, sembrava inesperta
- del luogo, guardandosi intorno come colui che
- incontra per la prima volta di cose nuove.
- Il sole illuminava ovunque con la sua luce,
- il quale con i suoi raggi infallibili
- aveva cacciato il Capricorno dal cielo,
- quando le nuove anime alzarono il viso,
- verso di noi, dicendo: “Se la sapete,
- mostrateci la via per raggiungere il monte”.
- E Virgilio rispose: “Voi credete forse
- che conosciamo questo luogo;
- ma noi siamo stranieri come voi.
- Siamo giunti qui, appena prima di voi,
- per un’altra via, che fu tanto difficile e malagevole,
- che salire ormai ci sembrerà cosa da poco”.
- Le anime, che si erano accorte,
- che ero ancora vivo, per il fatto che respiravo,
- diventarono pallide dalla meraviglia.
- E come la gente accorre incontro per ascoltare
- le novità al messaggero che porta l’ulivo,
- e nessuno si trattiene dall’accalcarsi,
- così tutte quante fissarono il mio viso
- quelle anime fortunate,
- quasi dimenticando di andare a purificarsi.
- Io vidi una di loro farsi avanti
- per abbracciarmi, dimostrando tanto affetto,
- che mi spinse a fare lo stesso.
- Ahimé ombre inconsistenti, tranne che nell’apparenza visibile!
- Tre volte mi toccai le mani dietro le sue spalle circondandola
- con le braccia, e tre volte esse tornarono a toccare il mio petto.
- Credo di aver manifestato con l’espressione del viso
- la mia meraviglia; per cui quell’anima sorrise e
- si trasse indietro, e io, seguendola, mi spinsi più avanti.
- Con dolcezza mi suggerì di desistere;
- allora capii chi era, e lo pregai
- che si fermasse un momento per parlarmi.
- Mi rispose: “Così come provai affetto per te
- quando avevo un corpo mortale, così ti amo da anima libera:
- perciò mi trattengo qui con te; ma tu perché fai questo viaggio?”.
- “Casella mio, io faccio questo viaggio per tornare un'altra volta
- dove mi trovo ora”, dissi; “ma a te, come mai è stato sottratto
- così tanto tempo per iniziare la tua penitenza?”
- Ed egli mi rispose: “Nessuno mi ha fatto un torto,
- se colui che decide quali anime trasportare e quando,
- più volte mi ha negato di compiere questo viaggio;
- perché il suo volere deriva da una volontà giusta:
- in verità negli ultimi tre mesi ha preso a bordo
- chi voleva salire, senza alcuna opposizione.
- Perciò io, che ero rivolto verso il tratto di mare
- in cui l’acqua del Tevere sfocia in mare,
- fui accolto da lui con benevolenza.
- Ora egli si è di nuovo diretto verso quella foce,
- perché lì si raccolgono sempre tutte le anime
- che non devono scendere all’Acheronte”.
- E io: “Se la tua nuova condizione non ti ha privato
- della memoria o della facoltà di intonare il canto lirico
- che era solito placare ogni mio affanno,
- così ti prego di consolare la mia anima,
- che, essendo giunta fin qui con il suo corpo,
- si è tanto affannata!”.
- “Amor che ne la mente mi ragiona”
- cominciò allora egli con tanta dolcezza,
- che la stessa dolcezza mi risuona ancora dentro.
- Il mio maestro, io, e quelle anime
- che erano con Casella sembravano così contenti,
- come se nessuno avesse un altro pensiero.
- Eravamo tutti concentrati ed attenti
- alle sue note; ed ecco arrivò il vecchio
- ed onesto Catone gridando: “Cosa succede, spiriti pigri?
- Quale negligenza, quale indugio è questo? Affrettatevi
- verso il monte a liberarvi della scorza peccaminosa
- che vi impedisce di godere della vista di Dio”.
- Come quando, beccando la biada o il loglio,
- i colombi radunati insieme per mangiare, quieti,
- senza mostrare il solito atteggiamento impettito,
- se appare qualcosa di cui essi hanno paura,
- subito lasciano stare il cibo, perché sono assaliti
- da una preoccupazione maggiore;
- così vidi quella folla di anime appena arrivate
- abbandonare il canto, e fuggire verso il monte,
- come colui che procede ma non sa dove andrà a finire;
- nè la nostra partenza fu meno frettolosa.
1 Secondo la geografia medievale la terra emersa ed abitata occupava l’emisfero boreale, estendendosi per 180°; al centro si trovava Gerusalemme. Il monte del Purgatorio si trovava invece al centro dell’emisfero australe, per il resto costituito solo da acqua. Se dunque il sole è sceso tanto da toccare la linea dell’orizzonte secondo il punto di vista di Gerusalemme (e nella terzina successiva si capisce che ciò è avvenuto proprio ad occidente della città) nell’emisfero boreale è il tramonto. Per contro l’emisfero opposto sta vedendo l’alba.
2 La notte è rappresentata metaforicamente come un astro che gira in senso opposto a quello del sole, ma è anche personificata in quanto tiene in mano le Bilance.
3 Secondo la geografia del tempo il Gange rappresentava l’estremo punto orientale delle terre emerse.
4 là dov’i’ era: sull’isola del Purgatorio, dove appunto è giunta l’alba.
5 divenivan rance: la vecchiaia indica per metafora, come richiede l’uso dell’immagine mitologica di Aurora come figurazione dell’alba, il divenire sempre più intenso della luce solare con il passare delle ore
6 lunghesso: forma arcaica in cui esso rafforza la preposizione “lungo”.
7 Dante spera di rivedere quello spettacolo meraviglioso perché ciò significherebbe che è potuto tornare in Purgatorio dopo la morte ed è quindi destinato alla salvezza attraverso l’espiazione. La forma “s’io...veggia” non è ipotetica, ma ottativa, esprime cioè un augurio, una speranza.
8 Virgilio invita Dante ad inginocchiarsi in atto di reverenza verso l’angelo.
9 Le anime destinate alla redenzione si raccolgono alla foce del Tevere da dove l’angelo nocchiero le trasporta all’isola del Purgatorio.
10 l’ccel divino: l’angelo è detto uccello perché ha le ali; inoltre l’immagine si oppone a quella del canto XXII dell’inferno, dove il diavolo è definito “malvagio uccello” (v. 96). Potrebbe trattarsi anche di una citazione dalla Tebaide di Stazio.
11 Altra antitesi con l’Inferno: il vascello “snelletto e leggero” si contrappone alla barca che traghetta le anime dannate lungo l’Acheronte.
12 Anche qui gli attributi dell’angelo nocchiero contrastano con quelli di Caronte, “nocchier de la livida palude” (Inferno, III, 98).
13 Si tratta del Salmo CXIII, ovvero il canto della liberazione degli Ebrei dalla schiavitù in Egitto. Il salmo in questione occupava nella liturgia cattolica il momento dell’estremo saluto al defunto, intendendolo metaforicamente come il canto della liberazione dell’anima dalla vita terrena. Nel contesto purgatoriale, il salmo è un canto alla futura liberazione di queste anime dal peccato mediante la salita del monte. Dante torna sull’interpretazione di questo salmo, in accordo con i quattro livelli medievali di lettura del testo, nel Convivio (II, I, 6-7) e nell’Epistola a Cangrande (XIII, 21).
14 Tutta la cantica del Purgatorio è contrassegnata da riferimenti al cerimoniale liturgico.
15 Considerata la stagione primaverile il Sole è nel segno dell’Ariete. Dunque all’alba il Capricorno è al centro del meridiano; man mano che il sole ascende, il Capricorno declina proporzionalmente.
16 aspra e forte: esplicito il rimando al primo canto dell’Inferno, a simboleggiare il netto cambiamento di clima e, al tempo stesso, la maturazione di Dante, che ha attraversato tutte le gradazioni possibili del peccato umano.
17 Questa abitudine, che in periodo medievale permetteva di individuare subito i messaggeri, è già citata da alcuni classici ed era ancora consueta ai tempi di Dante
18 Le anime, non a caso dette “ombre”, non sono fatte di materia ma sono puro spirito. Non possono quindi essere toccate, anche se possono sentire il dolore della loro pena in accordo con il volere divino.
19 Chiaro riferimento virgiliano: “Tre volte tentò di gettargli le braccia al collo, tre volte l’immagine inutilmente gli sfuggi di mano” (Eneide, VI, 700-701)
20 Si tratta di Casella, musico fiorentino della cui vita non si hanno notizie certe: il nome è tanto diffuso che non è stato possibile individuare con certezza la sua identità. Da questo canto si desume che dovesse essere contemporaneo di Dante e che sia morto poco prima della primavera del 1300, anno in cui avviene il viaggio dantesco.
21 Il termine “sciolta” indica la liberazione dell’anima dal corpo. In questo contesto il corpo è legato alla negatività della vita terrena e del peccato, mentre l’anima rappresenta la parte eterna e nobile dell’uomo che può essere salvata grazie al pentimento. La liberazione va quindi intesa in senso pienamente positivo.
22 Come si è già visto, lo scopo immediato del viaggio di Dante è prendere coscienza delle proprie colpe e dunque tornare sulla retta via dopo la parentesi della “selva oscura” così da non essere destinato all’Inferno dopo la morte
23 Evidentemente Casella è morto già da qualche tempo e Dante si stupisce che non sia stato subito portato al Purgatorio per iniziare il suo percorso di purificazione. Il tempo “tolto” è appunto quello sottratto a quella utile penitenza.
24 L’angelo nocchiero decide, come tramite della volontà di Dio di cui è emissario, chi debba di volta in volta giungere al Purgatorio, proprio come Caronte fa con le anime dannate lungo la riva dell’Acheronte. Queste decisioni sono imperscrutabili per l’uomo, ma sicuramente giuste, perché divine.
25 Nel febbraio del 1300 il pontefice Bonifacio VIII (1230ca. - 1303) aveva proclamato il Giubileo, cioè un periodo in cui era possibile concedere indulgenze speciali per i peccati. Quindi i tre mesi a cui si riferisce Casella vanno dalla proclamazione del Giubileo al momento del suo incontro con Dante. In realtà la bolla pontificia con cui era stato promulgato il Giubileo non menzionava le indulgenze applicabili ai defunti; tuttavia secondo la credenza popolare, cui evidentemente fa riferimento Dante, attraverso la preghiera era possibile estendere quelle concessioni anche a chi fosse già morto. Resta oscuro perché Casella non abbia chiesto di essere portato prima, visto che l’angelo concedeva il passaggio liberamente già da tre mesi. Anche questo però fa parte delle insondabili regole dell’aldilà.
26 Le anime destinate al Purgatorio si raccolgono alla foce del Tevere, mentre quelle destinate all’Inferno sulla riva dell’Acheronte.
27 nuova legge: Dante si riferisce alla nuova condizione in cui si trova Casella che comporta nuove regole e nuove consuetudini.
28 Indica, secondo il critico Natalino Sapegno, la tecnica del canto monodico, strettamente legato alla lirica di alto stile provenzale.
29 Così inizia la seconda canzone del Conviviodantesco: come indica Dante stesso nel commento alla propria opera (il Convivio è un prosimetro in cui le parti in prosa riflettono su quelle in versi), la donna cantata era un’immagine metaforica della Filosofia.
30 La rappresentazione di Catone è sempre caratterizzata da dignità e rispetto. Egli è il custode del monte e in particolare della zona in cui si accede alla salita (la spieggia e l’Antipurgatorio) e deve controllare che le anime procedano correttamente alla loro penitenza. Ecco perché, vedendole perdere tempo e pensare ad altro rispetto al volere divino, le riprende con severità. Il personaggio è stato introdotto nel canto precedente, in cui si riprendevano alcuni fatti salienti della sua vita: il legame con la moglie Marzia, dapprima ripudiata ma poi ripresa con sé, e soprattutto l’amore per la libertà e l’odio per la tirannide, che avevano spinto Catone al suicidio per evitare di cadere nelle mani del vittorioso nemico Cesare, con cui finiva l’era repubblicana e iniziava l’Impero romano.
31 scoglio: metafora che si riferisce all’impurità dei peccati che copre l’anima impedendo la visione di Dio. Di questo peso le anime penitenti devono liberarsi salendo il monte e scontando la pena.
32 I colombi sono soliti muoversi con il capo alto e il petto gonfio, tranne quando abbassano il collo per beccare da terra.
33 masnada: francesismo per “schiera, folla”.
34 Non quella sul mare, ma il fianco ripido del monte
35 Poco prima Dante ha mostrato che né le anime né Virgilio sanno esattamente dove andare. Ora si affrettano tutti in direzione casuale e saranno gli incontri successivi a fornire indicazioni utili in tal senso