Introduzione
Il diciassettesimo canto del Paradiso, è ambientato come i due precedenti nel cielo di Marte, cui appartengono gli spiriti di coloro che sono morti combattendo per la fede. Dante continua la conversazione con il suo avo Cacciaguida, che aveva incontrato nel canto quindicesimo e che gli aveva parlato di sé e dell’antica Firenze in contrasto con la realtà presente della città ormai corrotta. Ora, il poeta è colto da dubbi e incertezze; dunque, seguendo il consiglio di Beatrice, chiede a Cacciaguida alcuni chiarimenti circa le numerose profezie che sono state pronunciate sul suo futuro durante il suo viaggio attraverso l’Inferno e il Purgatorio. Cacciaguida affronta quindi la complessa questione della predestinazione e si fa quindi portavoce di un’ulteriore, dura profezia. Il canto si conclude affrontando i nuovi dubbi di Dante sulle ripercussioni che potrebbe avere la Commedia, cui l’avo risponde con decisione e sicurezza.
Parafrasi
- Qual 1 venne a Climenè, per accertarsi
- di ciò ch’avëa incontro a sé udito,
- quei ch’ancor fa li padri ai figli scarsi 2;
- tal era io, e tal era sentito
- e da Beatrice e da la santa lampa 3
- che pria per me avea mutato sito 4.
- Per che mia donna “Manda fuor la vampa
- del tuo disio”, mi disse, “sì ch’ella esca
- segnata bene de la interna stampa 5:
- non perché nostra conoscenza cresca 6
- per tuo parlare, ma perché t’ausi
- a dir la sete 7, sì che l’uom ti mesca”.
- “O cara piota 8 mia che sì t’insusi 9,
- che, come 10 veggion le terrene menti
- non capere 11 in trïangol due ottusi,
- così vedi le cose contingenti
- anzi che sieno in sé, mirando il punto
- a cui tutti li tempi son presenti; 12
- mentre ch’io era a Virgilio congiunto
- su per lo monte che l’anime cura
- e discendendo nel mondo defunto,
- dette mi fuor di mia vita futura
- parole gravi 13, avvegna ch’io mi senta
- ben tetragono ai colpi di ventura;
- per che la voglia mia saria contenta
- d’intender qual fortuna mi s’appressa:
- ché saetta previsa vien più lenta 14”.
- Così diss’ io a quella luce stessa
- che pria m’avea parlato; e come volle
- Beatrice, fu la mia voglia confessa.
- Né per ambage 15, in che la gente folle
- già s’inviscava pria che fosse anciso
- l’Agnel di Dio che le peccata tolle 16,
- ma per chiare parole e con preciso
- latin rispuose quell’ amor paterno,
- chiuso e parvente del suo proprio riso 17:
- “La contingenza, che fuor del quaderno
- de la vostra matera non si stende,
- tutta è dipinta nel cospetto etterno 18;
- necessità però quindi non prende
- se non come dal viso in che si specchia
- nave che per torrente giù discende 19.
- Da indi, sì come viene ad orecchia
- dolce armonia da organo, mi viene
- a vista il tempo che ti s’apparecchia.
- Qual si partio Ipolito d’Atene 20
- per la spietata e perfida noverca,
- tal di Fiorenza partir ti convene.
- Questo si vuole e questo già si cerca,
- e tosto verrà fatto a chi ciò pensa
- là dove Cristo tutto dì si merca 21.
- La colpa seguirà la parte offensa
- in grido, come suol; ma la vendetta
- fia testimonio al ver che la dispensa.
- Tu lascerai ogne cosa diletta
- più caramente; e questo è quello strale
- che l’arco de lo essilio pria saetta.
- Tu proverai sì come sa di sale
- lo pane altrui, e come è duro calle
- lo scendere e 'l salir per l'altrui scale 22.
- E quel che più ti graverà le spalle,
- sarà la compagnia malvagia e scempia
- con la qual tu cadrai in questa valle 23;
- che tutta ingrata, tutta matta ed empia
- si farà contr’ a te 24; ma, poco appresso,
- ella, non tu, n’avrà rossa la tempia 25.
- Di sua bestialitate il suo processo
- farà la prova; sì ch’a te fia bello
- averti fatta parte per te stesso.
- Lo primo tuo refugio e ’l primo ostello
- sarà la cortesia del gran Lombardo 26
- che ’n su la scala porta il santo uccello;
- ch’in te avrà sì benigno riguardo,
- che del fare e del chieder, tra voi due,
- fia primo quel che tra li altri è più tardo 27.
- Con lui vedrai colui 28 che ’mpresso fue,
- nascendo, sì da questa stella forte,
- che notabili fier l’opere sue.
- Non se ne son le genti ancora accorte
- per la novella età 29, ché pur nove anni
- son queste rote intorno di lui torte;
- ma pria che ’l Guasco l’alto Arrigo inganni 30,
- parran faville de la sua virtute
- in non curar d’argento né d’affanni.
- Le sue magnificenze 31 conosciute
- saranno ancora, sì che ’ suoi nemici
- non ne potran tener le lingue mute.
- A lui t’aspetta e a’ suoi benefici;
- per 32 lui fia trasmutata molta gente,
- cambiando condizion ricchi e mendici 33;
- e portera’ne scritto ne la mente
- di lui, e nol dirai”; e disse cose
- incredibili a quei che fier presente.
- Poi giunse: “Figlio, queste son le chiose
- di quel che ti fu detto; ecco le ’nsidie
- che dietro a pochi giri son nascose.
- Non vo’ però ch’a’ tuoi vicini invidie,
- poscia che s’infutura 34 la tua vita
- vie più là che ’l punir di lor perfidie 35”.
- Poi che, tacendo, si mostrò spedita
- l’anima santa di metter la trama
- in quella tela ch’io le porsi ordita 36,
- io cominciai, come colui che brama,
- dubitando, consiglio da persona
- che vede e vuol dirittamente e ama:
- “Ben veggio, padre mio, sì come sprona
- lo tempo verso me, per colpo darmi
- tal, ch’è più grave a chi più s’abbandona;
- per che di provedenza è buon ch’io m’armi,
- sì che, se loco m’è tolto più caro,
- io non perdessi li altri per miei carmi 37.
- Giù per lo mondo sanza fine amaro,
- e per lo monte del cui bel cacume
- li occhi de la mia donna mi levaro,
- e poscia per lo ciel, di lume in lume,
- ho io appreso quel che s’io ridico,
- a molti fia sapor di forte agrume;
- e s’io al vero son timido amico,
- temo di perder viver tra coloro
- che questo tempo chiameranno antico”.
- La luce in che rideva il mio tesoro 38
- ch’io trovai lì, si fé prima corusca,
- quale a raggio di sole specchio d’oro 39;
- indi rispuose: “Coscïenza fusca
- o de la propria o de l’altrui vergogna
- pur sentirà la tua parola brusca.
- Ma nondimen, rimossa ogne menzogna,
- tutta tua visïon fa manifesta;
- e lascia pur grattar dov’ è la rogna 40.
- Ché se la voce tua sarà molesta
- nel primo gusto, vital nodrimento 41
- lascerà poi, quando sarà digesta 42.
- Questo tuo grido farà come vento,
- che le più alte cime più percuote 43;
- e ciò non fa d’onor poco argomento.
- Però ti son mostrate in queste rote,
- nel monte e ne la valle dolorosa
- pur l’anime che son di fama note,
- che l’animo di quel ch’ode, non posa
- né ferma fede per essempro ch’aia
- la sua radice incognita e ascosa,
- né per altro argomento che non paia”.
- Come Fetonte si rivolse a Climene, per accertarsi
- di ciò che aveva sentito a proprio danno, esempio che
- oggi rende i padri restii ad accontentare i figli;
- così stavo io, e così il mio stato d’animo era avvertito
- sia da Beatrice sia dalla santa e luminosa anima
- di Cacciaguida che prima per me aveva cambiato posto.
- Perciò la mia signora disse “Esprimi l’ardore
- del tuo desiderio, in modo che esso appaia
- ben segnato dall’impronta interiore:
- non perché le tue parole possano arricchire
- la nostra conoscenza, ma perché ti abitui,
- a esprimere i tuoi desideri, così che tu sia appagato”.
- “O mia cara radice che tanto ti innalzi, la quale, come
- le menti umane comprendono che due angoli ottusi
- non possono essere contenuti in un solo triangolo,
- così riesci a vedere gli eventi terreni
- prima che si attuino, guardando in quel punto
- in cui passato, presente e futuro sono compresenti;
- mentre io insieme a Virgilio salivo il monte
- del Purgatorio che porta le anime alla salvezza
- e discendevo nel mondo dei dannati,
- a proposito della mia vita futura mi sono state rivolte
- parole dure e preoccupanti, sebbene io mi senta
- ben stabile davanti ai colpi della sorte;
- perciò il mio desiderio si appagherebbe se sapessi
- quale sorte mi attende: perché una saetta prevista
- arriva più lenta e dunque meno pericolosa”.
- Così dissi io a quella stessa luce
- che prima mi aveva parlato; e come aveva voluto
- Beatrice, dichiarai in modo esplicito il mio desiderio.
- Non con il linguaggio ambiguo in cui i pagani, per una
- folle e falsa religione, si invischiavano prima che
- fosse ucciso l’Agnello di Dio che purifica i nostri peccati
- ma con parole chiare e linguaggio esplicito
- rispose quel padre amoroso,
- avvolto e luminoso nella sua letizia:
- “I fatti contingenti, che non hanno luogo
- al di fuori del mondo materiale,
- sono tutti e sempre presenti nella mente divina;
- non per questo acquisiscono carattere di necessità,
- così come il movimento di una nave che discende
- un torrente non dipende dallo sguardo che la osserva.
- Dalla mente divina, così come dall’organo giunge
- all’orecchio la dolce melodia, viene alla mia mente
- la visione del tempo che si prepara per te.
- Come Ippolito si allontanò in esilio da Atene
- a causa della spietata e perfida matrigna,
- così tu dovrai andartene da Firenze.
- Questo già si desidera e questo già si cerca di attuare,
- e presto verrà messo in atto da chi fa macchinazioni
- là dove ogni giorno si fa mercato della religione.
- La colpa verrà imputata ai vinti dall’opinione pubblica,
- come sempre; ma ci sarà una giusta vendetta
- che sarà prova di verità perché proviene da Dio.
- Lascerai tutto ciò che ami maggiormente
- e questo è quel dolore
- che per prima cosa ti infliggerà l’esilio.
- Tu proverai quanto è amaro il pane concesso
- dagli altri, e quanto è faticoso e doloroso
- salire e scendere per le scale delle abitazioni altrui.
- E ciò che più ti sembrerà gravoso,
- saranno i compagni di fazione malvagi e sciocchi
- con cui condividerai questa misera condizione;
- che ingrati,dissenati e pieni d’odio
- si volgeranno contro di te; ma poco dopo, saranno essi
- e non tu, a subirne le sanguinose conseguenze.
- La loro insensatezza sarà dimostrata
- dalle loro azioni; cosicché ti farà onore
- esserti allontanato da loro, agendo in modo indipendente
- Tuo primo rifugio e prima dimora verranno dalla generosità
- del nobile signore lombardo che nello stemma
- ha una scala con sopra l’aquila imperiale;
- che verso di te avrà un’attenzione tanto benevola,
- che tra l’agire e il chiedere, tra voi, avverrà
- per primo quello che, nei casi altrui, avviene dopo.
- Stando con lui vedrai colui che nascendo ricevette
- da questo cielo di Marte un influsso così forte
- da rendere memorabili le sue imprese.
- Le genti non si sono ancora accorte di lui
- per la sua giovane età, infatti solo nove anni
- questi cieli hanno ruotato attorno a lui;
- ma prima che il papa guascone inganni il nobile
- Enrico, si vedranno i primi indizi della sua virtù
- nel disprezzo del denaro e delle difficoltà.
- La sua magnificenza sarà allora
- così conosciuta, che nemmeno i suoi nemici
- potranno tacerle.
- Affidati a lui e ai suoi benefici; grazie a lui
- verrà mutata la condizione di molta gente,
- trasformando lo stato dei ricchi e dei poveri;
- e porterai scolpito nella memoria questo su di lui,
- e non ne parlerai a nessuno”; e disse cose incredibili
- persino per coloro che le vedranno accadere.
- Poi aggiunse: “Figlio mio, queste sono le spiegazioni
- di quello che ti è stato predetto; ecco le insidie
- che sono nascoste nello spazio di pochi anni.
- Non voglio però che porti odio ai tuoi concittadini,
- poiché la tua vita si prolungherà ben più in là
- di quando veranno punite le loro malvagità”.
- Dopo che, restando in silenzio, quell’anima santa
- dimostrò di aver compiuto il compito di dare
- una trama a quella tela che io gli avevo esposto,
- io cominciai a parlare, come colui che, avendo
- dei dubbi, desidera il consiglio da una persona
- sapiente e virtuosa e amorosa:
- “Comprendo bene, padre mio, come incalza
- il tempo verso di me, per darmi un colpo tale,
- che è più violento tanto più ci si abbandona ad esso;
- è pertanto bene che mi armi di previdenza, cosicché,
- se mi sarà tolto il luogo più caro, la patria, non debba
- perdere altre possibili dimore a causa dei miei versi.
- Giù per l’Inferno, il regno in cui il dolore non conosce
- fine, e per il monte dalla cui bella cima verso
- il Paradiso mi sollevarono gli occhi della mia donna,
- e dopo nel Paradiso, di cielo in cielo, ho appreso
- ciò che, se lo dovessi raccontare, a molti sarebbe
- sgradito come il sapore molto aspro di un agrume;
- e se però avrò paura di dire il vero,
- temo di perdere la fama tra le genti future,
- che chiameranno antico il tempo presente”.
- La luce in cui splendeva la gemma preziosa che
- avevo incontrato là, si fece prima luminosa, come
- uno specchio d’oro in cui si rifletta un raggio di luce;
- quindi rispose: “Le coscienze offuscate
- per le colpe proprie o altrui, avvertiranno
- certamente le tue parole come brusche.
- Ma nondimeno, allontanata qualsiasi menzogna,
- rivela tutto ciò che hai visto;
- e lascia lamentare chi ha ragione di dolersene.
- Poiché se le tue parole saranno spiacevoli
- al primo assaggio, forniranno poi nitrumento vitale,
- quando saranno digerite.
- Queste tue parole faranno come il vento,
- che percuote con forza maggiore le cime più alte;
- e ciò non costituisce una piccola ragione d’onore.
- Per questa ragione ti sono state mostrate
- in questi cieli, sul monte e nella valle del dolore
- solo le anime che sono molto conosciute per fama,
- infatti l’animo di colui che ascolta, non pone
- né presta fede a un esempio che abbia
- una radice ignota e oscura,
- né per altro argomento che non sia evidente”.
1 Dante si paragona a Fetonte, la creatura mitologica che andò dalla madre Climene per chiedere conferma di essere veramente il figlio di Apollo, dopo che Epafo aveva insinuato che si trattava di una menzogna.
2 figli scarsi: Apollo, per convincere Fetonte del fatto che era davvero suo figlio, gli permise di guidare al suo posto il carro del sole. Fetonte però uscì dal percorso corretto e Giove lo fulminò. Ecco perché i padri, memori di quell’esempio, sono restii ad acconsentire alle richieste dei figli
3 santa lampa: cioè Cacciaguida, protagonista di questo e dei due canti precedenti.
4 Nel canto quindicesimo Cacciaguida, per parlare con Dante, aveva abbandonato il suo posto nella croce di luci.
5 de la interna stampa: Dante sceglie qui una metafora piuttosto frequente in poesia, quella della cera su cui lo stampo lascia un’impronta precisa
6 Questo perché i beati vedono già tutto in Dio, compresi i pensieri del poeta.
7 Qui il desiderio è rappresentato con la metafora della sete, secondo un’altra immagine topica ed abbastanza convenzionale.
8 O cara piota: alla lettera piota significa pianta del piede e quindi figurativamente la “radice”.
9 insusi: neologismo dantesco creato a partire dalla preposizione suso, “su”.
10 con la stessa semplicità, necessità ed immediatezza.
11 capere: latinismo da capio, capis, cepi, captum, capere per “essere contenuto”.
12 Dante intende Dio, che non vive nel tempo degli uomini, ma nell’eternità in cui ogni tempo terreno è compresente.
13 parole gravi: si riferisce alle numerose predizioni che Dante ha ascoltato all’Inferno e nel Purgatorio in merito al proprio futuro.
14 L’immagine è ricavata da un verso di Esopo (dalla raccolta d’età medievale Galterus anglicus).
15 ambage: latinismo per “tortuosità”, da ambages, -is.
16 agnel di Dio: Gesù Cristo; nell’insieme l’espressione è liturgica.
17 La luce delle anime nel Paradiso identifica la loro gioiosa condizione di beati
18 I fatti contingenti sono presenti nella mente divina eternamente. Queste indicazioni teologiche sono tratte da san Tommaso nel suo trattato Summae Theologiae.
19 È il principio del libero arbitrio: l’onniscienza divina non impedisce che ciascun essere umano possa scegliere per se stesso e in maniera autonoma.
20 Ipolito d’Atene: l’esilio di Dante da Firenze è paragonato alla cacciata di Ippolito da Atene: la sua matrigna aveva cercato, inutilmente, di sedurlo e furiosa per il suo rifiuto lo aveva accusato ingiustamente di fronte a Teseo, il re e padre di Ippolito, che lo aveva esiliato. Il paragone tra l’innocente Ippolito e Dante implica che nemmeno il poeta sia colpevole.
21 là dove Cristo tutto dì si merca: il riferimento alla corruzione della curia pontificia e al suo coinvolgimento nelle vicende politiche, in particolare quelle fiorentine
22 Immagine celebre, in cui si spiega che la vita in esilio, totalmente dipendente dalla generosità e dalla pietà altrui, è dolorosa e piena di umiliazioni.
23 in questa valle: riferimento alla fazione dei guelfi bianchi, cui Dante era in origine legato, che condivisero con lui la condanna all’esilio
24 Dante, poco dopo l’esilio, si allontanò dagli altri Bianchi, da cui lo dividevano vedute radicalmente opposte.
25 n’avrà rossa la tempia: si riferisce ai tragici tentativi degli esiliati di rientrare a Firenze: ai primi due, nel 1302 e nel 1303, partecipò probabilmente anche Dante, che poi cercò di dissuadere i compagni da simili tentativi mal organizzati. Ne seguirono però ancora due, cui Dante non prese parte, nel 1304 (battaglia della Lastra) e 1306. Nessuna di queste battaglie ebbe successo.
26 gran Lombardo: Bartolomeo della Scala, signore di Verona. Dante deve essere stato suo ospite entro il 1306, quando si trova in Lunigiana.
27 Storicamente, non sembra che Bartolomeo sia stato davvero così amichevole e generoso nei confronti di Dante. In effetti nel Purgatorio (canto XVIII) il poeta se n’era lamentato. Ora però dominano nella sua prospettiva le qualità di Cangrande della Scala, il rispetto per il quale irradia su tutta la casata
28 colui: si riferisce a Cangrande della Scala, che tenne la signoria di Verona dalla morte del fratello Alboino, cui però era già stato affiancato in precedenza come co-reggente, alla propria morte, nel 1329. Fu amico fraterno di Dante, che gli dedicò l’intero Paradiso.
29 novella età: al momento ipotetico del viaggio oltramondano Cangrande, nato nel 1291, aveva solo 9 anni.
30 Il Papa Clemente V aveva favorito la discesa dell’Imperatore Enrico VII (per Dante Arrigo) in Italia, per poi tradirlo nel 1312 incitando i Guelfi alla ribellione.
31 sue magnificenze: la magnificenza è una delle undici virtù dell’animo nobile secondo la tradizione cavalleresco-cortese.
32 per: francesismo che significa “da”.
33 Non è un riferimento preciso a fatti concreti e storici, ma un’eco biblica che vuole sottolineare la grandezza attribuita a Cangrande.
34 s’infutura: neologismo dantesco.
35 Dante un giorno assisterà al castigo dei fiorentini.
36 Dante utilizza una metafora tessile: la tela è quella del futuro di Dante, dove l’ordito corrisponde alle profezie oscure che il poeta aveva ricevuto in precedenza, e la trama alla spiegazione chiara che ora ha fornito Cacciaguida.
37 A Dante è sorto il dubbio che i suoi versi possano costargli l’ospitalità che gli sarà tanto necessaria al momento della cacciata da Firenze, a causa della durezza dei giudizi che spesso vi sono espressi.
38 Si riferisce a Cacciaguida, con espressione che suggerisce il rispetto e l’affetto che Dante prova nei suoi confronti.
39 Spesso le anime esprimono con un incremento della loro luce la gioia di rispondere a Dante.
40 e lascia pur grattar dov’ è la rogna: l’immagine della malattia esprime con efficacia il concetto perché la rogna provoca in effetti un gran prurito.
41 vital nodrimento: il poema è concepito dal proprio autore come un grande messaggio di salvezza per l’umanità. La concezione del testo letterario come “nutrimento” per l’essere umano è anche alla base del Convivio.
42 digesta: latinismo per “digerita”.
43 L’immagine delle cime anticipa la più esplicita indicazione della terzina finale: bisogna colpire i grandi e i potenti per fornire un esempio eloquente a tutti gli altri.