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"Purgatorio", canto 6: riassunto e commento

Parafrasi Commento

Introduzione

Dante si trova al secondo balzo dell’Antipurgatorio, tra i morti di morte violenta; secondo le indicazioni temporali dello svolgersi del suo viaggio ultramondano siamo nelle prime ore dopo il mezzogiorno del giorno di Pasqua, il 10 aprile del 1300. In questo canto la figura centrale è Sordello da Goito che - in virtù dell’affetto che dimostra nei confronti di Virgilio dopo aver saputo che anch'egli è originario di Mantova - stimola in Dante una celebre e dolorosa apostrofe contro l’Italia e Firenze, che costitusce il tema politico del canto.

 

Riassunto

Dante inizialmente viene accerchiato da una schiera di anime che, comprendendo che il poeta proviene dal mondo dei vivi, chiedono con insistenza (come gli spettatori che attorniano colui che vince al gioco dei dadi) preghiere e suffragi dai vivi per poter aver ridotta in parte la pena che devono scontare (segue qui un breve elenco di alcune figure del tempo riconosciute da Dante). L'episodio, che chiude gli eventi narrati nel canto precedente, suscita nel protagonista un dubbio, dato che Virglio, suo maestro, aveva specificato, in un passo dell'Eneide, che è inutile qualsiasi preghiera di suffragio per i defunti. Il poeta latino spiega che in quel caso le richieste non sortivano effetto perché fatte da uomini pagani, e quindi irricevibili da Dio. I due si avvicinano poi ad un'anima "sola, soletta", che mantiene un atteggiamento fiero ed altero: si tratta del poeta trovatore e uomo di corte Sordello da Goito. Non appena il poeta viene a sapere che anche Virgilio è mantovano, scoppia tra loro un innato moto d’affetto innato dovuto all’essere concittadini; Dante sfrutta questo episodio per un’amara apostrofe contro l’Italia e Firenze in cui, l’odio personale, le divisioni politiche interne e la corruzione (in particolar modo a Firenze) stanno portando alla crollo non solo della nazione italiana ma - cosa che sta particolarmente a cuore a Dante - all'unità stessa dell'Impero, che dovrebbe aver invece nell'Italia la propria sede privilegiata.

 

Tematiche

La questione dottrinaria

Se certamente il sesto canto di ogni cantica sviluppa il tema politico (secondo una progressione che va da Ciacco nell'Inferno a Giustiniano nel Paradiso) nel Purgatorio c'è spazio anche per chiarire una questione dottrinaria: quando Virgilio, emblema della Ragione, spiega il significato di una sua affermazione nel sesto libro dell'Eneide (quando a Palinuro viene rifiutato un passaggio sull'altra riva dell'Acheronte, perché ai vivi non è concesso spezzare le leggi divine), sul tavolo c'è anche un'importante questione di fede. Dante infatti non vuole solo "correggere" una possibile contraddizione tra il suo testo e quello del maestro (secondo il tipico atteggiamento medievale di reinterpretare i testi classici secondo le proprie convinzioni di fede), ma anche chiarire che la legge del Dio cristiano è sensibile alle preghiere sincere dei fedeli per i loro morti. Il punto è allora quello - capitale per tutta le teologia cristiana non solo medievale - del rapporto tra la predestinazione e la Grazia di Dio, su cui Dante tornerà anche più avanti (e soprattutto nel Paradiso, sotto la guida di Beatrice, simbolo della Teologia che deve "illuminare" la Ragione) nel suo poema. L'efficacia delle azioni e dei voti umani per ottenere la salvezza eterna è assai importante, nei primi anni del Trecento, anche perché tra XIII e XIV secolo s'erano diffusi in Europa alcuni movimenti ereticali (su tutti, quello dei catari) che predicavano appunto l'inutilità dei suffragi.

La politica

Il tema sviluppato in questo canto è, come nei sesti canti delle tre cantiche, il tema politico, che si concretizza, a partire dal verso 76 ("Ahi serva Italia") in un’invettiva contro la situazione degenerata dell’Italia. La causa è rinvenuta essenzialmente nella mancanza di una guida imperiale che sia in grado di assumersi la responsabilità e di riportarla all’antico splendore; nell'immaginario di Dante, il mondo ideale concide ancora con il modello della società feudale, coronata dall'intesa armonica e provvidenziale tra il potere temporale dell'Impero e il potere spirituale della Chiesa. In tal senso, ogni forma di divisione oppure ogni spinta separatrice viene considerata come un elemento che turba e contraddice il disegno divino. La rabbia dantesca - evidentemente motivata anche da contingenze personali, come la dolorosa vicenda dell'esilio da Firenze - chiama in causa cinque interlocutori diversi:

  • L'Italia (vv. 76-90), che viene definita come una "donna di bordello", per denunciarne la bassezza morale e spirituale, e per mettere in luce le infinite lotte intestine che la dilaniano e che hanno vanificato anche la grande e mirabile operazione legislativa dell'imperatore Giustiniano e del suo Corpus Iuris Civilis.
  • La "gente" (vv. 91-96) della penisola, che, sia dall'ordine ecclesiastico sia da quello signorile, ha msotrato il più completo disinteresse per il buon governo e per la pace comune, con il risultato di rendere selvaggia e "fella" (v. 94, cioè "ribelle") l'Italia, paragonata ad un cavallo che non vuol essere domato.
  • L'imperatore Alberto I d'Austria (1248-1308) che, nonostante il titolo che porta, non è mai sceso in Italia (vv. 97-117), preferendo lasciarla in completo e totale abbandono,anzichéi prenderne le redini e riportarla sulla retta via. L’apostrofe all’Italia viene poi seguita da una a Firenze,in cui Dante denuncia la corruzione, l’inconsistenza e la falsa partecipazione civile e politica dei cittadini interessati solamente al proprio interesse e non più alla cosa comune.
  • Il quarto interlocutore (l'unico su cui non si riversa l'astio di Dante) è Dio stesso (vv. 118-126) cui si chiede, retoricamente, se questa situazione di degrado e corruzione (che sembra sovvertire tutte le regole del mondo, come detto ai vv. 124-126) non sia forse un passaggio doloroso e necessario per un futuro diverso.
  • Firenze (vv. 127-151) su cui si riversano le accuse più pesanti e sarcastiche al tempo stesso. Dopo l'elenco dei mali italiani, Dante afferma ironicamente che la città toscana non deve preoccuparsi, perché è piena di virtù civili, senso della rettitudine e della legge (tanto da stare davanti anche as Atene e Sparta), e perché i suoi cittadini accorrono in massa per ricevere cariche pubbliche (ovviamente, per la loro sete di potere e denaro). La conclusione tuttavia è amarissima: Firenze, se avesse un po' di lume di ragione, capirebbe che si comporta come il malato che non vuola affrontare la sua condizione

 

Stile e retorica

Il sesto canto del Purgatorio presenta un andamento, da un punto di vista stilistico e retorico, circolare: si apre con una similitudine (vv. 1-12), mentre a circà metà del canto ne troviamo una seconda (vv. 88-99); chiude un terzo paragone, più breve dei precedenti (vv.148-151).

L’apertura del canto è data appunto dalla similitudine tra la condizione del poeta e quella di un giocatore dopo una partita ai dadi, che descrive il momento in cui lo sconfitto viene lasciato in disparte da tutti mentre cerca di capire in quale modo avrebbe potuto vincere, mentre il vincitore è attorniato da persone che cercando di ottenere da lui parte della vincita. In modo analogo Dante è quasi sopraffatto dalle anime che gli chiedono preghiere e suffragi per poter vedere ridotto il proprio soggiorno di purificazione nel Purgatorio.

Nella parte centrale troviamo la metafora che avvicina la situazione tra un cavallo e il suo cavaliere e l'Italia e l'imperatore che dovrebbe riportare l'ordine. In questo momento infatti il cavallo è una bestia selvaggia, irrequieta e riottosa e necessita assolutamente di un cavaliere che sia in grado di domarla e di addomesticarla anche - se necessario - con gli speroni e la frusta.

Infine l’ultima immagine riguarda una vecchia malata (paragonata alla città natale di Dante, Firenze), che, nonostante sia distesa in un luogo confortevole come un materasso di piume, non riesce a trovare la posizione ottimale e continua a muoversi per cercare di allievare il dolore che sente. Dante usa l'immagine per indicare la costante scontentezza ed insoddisfazione dei fiorentini, che sul piano politico si traduce (oltre che nell'incapacità a guardare in faccia la realtà) in provvedimenti e leggi che servono solo a perseguire interessi personali o a colpire gli avversari politici, e non al bene della cittadinanza.

 

I personaggi

Sordello da Goito

Sordello fu un trovatore provenzale di origine italiana, nato a Goito, presso Mantova, da una famiglia della piccola nobiltà, attorno al 1200; iniziò a frequentare da giovane le corti signorili del Veneto ed è molto probabile una sua frequentazione della corte Malaspina. In seguito allo scandalo in cui sedusse, rapì ed in seguito abbandonò Cunizza da Romano, sorella di Ezzelino e di Alberico, moglie del conte di San Bonifacio, Sordello scappò dal Veneto per cercare salvezza in Provenza. Qui acquisì grande fama presso i nobili della regione, ricevendo onori e benefici prima da Raimondo Berengario V ed in seguito da Carlo I d'Angiò. Nel 1266 seguì il conte di Provenza nella sua discesa in Italia e qui gli furono donati alcuni feudi in Abruzzo, dove trovò la morte poco dopo.

Sordello nei suoi testi conserva le caratteristiche della lirica amorosa, ma presentando una ricercatezza formale di ottima qualità. Il trovatore mantovano riuscì però ad ottenere fama e gloria soprattutto grazie ai dibattiti con gli altri poeti di quel periodo, ai sirventesi politici, al planh in ricordo di Blacaz e all'Ensenhamen d'honor, tutte opere in cui l’autore si presenta come custode dei più alti ideali cavallereschi: proprio per queste caratteristiche Dante lo sceglie quale simbolo dell’amor patrio.