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Il XIV secolo e la “crisi del trecento”

L'autunno del Medioevo: introduzione al Trecento

Durante il quattordicesimo secolo è possibile osservare delle dinamiche di lungo corso nelle quali si lascia cogliere la crisi delle principali istituzioni medioevali. Per questo motivo il Trecento, al pari del Seicento e del Novecento, è oramai da tempo studiato e considerato come un “secolo di crisi”. Nel caso specifico, tale crisi rappresenta il superamento del Medioevo e l'inizio di quella transizione verso la piena modernità destinata a proseguire lungo il corso dell'Umanesimo quattrocentesco.

Prima di proseguire oltre, è opportuno soffermarsi su due possibili letture di tale fenomeno.
La prima è quella proposta nel 1919 dallo storico olandese Johan Huizinga in un fortunato testo storiografico che dà il titolo alla presente lezione: L'autunno del Medioevo. In esso, l'autore ravvisa una cesura molto profonda fra Medioevo e modernità, e centra questa cesura in una serie di cambiamenti intercorsi nel comune sentire:

L'uomo moderno non ha generalmente alcuna idea della sfrenata stravaganza e infiammabilità dell'animo medioevale […] mancavano nel Medioevo tutti quei sentimenti che hanno reso timido e oscillante il nostro concetto di giustizia: l'idea della semi-responsabilità, l'idea della fallibilità del giudice, la coscienza che la società è corresponsabile dei misfatti del singolo, la questione se non val meglio correggere il colpevole che farlo soffrire 1.

L'uomo medioevale, e con esso l'uomo trecentesco, sarebbe dunque un uomo ancora dominato da quel senso della giustizia che è possibile trovare espresso con mirabile chiarezza nella Commedia dantesca: l'uomo giusto non solo non prova compassione per il peccatore punìto, egli anzi si rallegra e gioisce innanzi allo spettacolo della giustizia divina che trionfa. Al di là di questo, è chiaro come per Huizinga l'uomo medioevale sia un uomo abituato a conoscere le cose senza amore per le sottigliezze e per le distinzioni: l'unico modo di conoscere il particolare consiste, per l'uomo medioevale, nel riportarlo all'universale, nell'inquadrarlo all'interno di un rigido schema gerarchico che trova in Dio il proprio vertice. Mancano le mezze misure, i chiaro-scuro, la passione per la complessità che saranno proprie dell'uomo moderno. Sotto questo punto di vista, la distinzione è netta, ed il quattordicesimo secolo risulta da ascriversi completamente all'Età di Mezzo, se pure in esso quest'ultima si mostra in fase di declino.

Circa settant'anni dopo Huizinga, Jacques Le Goff torna sul problema, ma con accenti diversi:

Un mondo nuovo sembra uscire dalla crisi del Trecento. Tuttavia, sotto una pelle nuova, la Cristianità, corpo e anima, stupisce sopratutto per le sue persistenze […] il Medioevo sembra inoltre in quest'epoca esasperarsi. L'autunno del Medioevo, tale quale l'ha visto Huizinga, è pieno di furore e di rumore, di sangue e lacrime 2.

Anche Le Goff sottolinea il legame intercorrente fra Trecento e Medioevo, ma proietta questa riflessione all'interno di una più vasta continuità di movimenti di lungo corso, per i quali, se il Trecento appartiene al Medioevo, è anche vero che esso racchiude in sé dinamiche e sviluppi destinati a dar frutto nel pieno Cinquecento. Per un verso, pertanto, il Medioevo trecentesco appare come “esasperato”, ossia ancora più crudele, appassionato e dominato da passioni e partigianerie più forti che mai, soprattutto in Italia ove alla cronica debolezza del potere imperiale si aggiunge la latitanza dalla Penisola del Papato, sottomesso al potere del Re di Francia nel chiuso della corte avignonese. Per un altro verso, proprio a partire dall'Italia, anche per questo nel Trecento giungono a maturazione fenomeni ampiamente osservabili già nel Duecento: comuni, signorie, principati prosperano più che mai, mentre in Europa le conseguenze sulla lunga distanza della battaglia di Bouvines (1214) si dipanano lungo un corso di eventi che dallo scontro fra Filippo IV il Bello e Bonifacio VIII (1302-1303) deflagra nella Guerra dei Cent'Anni (1337-1453) e descrive l'arco di nascita delle monarchie nazionali.

Ma le ragioni per riannodare il Trecento sia all'età medioevale che a quella moderna non si limitano all'ambito politico. Questo, ad esempio, è anche il caso dell'arte figurativa. La rivoluzione pittorica che parte da Giotto è destinata a trovar compimento in Masaccio, in Botticelli, in Leonardo e nel pieno Rinascimento di Michelangelo e Raffaello. Lo stesso discorso vale per l'architettura, giacché in Francia lo stile gotico dapprima evolve in gotico fiammeggiante e poi il anticipa il Barocco italiano del Seicento.

Ancora, è possibile osservare qualcosa di analogo perfino nel caso della devozione religiosa. Le eresie trecentesche non si limitano più a prendere di mira i mali della Chiesa (corruzione, simonia, nicolaismo) ma si spingono a mettere in discussione aspetti strutturali (la gerarchia, il rapporto fra sovranità del Pontefice e Conciliarismo) e dogmatici (i sacramenti) dell'istituzione ecclesiastica. Tutto questo si traduce in una vivissima esigenza riformatrice, destinata però a rimanere inascoltata fino a Lutero ed al Concilio di Trento, ossia, ancora una volta, fino alla piena modernità.

Dopo avere brevemente discusso alcuni aspetti riguardanti il duplice rapporto intercorrente fra Trecento e Medioevo da una parte, e Trecento e modernità dall'altra, concludiamo la presente lezione introduttiva con un’immagine, l'affresco Il trionfo della Morte conservato a Palermo, presso Palazzo Abatellis.

Si tratta di un'opera realizzata attorno al 1445, uno dei migliori esempi di quel peculiarissimo genere artistico rappresentato dai “trionfi della Morte” e dalle “danze macabre”. Le rappresentazioni della morte divengono sempre più presenti in Europa nel corso della seconda metà del Trecento, mentre sempre più terribili ondate di peste si abbattono sulle terrorizzate popolazioni europee a partire dal 1348 3. Esiste, infatti, un terzo aspetto per il quale si può parlare di Crisi del Trecento, dopo quello relativo alla crisi della Chiesa ed alla crisi dell'Impero, ed è proprio quello di una generale crisi economica e sociale imperniata sul ritorno della peste in Europa. La morte, grande protagonista dell'affresco, trafigge con i suoi colpi uomini e donne di tutte le estrazioni sociali, poveri e ricchi, laici e consacrati, giovani e vecchi. Questo tema presenta finalità penitenziali - il memento mori del quale il clero si serve per rafforzare nei fedeli, mediante la cruda rappresentazione della morte, la determinazione a farsi trovare degni di fronte all'imminente giudizio divino - velleità riformiste e di critica sociale - la morte è la grande livellatrice di fronte alla quale né il Papa né l'Imperatore né i potenti possono nulla - ed un semplice e disperato lamento sulla caducità della condizione umana, privata della rassicurante presenza di Dio, al cui posto sta assisa in trono la morte.

Ancora una volta: ripresa e sviluppi di suggestioni medioevali da una parte, anticipazione e prima comparsa di spunti moderni dall'altra.

1 J. Huizinga, L'autunno del Medioevo, a cura di B. Jasink, Milano, BUR, 1998, pp. 19-27.

2 J. Le Goff, La civiltà dell'Occidente medioevale, a cura di A. Menitoni, Torino, Einaudi, 1999, pp. 385-386.

3 Celebre, ad esempio, quella ricordata nel Decameron di Boccaccio come causa principale della fuga della “allegra brigata” dalla città per trovare salute e rifugio in campagna.