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L’Umanesimo in letteratura: riassunto

Caratteri generali dell’Umanesimo

 

Con il termine “Umanesimo” si definisce un movimento culturale sviluppatosi dalla fine del ‘300 fino a poco oltre la metà del ‘400. Si tratta di un’esperienza culturale in primo luogo italiana, che ha il suo centro di massima fioritura a Firenze, già punto di riferimento della vita letteraria della penisola dalla fine ‘200. Anche altri centri italiani, come Milano, Venezia, Roma e Napoli, hanno un ruolo determinante per lo sviluppo di nuovi ideali intellettuali e filosofici, che a loro volta stimolano un’attività culturale e letteraria del tutto rinnovata. L’Umanesimo, oltre che essere una premessa determinante per il Rinascimento, diviene un modello per tutta l’Europa, con esiti notevoli soprattutto in Inghilterra, Francia e Spagna.

Proprio la voce “umanesimo” suggerisce alcuni fattori chiave della visione degli intellettuali quattrocenteschi, rispetto alla quale appare centrale una rinnovata fiducia nelle capacità e nelle possibilità dell’uomo. In netto contrasto con la cultura medievale, dominata da una prospettiva verticale, per cui l’uomo guarda fuori e sopra di sé alla ricerca del divino (screditando quindi l’esperienza terrena), l’erudito rinascimentale crede nella capacità umana di autodeterminarsi ed essere artefice della propria sorte. L’uomo cioè ha la possibilità e il dovere intelelttuale di comprendere il mondo che lo circonda e di modificarlo secondo i propri fini: da questa tensione alla conoscenza, che distingue la natura umana rispetto a quella animale, rinascono gli studia humanitatis, che traggono un’essenziale linfa vitale dalla riscoperta dei classici latini e greci. Questa riscoperta va intesa in primo luogo in senso letterale, come ampliamento del numero di autori e testi disponibili per lo studio. Gli eruditi e gli appassionati si dedicano alla ricerca di opere dimenticate nelle biblioteche monastiche di tutta Europa, a lungo trascurate. Inoltre, dopo la caduta dell’Impero Romano d’Oriente (1453), molti intellettuali bizantini si trasferiscono in Occidente, portando con sé preziosi volumi e soprattutto una competenza viva della lingua greca, quasi perduta nelle zone occidentali durante il Medioevo.

Secondariamente, muta l’approccio nello studio delle opere autorevoli: lette con rispetto, ma anche con spirito critico, esse divengono ora oggetto di uno studio attento, in particolare alla ricerca della forma originale del testo, al di là delle modificazioni che esso poteva aver subito nel corso del tempo. Sono dunque poste le basi per la nascita della filologia moderna. I classici diventano con l’Umanesimo modelli sia per i loro contenuti (e dunque per gli insegnamenti filosofici, morali e scientifici che offrono) sia per lo stile e la forma con cui sono proposti: ne derivano un nuovo gusto estetico e nuove modalità di espressione letteraria - anche a livello di tematiche e generi - che si ispirano ad un ideale classicista.

L’importanza dei modelli antichi, e di quelli latini in particolare, dà origine a due argomenti di riflessione e di polemica destinati ad avere grande vitalità ed importanza anche oltre il Quattrocento e il Cinquecento. In primo luogo è lecito domandarsi fino a che punto debba spingersi l’imitazione dei maestri: a differenza della visione medievale, in ambito umanistico comincia lentamente a definirsi il problema dell’originalità e dell’autorialità dei testi. Secondariamente, all’autorevolezza delle opere classiche si accompagna in un primo momento l’assoluto dominio del latino: le opere letterarie, ma soprattutto quelle scientifiche e filosofiche sono redatte nella lingua antica, riscoperta nella sua purezza grammaticale dopo l’“imbarbarimento” del latino medievale, mentre le lingue volgari, che tanta parte avevano avuto nella letteratura due-trecentesca 1, conoscono una grave battuta d’arresto. Solo dopo la metà del secolo intellettuali come Leon Battista Alberti cominciano ad interrogarsi sulla dignità della “lingua materna” anche per questioni tecniche e di elevato profilo intellettuale, riportando gradualmente ad una situazione di equilibrio nell’uso dei diversi idiomi e, in ultima analisi, alla vittoria delle lingue romanze sul latino. Sono i prodromi della secolare “questione della lingua”, che nel Cinquecento avrà il suo massimo sviluppo 2. Cambia d’altronde anche l’approccio materiale ai testi. Essi sono sempre meno concepiti come un prezioso possesso materiale da proteggere e nascondere, quanto piuttosto come uno strumento vivo, di cui si possa fruire per approfondire il proprio sapere e diffonderlo presso gli altri. Da una parte ciò comporta una radicale riorganizzazione delle biblioteche, pensate per accogliere lettori e studiosi, e non solo per custodire oggetti preziosi. Un riferimento essenziale in tal senso è Francesco Petrarca, che già in pieno Trecento aveva ipotizzato la possibilità di costituire, attraverso un lascito testamentario, il primo nucleo di una biblioteca comune e cittadina. D’altro canto, gli eruditi amano anche forme più dirette di condivisione del sapere e si scambiano con generosità copie di testi trovati in luoghi remoti, ma anche opere proprie o revisioni critiche e filologiche dei classici appena realizzate. Questo clima di apertura è uno degli elementi più caratteristici dell’Umanesimo ed anzi contribuisce allo sviluppo e alla diffusione dei nuovi ideali e delle nuove metodologie al di là dei singoli ambienti cittadini. A tal proposito, un elemento determinante è anche l’invenzione della stampa ad opera di Johannes Gutenberg (1394-1399ca. - 1468), di cui si ricorda soprattutto la Bibbia stampata per la prima volta a Magonza nel 1455 (la celebre Bibbia a 42 linee).

Nel corso del tempo, la maggiore reperibilità dei testi e il loro costo più accessibile favoriscono un accrescimento del numero di lettori, anche se senza dubbio l’analfabetismo rimane un problema diffuso presso la stragrande maggioranza della popolazione europea. Essi possono essere schematicamente distinti in tre gruppi: eruditi, che fruiscono dei testi in termini culturalmente approfonditi, cortigiani, che godono del piacere della letteratura e della cultura di cui riconoscono anche il prestigio sociale, lettori comuni, che cominciano ad avere accesso alle opere più semplici sia per piacere sia per acquisire un’educazione di base. Biblioteche e tipografie, i luoghi cioè in cui l’erudito umanista opera in modo più diretto, cercando, studiando o scrivendo testi poi preparati per l’edizione, costituiscono anche due dei principali ambiti di ritrovo per gli intellettuali. La vita culturale trova poi occasione di sviluppo nelle corti, grazie al mecenatismo dei signori, motivati sia dalla curiosità personale per la letteratura e le scienze, sia dal desiderio di accrescere il proprio prestigio grazie alla presenza di uomini colti nel loro entourage. Altro ambiente in cui gli uomini di cultura si incontrano, confrontano e stimolano a vicenda sono le Accademie, dapprima gruppi di lavoro nati spontaneamente dalla condivisione di ideali e principi, oltre che del desiderio di approfondire questioni attuali, per intavolare discussioni libere spesso legate all’attualità e all’occasione. Queste associazioni divengono poi sempre più regolamentate e rigide sia per quanto riguarda l’accettazione di nuovi membri sia nel calendario delle loro attività. Questi cosiddetti “cenacoli” traggono ispirazione dall’antica Accademia platonica, come dimostra il nome della più celebre associazione del tempo, la fiorentina Accademia Neoplatonica, fondata da Marsilio Ficino nel 1462 e rimasta in attività fino al 1523. Essa ebbe uno straordinario prestigio annoverando tra i suoi membri Lorenzo de’ Medici, Pico della Mirandola e persino Niccolò Machiavelli.

Le discipline e gli ambiti in cui si sviluppa il sapere umanistico sono molto numerosi, poiché riflettono l’ottimismo del tempo rispetto alle possibilità e alle capicità dell’uomo, ma anche l’entusiasmo degli intellettuali verso una fase che avvertono come una rinascita dopo i “secoli bui” del Medioevo, che acquista questa sfumatura dispregiativa proprio col rinnovamento dei saperi e della cultura del primo Quattrocento. Una costante in questi ambiti molteplici è la visione di fondo ideale: anzi, l’Umanesimo si può proprio definire come l’identificazione di un alto ideale culturale comune, da cui partire per sperimentazioni molteplici e spesso un po’ disorganiche, che solo in una fase successiva troveranno un’applicazione più ordinata e rigorosa.

Grande interesse è rivolto verso l’ambito civile, compreso quello pedagogico, in virtù della centralità attribuita alle attività umane, ma anche la morale e la spiritualità sono oggetto di costante riflessione, nel tentativo di creare una sintesi tra la nuova concezione dell’uomo al centro del mondo e la perdurante fede nel divino. Anche il Quattrocento, infatti, è un secolo di ortodossia cristiana, con cui si scontra tuttavia in parte la diffusa passione per la magia e l’esoterismo. Diffusissimo è poi lo studio della filosofia, soprattutto nel segno della riscoperta del platonismo, dopo secoli di preferenza per Aristotele. Nuovo impulso giunge anche alle arti figurative ed in particolare all’architettura, che unisce l’amore per il Bello alla ricerca del funzionale a livello tecnico. Infatti, anche le discipline tecniche in quanto espressione dell’uomo cominciano ad essere rivalutate, dopo che per secoli erano state ritenute secondarie. Straordinaria è poi la rinascita delle scienze, che condividono con gli studi filosofici la presunzione di poter conoscere a fondo il mondo e l’universo. L’Umanesimo è in effetti l’età delle cosiddette scienze esatte, che mirano cioè a risultati oggettivi e confutabili, basati su esperimenti pratici. La figura più rappresentativa di tali interessi è probabilmente Leonardo Da Vinci, la cui attività tocca i più svariati campi dello scibile, dalla pittura all’architettura, dall’anatomia alla fisica.

Anche in letteratura, infine, l’attenzione si sposta sulla persona, di cui sono indagate le capacità, le inclinazioni e le motivazioni. In tal senso precursore essenziale dell’Umanesimo era stato Giovanni Boccaccio con il suo Decameron, in cui l’ingegno e le capacità pratiche dell’uomo, anche in contrasto con la Fortuna, sono guardati con grande simpatia ed interesse. D’altro canto, l’espressione letteraria e le tematiche che le sono proprie sono a loro volta influenzata dall’accrescimento dei campi di studio: accanto alla poesia e alla narrativa, acquisisce sempre più spazio la stesura di trattati, dedicati all’approfondimento in tutti quei campi cui si era rivolta l’indagine erudita. Particolare interesse rivestono gli studi storiografici, sollecitati da una parte da una diversa applicazione del medesimo desiderio di comprendere l’uomo e il mondo che lo circonda che caratterizza le discipline scientifiche, dall’altra dall’esempio di autori classici di recente riscoperti, come Erodoto (484-425 a.C.) e Tucidide (460-395 a.C.), o la cui opera era conosciuta nel Medioevo soltanto in proporzioni molto limitate, come Livio. Si pongono così le basi per una vera e propria storiografia.

Nel complesso, sono numerossismi i generi della letteratura umanistica, comprese forme di narrativa giocosa e divertente, come i primi poemi epico-cavallereschi, tra i quali spiccano per importanza e particolarità l’Orlando innamorato di Matteo Maria Boiardo e il parodico Morgante di Luigi Pulci.

 

Gli autori principali dell’Umanesimo

 

Il pieno Umanesimo è anticipato dal lavoro di alcuni autori e pensatori del Trecento, che hanno posto le premesse della svolta con il loro impegno intellettuale, l’interesse critico e già filologico per i classici, la concezione più ampia del sapere, la visione moderna dell’uomo da una parte e della sua espressione letteraria dall’altra.

Tra gli autori più rilevanti del periodo tra Umanesimo e Rinascimento vanno senza dubbio annoverati i numerosi eruditi che si impegnano nella ricerca filologica, nello scavo dei fondi librari e nella rinascita delle lettere latine, come Coluccio Salutati (1331-1406), Leonardo Bruni (1370ca. - 1444), Poggio Bracciolini (1380-1459), Lorenzo Valla (1407-1457). Tra gli autori cronologicamente successivi (ma che pure condividono l’ispirazione umanistica) sono da ricordare Leon Battista Alberti (1404-1472), Marsilio Ficino (1433-1499), Pico della Mirandola (1463-1494), Luigi Pulci (1432-1484) e soprattutto, in quanto particolarmente rappresentativi del clima letterario dell’epoca, Angelo Poliziano (1454-1494) e Lorenzo de’ Medici, detto il Magnifico (1449-1492) il quale fu anche un generoso ed accorto mecenate, cui non a caso si deve una spinta essenziale allo sviluppo e alla diffusione della cultura umanistica.

Marsilio Ficino, eruditissimo e illustre filosofo, interessato anche alla magia e al sovrannaturale, è uno dei massimi rappresentati della cultura del suo tempo. Testimonianza del suo spiccato interesse per il Neoplatonismo 3 e la filosofia antica è il Libro dell’amore, che in un’ottica sincretica che non esclude il misticismo cristiano (per il quale sono centrali i padri della Chiesa, in primo luogo Sant’Agostino), ed include per certi aspetti anche l’interesse per l’occulto (Ficino fu infatti traduttore anche del Corpus Hermeticum attribuito a Ermete Trismegisto). Leon Battista Alberti è invece architetto, ma nella sua produzione si possono trovare anche testi di natura differente, come apologhi e dialoghi in cui si presentano tematiche morali e di riflessione sull’incidenza della fortuna nella vita 4. Il suo testo più celebre sono i quattro tomi Della famiglia, un dialogo inventato tra i membri della famiglia Alberti, che verte sull’importanza della famiglia, scoglio solido a cui aggrapparsi per far fronte al turbinio della politica e della sorte e, al tempo stesso, cellula fondamentale dell’ordinamento sociale.

Di Angelo Poliziano il testo più rappresentativo è l’incompiuto poema delle Stanze per la giostra, che, nel suo intento encomiastico, prende spunto da una vittoria in torneo di Giuliano de’ Medici per sviluppare una narrazione di carattere in parte amoroso e in parte militare, in cui la componente mitologica greca è senza dubbio centrale, a fianco della ricca erudizione (come già nelle Rime). Lorenzo de’ Medici, lucido politico e signore di Firenze, è anche letterato e poeta, ad esempio del poemetto idillico della Nencia da Barberino o della “carnascialesca” Canzona di Bacco.

1 Basti pensare a due capolavori quali la Commedia dantesca o il Decameron di Boccaccio, oltre ai Rerum vulgarium fragmenta, che pure Petrarca considera come opera “minore” rispetto alla sua produzione in latino.

2 Per sottolineare l’importanza nazionale della “questione della lingua”, basti ricordare che, dopo le Prose della volgar lingua di Pietro Bembo, l’argomento verrà ripreso a metà Ottocento da Alessandro Manzoni sia con l’edizione del 1840 dei Promessi sposi che con il saggio Dell’unità della lingua e dei mezzi per diffonderla.

3 Ficino è studioso e traduttore delle opere di Platone, Plotino e di altri neoplatonici, contribuendo alla diffusione di testi che fino a quel momento potevano essere padroneggiati solamente da eruditi e studiosi di greco antico.

4 Interessante inoltre che Leon Battista Alberti scelga il volgare per le sue opere principali e sia altresì autore della prima grammatica del volgare, la Grammatichetta vaticana.