Introduzione
Il Decameron, l’opera più celebre di Giovanni Boccaccio, viene composto tra il 1349 e il 1353, anche se probabilmente la composizione e la circolazione autonoma di alcune novelle - soprattutto quelle delle prime tre giornate - possono essere antecedenti. Il Decameron racconta la vicenda di dieci giovani che, per sfuggire alla peste del 1348, si ritirano in una villa di campagna, dove trascorrono dieci giornate narrandosi vicendevolmente delle novelle per ingannare piacevolmente il tempo 1.
Struttura dell’opera
Il nome di “Decameron” ha origine greca, come quello di molte opere giovanili di Boccaccio, provenendo da déka, “dieci” ed hēméra, “giorno” e modellandosi, con finalità parodica, sul titolo di un’opera di Sant’Ambrogio (340ca. - 397), l’Hexameron, che racconta i sei giorni della creazione della Terra da parte di Dio.
L’opera di Boccaccio è composta da una cornice narrativa, in cui l’autore racconta le vicende della “brigata” in fuga da Firenze e poi nel locus amoenus della villa campagnola, e da cento novelle suddivise in dieci giornate. Boccaccio, mettendo questa volta da parte il motivo autobiografico che ispira e anima tante altre sue opere (come nel Filocolo o nel Filostrato), si dedica a un'opera che ha come fine quello di intrattenere le "vaghe donne", ovvero le lettrici alto-borghesi, che diventano le destinatarie privilegiate del testo, come Boccaccio stesso specifica nel Proemio al Decameron. La finalità dello svago è del resto la stessa anche per i giovani della brigata, composta da sette donne e tre uomini, che, per far fronte all’emergenza sanitaria e morale della peste, che ha sconvolto i costumi cittadini, vuole restaurare una nuova misura di equilibrio e comportamento.
La sfida alla morale dell’epoca (i giovani, maschi e femmine, convivono sotto lo stesso tetto giorno e notte) si traduce così nell’attività della narrazione, che mette in scena i valori fondamentali della visione del mondo dell’autore: la Fortuna e il caso, la Natura e l’amore, l’ingegno umano e l’abilità con la parola.
Temi, lingua e stile
Ogni giorno, i giovani eleggono un re o una regina che ha il compito di scegliere l’argomento privilegiato su cui raccontare novelle; centrale sarà il tema erotico-amoroso, cui si aggiunge quello dell’avventura e della capacità di alcuni personaggi di cogliere le circostanze più favorevoli dell’esistenza, quello del “motto” e della “beffa” (in novelle come quella di Guido Cavalcanti o di Calandrino) che esaltano l’intelligenza (o deridono la stupidità) del singolo, e quello della rappresentazione della società contemporanea. La Fortuna è considerata qui in un’ottica laica ed immanente, ed è l’elemento fondamentale dello scorrere della vita dell’uomo, che dev’essere sempre pronto a reagire agli imprevisti del caso. A fianco della Fortuna, sta la Natura, cioè l’amore, rappresentato come pulsione naturale e spontanea dell’uomo e della donna, e contro cui è inutile tentare di opporsi. In tal senso, nell’amore boccacciano non c’è nulla di lussurioso od osceno (nonostante le molte censure che hanno colpito il Decameron nel corso dei secoli), perché esso è per l’autore una forza che eleva e nobilita l’animo umano, e ne smuove l’ingegno promettendogli il più lieto degli appagamenti. Il mondo del Decameron di Boccaccio, che è figlio illegittimo di un mercante certaldese, è così quello di due grandi caste sociali: da un lato, la nuova classe mercantile in ascesa, portatrice di un sistema di valori laico e terreno, dall’altro il mondo cortese dell’aristocrazia, contemplato spesso malinconicamente come punto di riferimento di doti sociali ed intellettuali. L’utopia dell’autore è forse quella della fusione tra borghesia e nobiltà, in un tentativo di reagire al clima di distruzione e sventura della peste dilagante a Firenze e in tutta Italia.
Il successo del Decameron ne ha anche consacrato la lingua e lo stile, tanto che Pietro Bembo nelle sue Prose della volgar lingua (1525) indicherà nella cornice dell’opera un modello di stile in prosa. Lo stile di Boccaccio oscilla tra una prosa fiorentina alta e colta, sintatticamente elaborata e ricca di latinismi (come si può vedere nel Proemio), e una lingua più viva e realistica, che caratterizza invece le novelle, in cui è possibile rintracciare alcune sfumature regionali ma soprattutto i termini tecnici di alcune professioni (come quella mercantile) o di origine popolare (frequenti soprattutto quando è in atto una "beffa" ai danni di qualcuno), e abbondanza di eufemismi e doppi sensi per alludere alla sfera sessuale.
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1 Le giornate di fatto passate in campagna sono quattordici, perché comprendono il venerdì di preghiera e la domenica in cui le donne si lavano e curano.