Introduzione
Nell’undicesimo canto del Purgatorio, i due protagonisti sono entrati nel Purgatorio in senso stretto, e cominciano quindi a incontrare la schiera delle anime penitenti. Dopo aver ascoltato il Pater noster recitato dai superbi, Dante presenta tre figure di peccatori che, in un modo o nell’altro, gli ricordano la sua passata colpa di presunzione; si tratta di Omberto Aldobrandeschi, Oderisi da Gubbio e Provenzano Salvani.
Parafrasi
- "O Padre nostro 1, che ne’ cieli stai,
- non circunscritto, ma per più amore
- ch’ai primi effetti 2 di là sù tu hai,
- laudato sia ’l tuo nome e ’l tuo valore
- da ogne creatura, com’è degno
- di render grazie al tuo dolce vapore 3.
- Vegna ver’ noi la pace del tuo regno,
- ché noi ad essa non potem da noi,
- s’ella non vien, con tutto nostro 4 ingegno.
- Come del suo voler li angeli tuoi
- fan sacrificio a te, cantando osanna 5,
- così facciano li uomini 6de’ suoi.
- Dà oggi a noi la cotidiana manna 7,
- sanza la qual per questo aspro diserto 8
- a retro va chi più di gir s’affanna.
- E come noi lo mal ch’avem sofferto
- perdoniamo a ciascuno, e tu perdona
- benigno, e non guardar lo nostro merto 9.
- Nostra virtù che di legger s’adona,
- non spermentar con l’antico avversaro,
- ma libera da lui che sì la sprona.
- Quest’ultima preghiera 10, segnor caro,
- già non si fa per noi, ché non bisogna,
- ma per color che dietro a noi restaro".
- Così a sé e noi buona ramogna 11
- quell’ombre orando, andavan sotto ’l pondo,
- simile a quel che talvolta si sogna 12,
- disparmente angosciate tutte a tondo
- e lasse su per la prima cornice,
- purgando la caligine 13 del mondo 14.
- Se di là sempre ben per noi si dice,
- di qua che dire e far 15 per lor si puote
- da quei c’ hanno al voler buona radice?
- Ben si de’ loro atar lavar le note
- che portar quinci, sì che, mondi e lievi,
- possano uscire a le stellate ruote 16.
- "Deh, se giustizia e pietà vi disgrievi 17
- tosto, sì che possiate muover l’ala,
- che secondo il disio vostro vi lievi 18,
- mostrate da qual mano inver’ la scala
- si va più corto; e se c’è più d’un varco,
- quel ne ’nsegnate che men erto cala;
- ché questi che vien meco, per lo ’ncarco
- de la carne d’Adamo 19 onde si veste,
- al montar sù, contra sua voglia, è parco".
- Le lor parole, che rendero a queste
- che dette avea colui cu’ io seguiva,
- non fur da cui venisser manifeste 20;
- ma fu detto: "A man destra per la riva
- con noi venite, e troverete il passo
- possibile a salir persona viva.
- E s’io non fossi impedito dal sasso
- che la cervice mia superba 21doma,
- onde portar convienmi il viso basso,
- cotesti, ch’ancor vive e non si noma,
- guardere’ io, per veder s’i’ ’l conosco,
- e per farlo pietoso a questa soma 22.
- Io fui latino 23 e nato d’un gran Tosco:
- Guiglielmo Aldobrandesco fu mio padre;
- non so se ’l nome suo già mai fu vosco.
- L’antico sangue e l’opere leggiadre
- d’i miei maggior mi fer sì arrogante,
- che, non pensando a la comune madre 24,
- ogn’uomo ebbi in despetto tanto avante,
- ch’io ne mori’, come i Sanesi sanno,
- e sallo in Campagnatico ogne fante 25.
- Io sono Omberto; e non pur a me danno
- superbia fa, ché tutti miei consorti 26
- ha ella tratti seco nel malanno 27.
- E qui convien ch’io questo peso porti
- per lei, tanto che a Dio si sodisfaccia 28,
- poi ch’io nol fe’ tra ’ vivi, qui tra ’ morti".
- Ascoltando chinai in giù la faccia 29;
- e un di lor, non questi che parlava,
- si torse sotto il peso che li ’mpaccia,
- e videmi e conobbemi e chiamava,
- tenendo li occhi con fatica fisi
- a me che tutto chin con loro andava 30.
- "Oh!", diss’io lui, "non se’ tu Oderisi 31,
- l’onor d’Agobbio e l’onor di quell’arte
- ch’alluminar 32 chiamata è in Parisi?” 33.
- "Frate", diss’elli, "più ridon 34 le carte
- che pennelleggia 35 Franco Bolognese 36;
- l’onore è tutto or suo, e mio in parte.
- Ben non sare’ io stato sì cortese 37
- mentre ch’io vissi, per lo gran disio
- de l’eccellenza ove mio core intese.
- Di tal superbia 38 qui si paga il fio;
- e ancor non sarei qui 39, se non fosse
- che, possendo peccar, mi volsi a Dio.
- Oh vana gloria de l'umane posse! 40
- com' poco verde in su la cima dura 41,
- se non è giunta da l'etati grosse! 42
- Credette Cimabue 43 ne la pittura
- tener lo campo, e ora ha Giotto il grido,
- sì che la fama di colui è scura.
- Così ha tolto l’uno a l’altro Guido
- la gloria de la lingua; e forse è nato
- chi l’uno e l’altro caccerà del nido 44.
- Non è il mondan romore altro ch’un fiato
- di vento, ch’or vien quinci e or vien quindi,
- e muta nome perché muta lato 45.
- Che voce avrai tu più, se vecchia scindi
- da te la carne, che se fossi morto
- anzi che tu lasciassi il ’pappo’ e ’l ’dindi’ 46,
- pria che passin mill’anni? ch’è più corto
- spazio a l’etterno, ch’un muover di ciglia
- al cerchio che più tardi in cielo è torto 47.
- Colui 48 che del cammin sì poco piglia
- dinanzi a me, Toscana sonò tutta;
- e ora a pena in Siena sen pispiglia,
- ond’era sire quando fu distrutta
- la rabbia fiorentina, che superba
- fu a quel tempo sì com’ora è putta.
- La vostra nominanza è color d’erba 49,
- che viene e va, e quei la discolora
- per cui ella esce de la terra acerba".
- E io a lui: "Tuo vero dir m’incora 50
- bona umiltà, e gran tumor 51 m’appiani;
- ma chi è 52 quei di cui tu parlavi ora?".
- "Quelli è", rispuose, "Provenzan Salvani;
- ed è qui perché fu presuntüoso
- a recar Siena tutta a le sue mani 53.
- Ito è così e va, sanza riposo,
- poi che morì; cotal moneta rende
- a sodisfar chi è di là troppo oso".
- E io: "Se quello spirito ch’attende,
- pria che si penta, l’orlo de la vita 54,
- qua giù dimora e qua sù non ascende,
- se buona orazïon lui non aita,
- prima che passi tempo quanto visse,
- come fu la venuta lui largita?".
- "Quando vivea più glorïoso", disse,
- "liberamente nel Campo di Siena 55,
- ogne vergogna diposta, s’affisse;
- e lì, per trar l’amico suo 56 di pena,
- ch’e’ sostenea ne la prigion di Carlo,
- si condusse a tremar per ogne vena.
- Più non dirò, e scuro so che parlo;
- ma poco tempo andrà, che ’ tuoi vicini
- faranno sì che tu potrai chiosarlo 57.
- Quest’opera li tolse quei confini 58".
- “O Padre nostro che sei nei cieli,
- non circoscritto e costretto in essi, ma per l’amore
- che più forte tu senti per ciò che prima hai creato,
- il tuo nome e la tua potenza siano lodati da ogni
- creatura, in base a quanto ciascuna sia degna
- di rendere grazie al tuo dolce Spirito Santo.
- Giunga per noi la pace del tuo regno, perché,
- con tutto il nostro ingegno, non possiamo arrivare
- da soli fino a essa, se ella non scende su di noi.
- Come i tuoi angeli sacrificano in tuo nome la loro
- volontà individuale, cantando “osanna”,
- così facciano gli uomini con la loro.
- Dacci oggi il pane quotidiano, senza il quale
- in quell’aspro deserto che è il mondo terreno
- va all’indietro chi più si affanna per andare avanti.
- E come noi perdoniamo, a tutti, i mali
- che abbiamo sofferto, tu sii benigno e perdonali a noi,
- e nel farlo non soffermarti sul nostro merito.
- Non mettere alla prova, facendola scontrare
- con il diavolo, la nostra virtù che si abbatte facilmente,
- ma liberaci da lui che la spinge in una direzione tanto pericolosa.
- Quest’ultima preghiera, signore amato,
- non la avanziamo per noi, che non ne abbiamo più bisogno,
- ma per coloro che restarono nel mondo alle nostre spalle”.
- Così quelle ombre, pregando per la buona sorte,
- nostra e loro, camminavano piegate sotto un peso,
- come ogni tanto in sogno si prova un senso di oppressione,
- tutte intorno alla circonferenza del monte, lungo la prima cornice,
- tormentate in misura diversa e stanche,
- depurandosi dalla nebbia del peccato accumulata nel mondo.
- Se di là nel Purgatorio si prega sempre per noi, di qua
- sulla terra che si può fare e cosa si può pregare
- da parte di coloro la cui volontà ha fondamento nella grazia?
- Senza dubbio li si deve aiutare a lavare le macchie del peccato
- che morendo si sono portati di qui, cosicché, pulite e leggere,
- quelle anime possano salire verso i cieli.
- “Possano dunque la giustizia e la pietà liberarvi
- presto, cosicché possiate muover come in volo,
- sollevandovi secondo il vostro desiderio,
- mostrateci da che parte si giunge più rapidamente
- alla salita; e se vi è più di un passaggio,
- indicateci quello che scende meno ripido;
- poiché costui che viene con me, per il peso
- della carne che fu di Adamo, di cui è rivestito,
- nel salire, contro ogni suo desiderio, è lento”.
- Non fu manifesto da chi vennero le parole
- che risposero a quelle che aveva detto
- colui che io seguivo;
- tuttavia venne detto questo: “venite con noi verso destra
- lungo la parete, e troverete un passaggio
- attraverso cui è possibile che salga una persona viva.
- E se io non fossi impedito dalla pietra che
- fa piegare in atto umile la mia testa superba,
- per cui è necessario che io cammini con il viso abbassato,
- guarderei in viso costui, che è ancora vivo e non dice
- il suo nome, per vedere se lo conosco,
- e per indurgli pietà per questo peso che devo portare.
- Io fui italiano e figlio di un nobile Toscano:
- mio padre fu Guglielmo Aldobrandesco;
- non so se il suo nome già vi fu noto.
- Il sangue antico e le opere virtuose e nobili
- dei miei antenati mi resero così arrogante,
- che, non pensando alla nostra madre comune,
- disprezzai oltremisura tutti gli uomini,
- al punto che ne morii, come sanno i Senesi,
- e lo sa ogni uomo nel Campagnatico.
- Io sono Omberto; e la superbia non è stata dannosa
- solo a me, poiché tutti i miei consanguinei
- ha portato con sé nella rovina.
- E a causa sua è necessario che qui io
- porti questo peso, finché Dio non sia soddisfatto, tra i morti,
- poiché non lo feci tra i vivi.
- Ascoltando abbassai il viso;
- e una di quelle anime, non quella che parlava,
- si girò a fatica sotto il peso impedisce i loro movimenti,
- e mi vide, mi riconobbe, e mi chiamò,
- tendendo gli occhi fissi su di me con fatica
- che procedevo insieme a loro, tutto abbassato.
- “Oh!”, gli dissi, “non sei tu Oderisi,
- che portò onore a Gubbio, la sua città, e a quell’arte
- che in francese è chiamata enluminer?”.
- “Fratello”, disse egli, “splendono di più i codici
- decorati da Franco Bolognese;
- la gloria è ora tutta sua e mia soltanto in parte.
- Certo non sarei stato così cortese nei suoi confronti
- mentre ero vivo, per il gran desiderio
- di eccellere verso cui era rivolto il mio cuore.
- Di questa superbia qui si subisce il castigo;
- e, ancora, non sarei qui, se non fosse accaduto che,
- quando ancora potevo peccare, mi rivolsi a Dio pentendomi.
- Oh vana gloria delle capacità umane!
- Come resta per poco tempo evidente e matura,
- se non è seguita da età di decadenza!
- Cimabue ha creduto di essere il migliore nella pittura,
- e ora è Giotto ad avere la celebrità,
- cosicché la fama dell’altro ne è oscurata.
- Così Guido Cavalcanti ha tolto a Guido Guinizzelli
- la gloria nell’ambito della poesia; e forse è già nato
- colui che entrambi supererà.
- La fama che vige nel mondo dei mortali non è altro che un alito
- di vento, che soffia ora da una parte e ora dall’altra,
- e cambia nome poiché cambia direzione.
- Quanto maggiore potrà essere la tua fama se morirai
- da vecchio, piuttosto che se fossi morto
- da bambino, prima di smettere di usare termini infantili,
- ancor prima che siano passati mille anni? Che,
- in confronto all’eterno, rappresentano un tempo
- più breve di un battere di ciglia per il cielo delle stelle fisse.
- Di colui che avanza poco dinnanzi a me,
- si parlava in tutta la Toscana; e ora a malapena
- a Siena se ne fa menzione,
- della quale era signore quando fu abbattuto
- il rabbioso popolo fiorentino, che a quel tempo
- era superbo così come ora è corrotto.
- La vostra fama è come il colore dell’erba,
- che arriva e se ne va, e proprio il sole, grazie al quale
- ella esce tenera dalla terra, le toglie colore”.
- E io a lui: “Le tue parole veritiere mi infondono
- una buona umiltà, e mi appianano la gonfia superbia;
- ma chi è quello di cui ora parlavi?”.
- “Quello è”, rispose, “Provenzano Salvani;
- ed è qui perché fu presuntuoso
- nel voler avere tutta Siena in mano sua.
- Da quando morì è avanzato e ancora avanza così,
- senza riposo; così soddisfa il suo debito verso Dio
- chi di là ha osato troppo”.
- E io: “Se quell’anima che aspetta
- la fine della vita, prima di pentirsi,
- dimora qui sotto e non può salire più sopra,
- se una buona preghiera non lo aiuta,
- prima che passi altrettanto tempo di quanto ha vissuto,
- come fu permesso che lui salisse qui così in fretta?”.
- “Quando era al massimo della sua potenza”, disse,
- “messa da parte ogni vergogna,
- si fermò spontaneamente nella piazza principale di Siena;
- e lì, per salvare un amico dalla pena che scontava
- nelle prigioni di Carlo d’Angiò, si sottopose,
- elemosinando, a tremare per l’umiliazione.
- Non dirò di più, e so di parlare in modo oscuro;
- ma passerà poco tempo prima che i tuoi concittadini
- faranno in modo di fartelo intendere con chiarezza.
- Questo atto lo liberò dalla costrizione di rimanere nell’Antipurgatorio”.
1 Il canto comincia con la parafrasi del Padre Nostro, la quale, oltre ad essere il frutto di una consuetudine medievale alla rielaborazione di preghiere, rispecchia anche l’importanza della preghiera in generale nel percorso purgatoriale. Non a caso il tema - o persino vere e proprie preghiere come in questo caso - tornano più volte nel corso della Cantica. L’atto di pregare simboleggia infatti il desiderio delle anime di avvicinarsi a Dio e costituisce il loro legame con il cielo.
2 Dante qui fornisce una spiegazione teologica per il fatto che Dio risieda nei cieli: non si tratta di una necessità, ma di una scelta dovuta al suo amore per ciò che ha creato..
3 Gli elementi qui citati potrebbero rappresentare i tre fattori della Trinità (Cristo è il Verbo e dunque il “nome”; la potenza - “valore” - è quella del Padre, mentre con “vapore” Dante si riferisce alla sapienza divina, quindi allo Spirito Santo. Oppure potrebbe riferirsi tutto al Padre, cui è rivolta in primo luogo la preghiera stessa.
4 noi [...] noi [...] nostro: la ripetizione del pronome serve a sottolineare la nullità dell’uomo di fronte alla Grazia divina.
5 ”Osanna” è parola ebraica tipica della liturgia, che indica esaltazione e preghiera: infatti fu usata anche per accogliere Gesù a Gerusalemme.
6 così facciano li uomini: si insiste sul sacrificio e la sottomissione degli uomini, motivo che nel Padre Nostro tradizionale resta implicito: è un tema fondamentale nel Purgatorio, il regno dell’umiliazione e della penitenza salvifiche.
7 manna: non è solo riferito al pane, ossia al cibo naturale degli uomini, bensì anche a quello spirituale. Si fa riferimento all’episodio biblico di Mosè e degli ebrei nel deserto, nel quale appunto la manna inviata dal Cielo simboleggia il nutrimento dell’animo.
8 per questo aspro diserto: il mondo terreno, non il Purgatorio, che in effetti dal punto di vista geografico appartiene ancora al globo terrestre. I superbi, comunque, in atto di umiltà, spesso si rappresentano ancora come parte del genere umano.
9 Dante insiste sulla miseria umana: il perdono dipende unicamente dalla grazia di Dio e non dai meriti e dalle opere umane, che sarebbero sempre e comunque insufficienti.
10 Quest’ultima preghiera: non solo l’ultima terzina, ma tutta la seconda parte della preghiera, che chiaramente si adatta di più a chi ancora sia in vita e a rischio di peccare.
11 ramogna: neologismo dantesco, sul cui significato i commentatori e la critica hanno a lungo discusso. I primi commentatori hanno ritenuto potesse significare “viaggio” o “augurio”; tale significato si trova anche in un testo duecentesco. Al contrario, un testo in antico astigiano riporta un verbo affine che vale però “lamentarsi” o “brontolare”, quindi con riferimento all’effetto vocale. Se si pensa invece ad un’etimologia latina, legando il termine al verbo oro, oras, oravi, oratum, orare, “pregare”, si può recuperare il significato di “augurio”, da intendersi più specificamente come “buona sorte” nel percorso di purificazione.
12 I peccatori camminano portando un masso enorme sulla schiena: Dante paragona questo senso di oppressione a quello che gli uomini, addormentati, avvertono negli incubi.
13 caligine: perché il peccato offusca l’anima come la nebbia fa con lo sguardo.
14 Il peccato è strettamente connesso alla vita nel mondo, con le sue tentazioni.
15 Alle anime resta la preghiera, ma in Terra bisogna anche operare per il bene.
16 Come Dante ha già spiegato per tramite di Virgilio nel canto VI, con l’intento di chiarire le continue richieste della anime purganti perché il poeta portasse il loro ricordo nel mondo dei vivi, le preghiere che gli uomini pronunciano a favore delle anime purganti contribuiscono, in coerenza con la carità divina e dunque solo se sono preghiere giuste, ad abbreviare il percorso di purificazione.
17 Il “si” ha valore ottativo (desiderativo) come spesso nella Commedia. Questo avvio del dialogo ha il valore, consueto, di captatio benevolentiae.
18 il disio vostro vi lievi: la metafora delle ali per il desiderio è un diffuso topos medievale
19 carne d’Adamo: espressione di origine biblica per riferirsi al fatto che Dante è ancora legato al suo corpo materiale e non è soltanto un’anima eterea.
20 Benché si possa anche pensare che, come spesso avviene nel Purgatorio, sia qui più importante considerare le anime come un gruppo armonioso che come insieme di individui, la notazione di Dante deriva da un elemento fisico concreto: le anime sono piegate con lo sguardo rivolto a terra da un pesante masso che schiaccia il loro capo, simbolo di umiltà imposta in contrasto con la superbia che in vita li fece comportare in modo tronfio, simboleggiato dall’atto di tenere il capo ben dritto
21 cervice mia superba: espressione di origine biblica ma presente anche nei classici latini per riferirsi alla superbia.
22 soma: può indicare sia la pena nel suo complesso che il peso materiale che i dannati portano sulle spalle.
23 Parla Omberto Aldobrandeschi, membro di una nobile famiglia feudataria della provincia di Grosseto. Omberto e il padre erano stati fieri avversari di Siena, che avevano più volte saccheggiato, sostenuti dai fiorentini. Omberto morì nel 1259, ma non è chiaro se durante la battaglia di Campagnatico o ucciso mentre dormiva da sicari senesi, mentre si trovava nel suo feudo di Campagnatico, esplicitamente citato più oltre.
24 comune madre: da intendersi nel senso di “terra” o di “Eva”, in entrambi i casi in riferimento alla natura comune degli uomini.
25 fante: letteralmente “colui che parla”, quindi è da intendersi che ogni uomo del Campagnatico conosce la storia della morte di Omberto. Potrebbe essere interpretato addirittura come “bambino”, esaltando ulteriormente la fama della vicenda, come racconto destinato persino all’infanzia.
26 consorti: il termine, che ha valore tecnico nel Medioevo, indica un gruppo di famiglie provenienti dallo stesso ceppo, detto appunto “consorteria”.
27 tratti seco nel malanno: verso una fine rovinosa in vita, ma anche nel peccato e nelle sue conseguenze
28 tanto che a Dio si sodisfaccia: cioéfinché il debito con Dio non sia stato definitivamente estinto, appunto “soddisfatto”.
29 chinai in giù la faccia: l’azione ha il duplice riferimento dell’abbassarsi per ascoltare quello che il peccatore, chino sotto il peso del masso, sta dicendo, e quello della compartecipazione a un peccato (e alla punizione) in cui Dante sa di essere coinvolto, come confesserà nel canto XIII.
30 forse questa anima riesce a girarsi perché il peso che porta è inferiore
31 Oderisi da Gubbio fu miniatore che operò nella seconda metà del ‘200 prima a Bologna e poi a Roma. Sia le sue opere che quelle di Franco Bolognese, nominato più avanti, devono essere sopravvissute anonime, e non sono più riconoscibili. Si parla piuttosto di una “scuola” caratteristica a livello di stile.
32 alluminar: francesismo da enluminer che significa appunto “miniare”.
33 Metonimia per Francia e dunque per la “lingua francese".
34 ridon: tecnicismo di derivazione francese per riferirsi allo splendore del colore.
35 pennelleggia: altro termine tecnico che indica un preciso modo di miniare.
36 Franco Bolognese fu un miniatore vissuto tra il XIII e il XIV secolo; le uniche notizie che si hanno di lui sono quelle presenti in questo canto.
37 cortese: ovvero, “giustamente generoso nel riconoscere i meriti altrui rispetto ai miei”.
38 tal superbia: mentre la superbia di Omberto era causata dal sangue, quella di Oderisi è provocata dai meriti artistici, ma non per questo è meno grave.
39 non sarei qui: non ha atteso nell’Antipurgatorio perché si è pentito non in punto di morte ma nel pieno della vita, quando ancora poteva peccare.
40 l’umane posse: le capacità umane e quindi le opere che ne derivano
41 Metafora vegetale: la fama piena è rappresentata come foglie mature che si vedono bene perché spuntate sulla cima di un albero.
42 Se all’opera di un artista segue un periodo di decadenza, nessuno ne supera la fama e per un po’ egli può essere ricordato.
43 Cimabue: Giovanni di Pepo, detto Cimabue, pittore del ‘200, ebbe un grande merito nel rinnovare la pittura rispetto alla tradizione bizantina e fu maestro di Giotto.
44 Secondo l’interpretazione tradizionale si tratta di una riflessione a carattere generale sulla caducità della fama. Secondo un’altra interpretazione ugualmente accreditata Dante farebbe riferimento a se stesso come colui che già ha superato in fama i due Guido.
45 La fama rappresentata come vento incostante è un altro topos letterario molto diffuso.
46 Il ’pappo’ e ’l ’dindi’: termini infantili per indicare rispettivamente il cibo e il denaro.
47 In cielo è torto: le due terzine vogliono intendere che è indifferente morire vecchi o giovani di fronte al tempo di mille anni, e d’altra parte anche mille anni non sono nulla se paragonati all’eternità. Il cielo più lento è il cielo delle stelle fisse che, per compiere una rotazione, impiega 360 secoli, tanto che - dice S. Tommaso, fonte di Dante in questo passo - alla vista sembrerebbe fermo.
48 Colui: viene introdotto Provenzano Salvani, con cui Dante non parla. Capo ghibellino di Siena, quando tale fazione era vittoriosa in città, fu un uomo potentissimo e contribuì alla vittoria di Montaperti (4 settembre 1260) ai danni dei Fiorentini. In seguito fu podestà di Montepulciano e cavaliere. Morì nella battaglia di Colle Val d’Elsa (16-17 giugno 1269), vinta dai fiorentini.
49 color d’erba: l’immagine caduca dell’erba è di origine biblica.
50 Dante non solo comprende le parole di Oderisi, ma si propone anche di metterle in atto nella sua condotta personale.
51 gran tumor: la superbia presentata come gonfiore è un’immagine di origine biblica.
52 ma chi è: Dante, pur essendo fiorentino, non ha capito a chi si riferisca Oderisi.
53 La superbia di Provenzano va intesa in due sensi distinti: egli ha prima ritenuto di essere migliore degli altri e quindi ha aspirato a prendere il potere.
54 Dante sa che Provenzano ha mantenuto un’attitudine superba fino al momento della morte. Ma la giustizia divina, viene spiegato in questo passo, può anche implicare la misericordia.
55 Campo di Siena: la piazza centrale di Siena, dove si corre il Palio.
56 l’amico suo: è stato storicamente identificato con Bartolomeo Seracini, catturato durante la battaglia di Tagliacozzo (23 agosto 1268) dalle truppe di Carlo d’Angiò. Il riscatto richiesto prevedeva una somma che Provenzano non aveva a disposizione ed egli quindi si umiliò, pur famoso e potentissimo, a fare l’elemosina nel centro della città pur di aiutarlo.
57 Anche Dante, quando sarà esiliato, proverà l’umiliazione di dover elemosinare l’aiuto altrui. È un’altra delle numerose e oscure profezie sul futuro di Dante che saranno poi chiarite nel Canto XVII del Paradiso dal suo antenato Cacciaguida.
58 quei confini: i confini dell’Antipurgatorio.