Dopo l'incontro con Catone e poi con Casella, prosegue l'avvicinamento di Dante e Virgilio al monte del Purgatorio, che dirige verso il Paradiso; nel terzo canto, Dante incontra le anime scomunicate che si sono pentite in ritardo della loro condotta terrena. Tra coloro che espiano la pena c'è anche Manfredi di Sicilia, figlio dell'imperatore Federico II di Svevia e acerrimo oppositore del potere papale. La figura è utile per presentare un quadro dei conflitti tra potere temporale e potere spirituale nel Medioevo, e per tratteggiare la differenza tra gli odi umani e l'infinita compassione divina.
- Avvegna che la subitana fuga 1
- dispergesse color per la campagna,
- rivolti al monte ove ragion ne fruga 2,
- i’ mi ristrinsi a la fida compagna 3:
- e come sare’ io sanza lui corso?
- chi m’avria tratto su per la montagna?
- El mi parea da sé stesso rimorso:
- o dignitosa coscïenza e netta,
- come t'è picciol fallo amaro morso 4!
- Quando li piedi suoi lasciar la fretta,
- che l’onestade ad ogn’atto dismaga 5,
- la mente mia, che prima era ristretta,
- lo ’ntento rallargò, sì come vaga 6,
- e diedi ’l viso mio incontr’al poggio
- che ’nverso ’l ciel più alto si dislaga.
- Lo sol, che dietro fiammeggiava roggio 7,
- rotto m’era dinanzi a la figura,
- ch’avëa in me de’ suoi raggi l’appoggio 8.
- Io mi volsi dallato con paura
- d’essere abbandonato, quand’io vidi
- solo dinanzi a me la terra oscura;
- e ’l mio conforto: "Perché pur diffidi?",
- a dir mi cominciò tutto rivolto 9;
- "non credi tu me teco e ch’io ti guidi?
- Vespero 10 è già colà dov’è sepolto
- lo corpo dentro al quale io facea ombra;
- Napoli l’ha, e da Brandizio è tolto 11.
- Ora, se innanzi a me nulla s’aombra,
- non ti maravigliar più che d’i cieli
- che l’uno a l’altro raggio non ingombra 12.
- A sofferir tormenti, caldi e geli
- simili corpi la Virtù dispone
- che, come fa, non vuol ch’a noi si sveli 13.
- Matto è chi spera che nostra ragione
- possa trascorrer la infinita via
- che tiene una sustanza in tre persone 14.
- State contenti, umana gente, al quia 15;
- ché, se potuto aveste veder tutto,
- mestier non era parturir Maria 16;
- e disïar vedeste sanza frutto
- tai che sarebbe lor disio quetato,
- ch’etternalmente è dato lor per lutto 17:
- io dico d’Aristotile e di Plato
- e di molt’altri"; e qui chinò la fronte,
- e più non disse, e rimase turbato 18.
- Noi divenimmo intanto a piè del monte 19;
- quivi trovammo la roccia sì erta,
- che ’ndarno vi sarien le gambe pronte.
- Tra Lerice e Turbìa la più diserta,
- la più rotta ruina è una scala,
- verso di quella, agevole e aperta 20.
- "Or chi sa da qual man la costa cala",
- disse ’l maestro mio fermando ’l passo,
- "sì che possa salir chi va sanz’ala?".
- E mentre ch’e’ tenendo ’l viso basso
- essaminava del cammin la mente,
- e io mirava suso intorno al sasso,
- da man sinistra m’apparì una gente
- d’anime, che movieno i piè ver’ noi,
- e non pareva, sì venïan lente 21.
- "Leva", diss’io, "maestro, li occhi tuoi:
- ecco di qua chi ne darà consiglio,
- se tu da te medesmo aver nol puoi".
- Guardò allora, e con libero piglio
- rispuose: "Andiamo in là, ch’ei vegnon piano;
- e tu ferma la spene, dolce figlio".
- Ancora era quel popol di lontano,
- i’ dico dopo i nostri mille passi,
- quanto un buon gittator trarria con mano,
- quando si strinser tutti ai duri massi
- de l’alta ripa, e stetter fermi e stretti
- com’a guardar, chi va dubbiando, stassi 22.
- "O ben finiti, o già spiriti eletti",
- Virgilio incominciò, "per quella pace
- ch’i’ credo che per voi tutti s’aspetti,
- ditene dove la montagna giace,
- sì che possibil sia l’andare in suso;
- ché perder tempo a chi più sa più spiace".
- Come le pecorelle escon del chiuso
- a una, a due, a tre, e l'altre stanno
- timidette atterrando l'occhio e 'l muso;
- e ciò che fa la prima, e l’altre fanno,
- addossandosi a lei, s’ella s’arresta,
- semplici e quete, e lo ’mperché non sanno 23;
- sì vid’io muovere a venir la testa
- di quella mandra fortunata allotta 24,
- pudica in faccia e ne l’andare onesta.
- Come color dinanzi vider rotta
- la luce in terra dal mio destro canto,
- sì che l’ombra era da me a la grotta,
- restaro, e trasser sé in dietro alquanto,
- e tutti li altri che venieno appresso,
- non sappiendo ’l perché 25, fenno altrettanto.
- "Sanza vostra domanda io vi confesso
- che questo è corpo uman che voi vedete;
- per che ’l lume del sole in terra è fesso 26.
- Non vi maravigliate, ma credete
- che non sanza virtù che da ciel vegna
- cerchi di soverchiar questa parete".
- Così ’l maestro; e quella gente degna
- "Tornate", disse, "intrate innanzi dunque",
- coi dossi de le man faccendo insegna.
- E un di loro incominciò 27: "Chiunque
- tu se’, così andando, volgi ’l viso:
- pon mente se di là mi vedesti unque".
- Io mi volsi ver’ lui e guardail fiso:
- biondo era e bello e di gentile aspetto,
- ma l'un de' cigli un colpo avea diviso 28.
- Quand’io mi fui umilmente disdetto
- d’averlo visto mai, el disse: "Or vedi";
- e mostrommi una piaga a sommo ’l petto.
- Poi sorridendo disse: "Io son Manfredi,
- nepote di Costanza imperadrice 29;
- ond’io ti priego che, quando tu riedi,
- vadi a mia bella figlia 30, genitrice
- de l’onor di Cicilia e d’Aragona 31,
- e dichi ’l vero a lei, s’altro si dice.
- Poscia ch’io ebbi rotta la persona
- di due punte mortali 32, io mi rendei,
- piangendo, a quei che volontier perdona.
- Orribil furon li peccati miei;
- ma la bontà infinita ha sì gran braccia,
- che prende ciò che si rivolge a lei.
- Se ’l pastor di Cosenza 33, che a la caccia
- di me fu messo per Clemente 34 allora,
- avesse in Dio ben letta questa faccia,
- l’ossa del corpo mio sarieno ancora
- in co del ponte presso a Benevento,
- sotto la guardia de la grave mora.
- Or le bagna la pioggia e move il vento
- di fuor dal regno, quasi lungo ’l Verde 35,
- dov’e’ le trasmutò a lume spento 36.
- Per lor maladizion sì non si perde,
- che non possa tornar, l'etterno amore,
- mentre che la speranza ha fior del verde 37.
- Vero è che quale in contumacia more
- di Santa Chiesa, ancor ch’al fin si penta,
- star li convien da questa ripa in fore,
- per ognun tempo ch’elli è stato, trenta,
- in sua presunzïon, se tal decreto
- più corto per buon prieghi non diventa 38.
- Vedi oggimai se tu mi puoi far lieto,
- revelando a la mia buona Costanza
- come m’ hai visto, e anco esto divieto;
- ché qui per quei di là molto s’avanza".
- Sebbene la fuga improvvisa avesse disperso
- per la campagna le anime rivolte verso
- il monte dove la ragione divina ci tormenta,
- io mi portai vicino al mio maestro:
- e come sarei potuto correre senza di lui?
- chi mi avrebbe condotto sulla montagna?
- Egli mi sembrava colpito dal rimorso:
- o coscienza nobile e pura, come
- ti è difficile accettare un piccolo sbaglio!
- Quando Virgilio iniziò a camminare senza
- fretta, che priva di decoro ogni gesto,
- la mia mente, prima concentrata su Casella,
- allargò i suoi orizzonti, pensando al viaggio,
- e il mio sguardo si posò sul monte
- che si innalza più di ogni altro verso il cielo.
- Il sole, che dietro di me risplendeva rosso,
- era rotto dalla sola mia figura,
- poichè alcuni raggi battevano sul mio corpo.
- Io mi girai di lato con timore
- di trovarmi solo, nel momento in cui vidi
- solamente la mia ombra sulla terra;
- egli mi confortò: "Perchè non ti fidi ancora?"
- e mi disse totalmente rivolto verso di me:
- "Non credi che io sia qui con te e ti guidi?’’.
- Ormai è già l’ora del vespro dove è sepolto
- il corpo col quale io facevo ombra sulla terra;
- è a Napoli, ed è stato portato via da Brindisi.
- Ora, se il mio corpo non crea alcuna ombra,
- non ti meravigliare di più del fatto che i raggi
- non siano bloccati dai cieli.
- La virtù divina dispone che questi corpi
- possano sopportare pene fisiche, caldo
- e freddo, ma senza svelarne la maniera.
- è folle colui che spera che la ragione umana
- possa percorrere la via dell’atto divino,
- che stringe una sostanza in tre persone.
- Accontentatevi, uomini, della spiegazione che avete
- poiché, se aveste potuto sapere ogni cosa,
- Maria non avrebbe partorito;
- e vedeste desiderare invano a coloro ai quali
- il desiderio sarebbe stato invece inappagato,
- in eterno a loro è dato come pena nel Limbo:
- io parlo di Aristotele, di Platone
- e di molti altri; e detto questo, chinò la fronte,
- e non parlò più, e rimase turbato.
- Noi giungemmo ai piedi della montagna,
- e qui ci rendemmo conto che era così erta
- che le gambe invano sarebbero state capaci.
- A paragone la strada più impervia
- e più ripida tra Lerici e Turbia, sarebbe una scala
- comoda e larga rispetto a quella.
- "Ora chi sa da quale parte è meno ripido"
- disse il mio maestro rallentando il passo,
- "così che possa salire anche chi non vola?".
- E mentre egli teneva il viso e gli occhi bassi
- ancora turbato per quanto detto prima,
- ed io guardavo in alto verso il monte,
- dalla parte sinistra mi apparve una schiera
- di anime, che si dirigevano verso di noi,
- ma non sembrava [si muovessero], tanto erano lente.
- “Alza lo sguardo, mio maestro”, dissi,
- “ecco a chi potremo chiedere consiglio,
- se tu da te stesso non puoi sapere ciò”.
- Guardo allora con uno sguardo sicuro
- e rispose: “Andiamo di là, loro vengono piano;
- e tu tieni salda la speranza, dolce figliolo”.
- Quella schiera di anime era ancora lontano,
- dopo aver fatto noi quasi mille passi, quanto
- la distanza del lancio di un buon lanciatore,
- quando tutti si accostarono alla parete
- rocciosa, e stettero vicini e fermi, come
- un viandante che dubitando, si ferma e osserva.
- “O anime morte nella grazia di Dio, elette”,
- cominciò Virgilio, “in nome di quella pace
- che io credo sia attesa da tutti voi,
- ditemi dove la montagna è meno ripida,
- così che sia possibile salirvi; perchè perdere
- tempo spiace di più a chi ne è consapevole”.
- Come le pecore escono dal recinto da sole,
- a coppie o a gruppi di tre, e le altre stanno
- ferme impaurite guardando verso terra;
- e quella che va per prima, le altre la seguono,
- andandole addosso, se la lei si ferma,
- obbidienti e semplici, e perchè non sanno;
- così allora vidi muoversi la testa
- di quella schiera di spiriti eletti,
- umile in viso e composta nel procedere.
- Non appena videro davanti a loro interrotta
- la luce in terra dal mio corpo verso la parte destra,
- così che l’ombra stava tra me e la grotta,
- si fermarono, e indietreggiarono molto,
- e tutti quelli che stavano dietro loro,
- non sapendo il perchè, fecero altrettanto.
- “Senza alcuna vostra domanda io vi dico
- che questo che vedete è un corpo umano;
- perciò la luce del sole a terra è interrotta.
- Non vi meravigliate: sappiate che
- egli cerca di superare questo monte
- non senza una grazie celeste”.
- Così disse il maestro; e quella schiera eletta
- disse: “Tornate indietro e procedete dritto”
- facendosi dei segni con il dorso della mano.
- Ed uno di loro iniziò: “Chiunque
- tu sia, senza fermarti, volgi lo sguardo:
- cerca di pensare se in terra mai mi vedesti”.
- Io mi girai verso lui e lo guardai attentamente:
- era biondo e bello e di aspetto nobile,
- ma aveva uno dei due sopraccigli spaccato.
- Quando gli dissi umilmente di non averlo
- mai visto, egli disse: “Guarda ora”;
- e mi mostrò una ferita sul petto, vicino al cuore.
- Poi sorridendo disse: “Io sono Manfredi,
- nipote dell’imperatrice Costanza,
- perciò io ti prego, quando ritornerai,
- di recarti presso alla mia bella figlia,
- madre dei sovrani di Sicilia e d’Aragona,
- per dirle la verità, se le dicerie sono altre.
- Dopo che il mio corpo fu rotto da due ferite
- mortali, io consegnai la mia anima, pentito,
- piangendo, a colui che concede il perdono.
- Furono orribili i miei peccati;
- ma la misericordia infinita ha braccia sì grandi
- che accoglie chiunque si rivolga a lei.
- Se il vescovo di Cosenza, che fu mandato
- da Clemente IV a cacciarmi come una bestia,
- avesse capito bene questo volto,
- le ossa del mio corpo sarebbero ancora
- all’inizio del ponte nei pressi di Benevento,
- sotto il mucchio di pietre posto come lapide.
- Ora la pioggia le bagna e le muove il vento
- lontane da Napoli, al confine del regno,
- dove egli le fece spostare con i ceri spenti.
- In seguito alle loro scomuniche però
- non si perde per sempre l’amore per Dio,
- fino a quando rimane ancora della speranza.
- È vero che chi muore scomunicato in contumacia,
- anche se si pente in punto di morte,
- è necessario che stia fuori dal monte
- per un tempo pari a trenta volte quanto è rimasto
- nel suo errore, anche se questo tempo può ridursi
- grazie alle intercessioni dei vivi.
- Vedi ormai se tu puoi rendermi felice,
- dicendo alla mia dolce figlia Costanza,
- la condizione in cui sono, e di questa proibizione;
- perchè grazie a chi è in terra, qui la pena si riduce molto”.
1 Dante e Virgilio (vv. 1-15) riprendono il loro viaggio dopo aver sentito il canto di Casella (Purgatorio, II, vv. 76-117), ed essere stati ammoniti da Catone per il loro attaccamento alle passioni terrene.
2 ove ragion ne fruga: Dante intende che il monte è il luogo della giusta espiazione dei peccati, secondo gli ordinamenti della Giustizia di Dio.
3 a la fida compagna: ovvero la guida di Dante, Virgilio.
4 come t'è picciol fallo amaro morso: Costruzione: “come picciol fallo ti è morso amaro”; e cioè “quanto ti risulta difficile accettare anche solo un tuo piccolo peccato o distrazione!”.
5 quando li piedi suoi lasciar la fretta, | che l’onestade ad ogn’atto dismaga: in questi versi viene presentato Virgilio che riprende a camminare in maniera posata e misurata, secondo le caratteristiche fondamentali della “cortesia” e della “misura”, che presupponevano il rispetto di norme legate all’equilibrio e alla compostezza, in opposizione alla dismisura, alla villania e alla superbia.
6 la mente mia, che prima era ristretta, | lo ’ntento rallargò, sì come vaga: dopo l’incontro con Casella, anche Dante è stato riportato alle cose terrene, così come Virgilio deve allontanarsene per poter tornare alla situazione migliore per poter iniziare il suo percorso di purificazione ed elevazione, così come rimarcato dall’arrivo, alla fine del canto precedente, di Catone, che riporta ordine tra le anime che si stavano perdendo nella suggestione della musica di Casella.
7 In questi versi Virgilio (vv. 16-45) spiega a Dante la natura aerea dei corpi nel Purgatorio (che, ad esempio, lasciano passare per loro costituzione i raggi solari) e la loro differenza con i corpi dei viventi. Al di là della spiegazione tecnica che segue, conta per la mentlità medievale la preminenza della Rivelazione divina rispetto alla Ragione umana.
8 l’appoggio: i raggi del Sole sono schermati dal corpo reale di Dante, e danno così origine all’ombra sul terreno; al contrario gli stessi raggi passano attraversano il corpo di Virgilio, che non ha consistenza materiale e reale e che quindi non proietta ombra.
9 tutto rivolto: totalmente girato verso di me; l’atteggiamento di Virgilio indica la cura con cui il poeta latino vuole confortare il poeta e rispondere ai suoi timori.
10 Vespero: l’ora del vespro, tra le 15 e le 18, è quella dell’Italia (dove appunto è sepolto il corpo di Virgilio, come detto al v. 25); nel Purgatorio, allineato per Dante all’ora di Gerusalemme, siamo invece poco dopo lo spuntare del Sole (all’incirca tra le 6 e le 8 mattutine).
11 Napoli l’ha, e da Brandizio è tolto: si dice che Virgilio, morto a Brindisi nel 19 a.C., sia stato trasportato a Napoli, come recita anche l’epitaffio tombale.
12 non ti maravigliar più che d’i cieli | che l’uno a l’altro raggio non ingombra: Virgilio con questi due versi mette in rapporto la sua immaterialità corporea con la materia con la quale sono fatti i cieli, cioè la quinta essenza (gli altri elementi sono l’acqua, l’aria, la terra ed il fuoco); di questa stessa materia sono ricoperti i corpi aerei delle anime, motivo per cui vengono attraversati dai raggi luminosi.
13 A sofferir tormenti, caldi e geli | simili corpi la Virtù dispone | che, come fa, non vuol ch’a noi si sveli: costruzione: “La Virtù dispone simili corpi a sofferir tormenti, caldi e geli, e non vuol ch’a noi si sveli come fa”; ovvero: “la virtù divina ha la possibilità di poter far soffrire a questi corpi, benché siano aerei, ogni tipo di pena, ma non lascia a noi la possibilità di comprenderne la motivazione”.
14 L’allusione alla pazzia è un chiaro rimando alla superbia umana e all’impossibilità di poter giungere a comprendere, con la sola “nostra ragione”, la “infinita via”, e cioè l’intero disegno divino nella realtà e addirittura il mistero della Trinità (v. 36).
15 quia: il termine (nella filosofia scolastica medievale) era usato per introdurre una subordinata dichiarativa dopo verbi affermativi, indicando cioè una realtà di fatto, che non ha bisogno di spiegazioni in quanto evidente a tutti.
16 mestier non era parturir Maria: Virgilio chiude la terzina con un tipico paradosso logico: se l’uomo avesse potuto indagare la causa delle cose con il solo strumento della ragione, non ci sarebbe stato bisogno della Rivelazione divina attraverso l’incarnazione del figlio di Dio in Maria.
17 e disïar vedeste sanza frutto | tai che sarebbe lor disio quetato, | ch’etternalmente è dato lor per lutto: costruzione: “e vedeste disiar sanza frutto tai che lor disio sarebbe quetato e ch’etternalmente è dato per lutto”, ovvero: “e voi vedeste desiderare senza alcuna speranza coloro il cui desiderio di sapere sarebbe potuto essere sufficiente per comprendere, ed invece è loro negato e reso come pena [questo stesso desiderio di sapere], come per gli spiriti presenti nel Limbo”. Virgilio, in un altro luogo della Commedia (Inferno, IV, v. 42) definisce se e gli altri spiriti pagani con l’espressione: “sanza speme vivemo in disio”.
18 rimase turbato: Virgilio dopo aver parlato di questi argomenti è consapevole che anche lui appartiene a questi “molt’altri”, e proprio questo motivo è causa del suo turbamento. La spiegazione dottrinaria insomma si chiude con una nota di autocompassione personale, che arricchisce il profilo del personaggio virgiliano.
19 Dante e Virgilio (vv. 46-102) incontrano una schiera di anime a cui chiedono da quale parte sia possibile salire sulla montagna, particolarmente erta e ripida. Costoro solo dopo aver compreso la natura umana di Dante ed il motivo della sua presenza nel Purgatorio rispondono a Virgilio.
20 Costruzione: “la ruina più diserta e più rotta tra Lerici e Turbia è una scala agevole e aperta verso di quella”, ovvero: “la strada più impraticabile e più difficile tra Lerici e Turbia è una scala ampia e semplice rispetto a quella del Purgatorio”. Lerici (vicino a La Spezia) e Turbia (nei pressi di Nizza) segnano gli estremi della costa ligure notoriamente frastagliata.
21 e non pareva, sì venïan lente: non sembrava neanche si muovessero tanto erano lente nel loro procedere.
22 stassi: similitudine con cui la schiera di anime è paragonata ad un viandante che non capendo la situazione si ferma a riflettere in quanto si trova nel dubbio e nell’incertezza.
23 Questa similitudine mette a confronto un gregge di pecore con la schiera delle anime purganti che Dante e Virgilio incontrano ai piedi della montagna. L’immagine idillica e campestre alleggerisce il clima di dubbio e timore creato dalla reazione delle anime alla presenza di Dante, cogliendone bene anche la timidezza della reazione della “schiera”.
24 Allotta: “allora, in quel momento”; è un termine tipico del fiorentino del Trecento.
25 non sappiendo ‘l perché: con queste parole il poeta riprende chiaramente la similitudine precedente del gregge di pecore.
26 fesso: participio passato di “fendere”, con il significato di “rompere, interrompere, tagliare”.
27 L’incontro tra Dante e Manfredi (vv. 103-145) serve a Dante a spiegare la condizione delle anime scomunicate e a conoscere la storia dell’imperatore morto nella battaglia di Benevento nel 1266 per mano dell’esercito di Carlo I d’Angiò.
28 Questa è la descrizione di Manfredi (1232-1266), figlio naturale dell’imperatore Federico II di Svevia e di Bianca Lancia di Monferrato. Data l’appartenenza alla parte ghibellina e la sua fiera posizione antipapale venne scomunicato da Innocenzo IV. Le ostilità tra l’ultimo imperatore e i pontefici successivi (Alessandro IV e Urbano IV) portarono allo scontro militare con Carlo I d’Angiò, fratello del re francese Luigi IX e invitato nel 1265 da papa Clemente IV a muovere guerra contro Manfredi, per occuparne il regno. I due eserciti si scontrarono a Benevento nel 1266, dove Manfredi stesso venne ucciso e dove il suo corpo venne inizialmente sepolto dai soldati francesi con un cumulo di pietre. In seguito l'arcivescovo di Cosenza ordinò che il cadavere venisse dissepolto e che i suoi resti fossero sparsi al di là del fiume Liri.
29 Costanza: Costanza d’Altavilla, figlia di Ruggero d’Altavilla, andò in sposa a Enrico VI; fu la madre di Federico II. Costanza comparirà all’inizio del Paradiso nel terzo canto.
30 bella figlia: la figlia di Manfredi, anch’essa di nome Costanza, che andò in sposa a Pietro III d’Aragona.
31 onor: i figli di Costanza furono Federico, che divenne re di Sicilia, e Giacomo, re d’Aragona.
32 due punte mortali: le due ferite sono quelle anticipate precedentemente: il colpo sul sopracciglio e quello sul petto.
33 pastor di Cosenza: l'arcivescovo di Cosenza, che si era macchiato della grave colpa dell’oltraggio al cadavere di Manfredi.
34 Clemente: Clemente IV, papa dal 1265 al 1268, di origine francese. Incoronò Carlo I d’Angiò re di Napoli il 28 febbraio del 1265 per indurlo a combattere contro Manfredi.
35 lungo ‘l Verde: in teoria vicino al Liri o al Garigliano (chiamati “Verde” in età medievale), quindi a nord del Regno di Napoli.
36 a lume spento: spostare un corpo con i ceri spenti e capovolti era l’usanza riservata agli eretici e agli scomunicati.
37 la speranza ha fior del verde: Dante allude qui alla questione teologica se una scomunica comporti o meno, in automatico, la dannazione eterna (Federico, padre di Manfredi, viene appunto incontrato nel decimo canto dell’Inferno, al v. 119). Negando tale eventualità - Manfredi chiede perdono a Dio negli ultimi istanti di vita e l'ottiene - il poeta vuole soprattutto sottolineare la cecità degli uomini (che si accaniscono in persecuzioni perverse e fini a se stesse) a confronto dell’infinita misercordia di Dio.
38 Queste due terzine spiegano la condizione di queste anime e di come gli scomunicati debbano espiare le loro pene: essi dovranno rimanere nell’Antipurgatorio per un tempo pari a trenta volte quello trascorso in vita come scomunicati. Al contempo però hanno la possibilità di ridurre questa loro espiazione grazie alle preghiere di suffragio dei vivi.