Il Decameron di Giovanni Boccaccio (1313 - 1375) è unanimemente considerato uno dei capolavori della letteratura non solo italiana; l’opera boccacciana e le sue “cento novelle in diece dì” narrate da “sette donne e tre giovani uomini” si impone a metà del Trecento come il prodotto per eccellenza del genere novellistico, genere che il Decameron innova in maniera decisiva rispetto ai modelli medievali a lui precedenti.
La prima preoccupazione dell’autore, sin dal celebre Proemio, è allora quella di precisare cosa si vuole offrire ai propri lettori (e, soprattutto, alle lettrici della nuova classe borghese-mercantile): la “novella”, come genere letterario, si impone di fronte ad una serie di “concorrenti” minori, dalla “legenda” all’exemplum, dal lai d’oltralpe fino alle vidas o ai fabliaux. A questi si aggiungono i grandi modelli della tradizione classica o di quella orientale (che suggerisce a Boccaccio l’uso stragetico della “cornice”) e un testo anonimo di fine Duecento, il Novellino, “libro di novelle e di bel parlar gientile” (così recita uno dei primi manoscritti), che già aveva diffuso il modello della narrazione breve. Ma è solo con il Decameron - e con l’ambiziosità del suo progetto, che sceglie di narrare con lo strumento “inferiore” della prosa in volgare il sistema di valori di una classe sociale in ascesa - che la “novella” guadagna un prestigio decisivo nella nostra storia letteraria; un “successo” destinato a propagarsi per almeno tre secoli, conoscendo nuova fortuna, in tempi più recenti, con Verga (si pensi alla raccolta Vita dei campi o alle Novelle rusticane) e Luigi Pirandello e le sue Novelle per un anno.
Glossario d’appendice:
Exemplum (dal latino exemplum, “esempio”) = forma letteraria breve, tipica della letteratura medievale, di argomento didattico e moraleggiante, in cui la vicenda narrata vuole avere valore “esemplare” di modello di condotta etica. Spesso poteva essere associato alla predicazione religiosa, o in coincidenza di festività liturgiche specifiche.
Fabliaux = Voce d’origine francese (fabliaux o anche fableaux, diffusa dal XII al XIV secolo in area settentrionale) che individua componimenti brevi, in versi (ottosillabi in distici a rima baciata); l’argomento è di natura basso-comica (in accordo con la definizione di “comico” medievale), narrando spesso vicende incentrate su una “beffa” o su tematica licenzioso-satirica.
Lai = Termine dell’antico francese lai che identifica un genere poetico medievale, assai diffuso in Francia, di argomento lirico-amoroso o fantastico-narrativo (ispirato al “ciclo di Re Artù” o alle leggende di origine celtica). La forma metrica è quella del distico di ottosillabi, con accompagnamento musicale.
Legenda = dal latino legenda, narrazione breve della vita di un santo, filtrata in ottica “esemplare” ed edificante, come nell’exemplum, spesso intessuta di elementi fantastici e destinata soprattutto ad un pubblico popolare.
Vida = dall’occitano vida (“vita”), indica quei testi biografici che, nei canzonieri di lirica trobadorica tra XIII e XIV secolo, accompagnavano i componimenti dei diversi autori, costituendo una breve introduzione agli stessi. Erano accompagnati dalle razos (“spiegazioni”) sulla poetica e l’interpretazione del testo.
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Nella penisola italiana, a Firenze, verso la metà del Trecento, con la scrittura e la diffusione del Decameron del Boccaccio assistiamo alla fase conclusiva del processo di codificazione letteraria di un genere nuovo della letteratura medievale, destinato a un duraturo successo, quello della novella. La consapevolezza da parte del Boccaccio della novità della formula narrativa che si apprestava a consegnare al mondo delle lettere trova conferme nell’insistenza nomenclatoria che caratterizza già subito la prima pagina dell’opera, proprio a partire dalla rubrica di apertura, in cui leggiamo che il Decameron è un libro “nel quale si contengono cento novelle”. Poche righe sotto, nel Proemio, l’autore Boccaccio ribadisce di nuovo che:
Adunque, acciò che in parte per me s'ammendi il peccato della fortuna, la quale dove meno era di forza, sì come noi nelle dilicate donne veggiamo, quivi più avara fu di sostegno, in soccorso e rifugio di quelle che amano, per ciò che all'altre è assai l'ago e 'l fuso e l'arcolaio, intendo di raccontare cento novelle, o favole o parabole o istorie che dire le vogliamo, raccontate in diece giorni, come manifestamente apparirà, da una onesta brigata di sette donne e di tre giovani, nel pistilenzioso tempo della passata mortalità fatta, e alcune canzonette dalle predette donne cantate al lor diletto. Nelle quali novelle piacevoli e aspri casi d'amore e altri fortunosi avvenimenti si vedranno, così ne' moderni tempi avvenuti come negli antichi; delle quali le già dette donne, che quelle leggeranno, parimente diletto delle sollazzevoli cose in quelle mostrate e utile consiglio potranno pigliare, in quanto potranno cognoscere quello che sia da fuggire e che sia similmente da seguitare: le quali cose senza passamento di noia non credo che possano intervenire. Il che, se avviene, che voglia Iddio che così sia, ad Amore ne rendano grazie, il quale liberandomi da' suoi legami m'ha conceduto il potere attendere a' lor piaceri.
Che anche lo stesso nome di “novella” potesse essere qualcosa di ancora poco conosciuto al lettore che si apprestasse a leggere il Decameron è testimoniato in questo passo del Proemio dalla compresenza, accanto appunto al termine “novella”, di altri termini definitori - “cento novelle, o favole o parabole o istorie che dire le vogliamo” – che rimandano ai modelli tradizionali – e quindi più conosciuti, più familiari al lettore dell’epoca – della narrazione breve medievale. Sul rapporto che Boccaccio intendesse porre tra questi termini e rispettivi generi e la novella, gli studiosi si sono interpellati a lungo con esiti diversi, ma quel che è certo è che il Decameron segna una svolta decisiva nella storia della prosa narrativa italiana, appunto mettendo in ombra i generi precedenti della narrazione breve e ponendosi invece come momento istituzionale, di definitiva affermazione e definizione del nuovo genere maggiore della novella, di cui riesce ad orientarne le successive linee di sviluppo per almeno tre secoli.
Nella letteratura romanza medievale si conta una notevole diffrazione della narrativa breve in tanti microgeneri – legenda, exemplum, lai, fabliau, vida – considerati dal loro stesso pubblico come marginali, letterariamente inferiori rispetto ad altri generi della letteratura medievale come la lirica o il romanzo. Tali microgeneri brevi sono differenti per contesti di appartenenza, per forma, ad esempio per redazione in versi o prosastica, e per contenuti (probabili, storici, immaginari), ma secondo alcune linee di studio possiamo considerarli tutti quanti quali serbatoio di contenuti e modelli concorrenti alla formazione e definizione della novella. Non a caso talvolta essi sono dal Boccaccio anche parodizzati o ripresi ironicamente. Alle fonti della tradizione occidentale romanza e latino-medievale la novella attinge poi per la sua costruzione anche a tutte le altre tradizioni narrative note al tempo, cioè anche quella classica greco-latina e quella orientale, che è per esempio la fonte, valida per lo stesso Decameron, delle strutture narrative con cornice.
A fare da cerniera tra i generi della narrativa breve medievale, in particolare l’exemplum, e il capolavoro della novella boccacciana vi è un altro testo italiano di area toscana, anteriore di circa cinquantanni a quello del Boccaccio, rimasto anonimo e generalmente noto come il Novellino, ma che il manoscritto più antico chiama "libro di novelle e di bel parlare gientile". Il libro, che può essere considerato l’atto di nascita della novella italiana, piacque ed ebbe buona fortuna e diffusione ma non riuscì a riscattare il “genere” novellistico dalla zona di marginalità in cui si trovava insieme al resto della narrativa breve medievale. L’operazione, per nulla scontata, riuscirà solo a Boccaccio, e grazie soprattutto alla propria superiore coscienza di autore e alla capacità di dare con la propria scrittura un prodotto letterariamente elevato e al contempo nuovo e autonomo, nonché rispondente alle aspettative e alle richieste di una classe sociale in ascesa e ben presente nella Toscana in cui Boccaccio scrive, ovvero la classe borghese.
Come si diceva, non era affatto ovvio che l’operazione letteraria del Boccaccio sulla novella andasse a buon fine, poiché era in fondo un’operazione, oltre che ambiziosa al pari di quella fatta dall’amato Dante con la Commedia, anche a diversi livelli più rischiosa, era una sfida ai tempi e alla tradizione:
nell’opzione per la prosa, in primo luogo, ovvero per la dimensione linguistica della comunicazione quotidiana, tradizionalmente inferiore alla poesia, che offriva ben altre possibilità di affermazione letteraria; nell’ambito di questa scelta, per la preferenza narrativa, che era ai margini del panorama letterario volgare; soprattutto per l’apertura nei confronti della classe borghese e mercantesca, che implicava un sostanziale rovesciamento della scala di valori tradizionale.
Per queste ragioni il fenomeno della novella, la sua codificazione e il suo affermarsi possono essere considerati il momento di passaggio – in una prospettiva non soltanto italiana, ma europea – da una primissima fase della letteratura e della cultura romanza, che si suol definire “cortese”, a una fase successiva che si può definire “borghese”. Guardando invece in avanti, la formula novellistica boccacciana si configura come modello da imitare fino almeno al Seicento, quando appare definitivamente esaurita. L’Ottocento vedrà poi una sostanziale rifondazione del genere novella, profondamente rinnovata in tutti i suoi aspetti – tematici, strutturali, formali, stilistici –, definita nella sua nuova fisionomia dalle suggestioni dei modelli europei nonché da un nuovo rapporto con il romanzo, nel cui vuoto la novella si era inizialmente sviluppata e con il cui esplodere era diventata di nuovo marginale. Il rinnovamento è così profondo che anche l’antico nome, “novella”, si abbandona, preferendoglisi quello più generico e storicamente meno definito di “racconto” (benché i più grandi scrittori, fino al primo Novecento, preferiscano ancora la vecchia dizione di “novella”: si pensi a Le novelle di Verga e di Deledda, Le novelle della Pescara di D’Annunzio, le Novelle per un anno di Pirandello).