Definizione
Figura retorica che deriva dal greco, oxýmoron (che a sua volta è il composto delle parole oxýs, “acuto” e morós, “stolto, folle”) e che consiste nell’unire due concetti di significato opposto, con un effetto di paradosso.
Spiegazione ed esempi
Come indica l’etimologia dal greco, l’ossimoro (il cui accento può essere “ossìmoro”, alla greca, oppure “ossimòro”, alla latina) unisce idee, immagini o pensieri che non potrebbero stare insieme, come l’intelligenza e la stoltezza. La contrapposizione viene però chiarita e superata proprio dall’uso inedito dei due termini che, accostati, riescono a significare e rappresentare qualcosa di inedito, con particolare forza espressiva. Lo si può notare anche in espressioni di uso comune: “ghiaccio bollente” può indicare una donna molto fredda nei suoi atteggiamenti ma proprio per questo assai seducente; la “dotta ignoranza” indica il sapere semplice ed onesto, che sa ammettere i propri limiti; un “silenzio eloquente” è appunto un silenzio che vale più di mille parole.
Naturalmente, l’ossimoro è frequentissimo in tutta la tradizione letteraria, sin dall’epoca classica (Orazio nelle Epistole lo definisce symphonia discors, “una sinfonia discorde”), e si ritrova, ad esempio in Pascoli (Digitale purpurea, v. 21: “[...] un oblio dolce e crudele”; Novembre, vv. 11-12: “[...] l’estate | fredda, dei morti”), in Ungaretti (Sono una creatura, vv. 12-14: “La morte | si sconta | vivendo”) o in Montale (I limoni, v. 17: “[...] una dolcezza inquieta”; La primavera hitleriana, v. 16: “la sagra dei miti carnefici”).
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