Testo compreso nella quinta sezione de La bufera e altro, intitolata Silvae (e precedentemente pubblicato su «Inventario», I, n. 3-4, Firenze, 1946-1947), è uno di quelli dell’intera raccolta come più netto ed icastico emerge il tema politico (inedito rispetto alle precedenti poesie di Ossi di seppia e de Le Occasioni), connesso ad un cupo pessimismo - riscattato negli ultimi versi solo dalla prefigurazione della discesa sulla Terra di una Clizia angelicata e salvifica - e ad uno stile complesso, oscuro e ricco di richiami a Dante e allo stilnovismo. La primavera hitleriana, iniziata nel 1938, viene completata solo nel 1946.
Né quella ch’a veder lo sol si gira… (Dante? a Giovanni Quirini 1)
- Folta la nuvola bianca delle falene impazzite 2
- turbina intorno agli scialbi fanali e sulle spallette 3,
- stende a terra una coltre su cui scricchia
- come su zucchero il piede; l’estate imminente sprigiona
- ora il gelo notturno che capiva 4
- nelle cave segrete della stagione morta 5,
- negli orti che da Maiano 6 scavalcano a questi renai 7.
- Da poco sul corso è passato a volo un messo infernale 8
- tra un alalà di scherani 9, un golfo mistico 10 acceso
- e pavesato di croci 11 a uncino l’ha preso e inghiottito,
- si sono chiuse le vetrine, povere
- e inoffensive benché armate anch’esse
- di cannoni e giocattoli di guerra,
- ha sprangato il beccaio che infiorava
- di bacche il muso dei capretti uccisi,
- la sagra dei miti carnefici 12 che ancora ignorano il sangue
- s’è tramutata in un sozzo trescone 13d’ali schiantate,
- di larve sulle golene, e l’acqua séguita a rodere
- le sponde e più nessuno è incolpevole.
- Tutto per nulla, dunque? – e le candele
- romane, a san Giovanni 14, che sbiancavano lente
- l’orizzonte, ed i pegni e i lunghi addii
- forti come un battesimo nella lugubre attesa
- dell’orda (ma una gemma rigò l’aria stillando
- sui ghiacci e le riviere dei tuoi lidi
- gli angeli di Tobia 15, i sette, la semina
- dell’avvenire) e gli eliotropi 16 nati
- dalle tue mani – tutto arso e succhiato
- da un polline che stride come il fuoco
- e ha punte di sinibbio 17... Oh la piagata
- primavera è pur festa se raggela
- in morte questa morte 18! Guarda ancora
- in alto, Clizia, è la tua sorte, tu
- che il non mutato amor mutata serbi
- fino a che il cieco sole 19 che in te porti
- si abbacini nell’Altro e si distrugga
- in Lui, per tutti 20. Forse le sirene, i rintocchi
- che salutano i mostri nella sera
- della loro tregenda 21, si confondono già
- col suono che slegato dal cielo, scende, vince -
- col respiro di un’alba che domani per tutti
- si riaffacci, bianca ma senz’ali
- di raccapriccio, ai greti arsi del sud 22…
- La spessa coltre biancastra delle falene impazzite
- vortica attorno alle deboli luci dei lampioni e sui parapetti
- del ponte, stende a terra uno strato su cui il piede
- scricchiola come sullo zucchero; e l’estate in arrivo sprigiona
- adesso il gelo notturno che era contenuto
- nei luoghi segreti dell’inverno,
- negli orti che da Fiesole scendono sino a queste rive.
- Da un po’ è planato sul corso un messaggero d’inferno
- in mezzo agli “alalà” degli sgherri, un’orchestra mistica
- ed esaltata e decorato di croci celtiche l’ha preso
- e inglobato, si sono serrate le vetrine, deboli
- e indifese anche se arredate anch’esse
- di armi e giocattoli di guerra,
- [il golfo] ha sprangato il negozio del macellaio che inseriva
- bacche nel muso di capretti uccisi, la riunione
- degli assassini inconsapevoli che ancor non conoscono
- le loro colpe è diventata un sozzo ballo di ali
- spezzate, di larve sugli argini, mentre il fiume Arno continua
- a mangiar le sponde e nessuno può dirsi innocente.
- Tutto ciò per nulla, allora? - e i fuochi d’artificio
- per il santo patrono, che esplodevano lente di luce bianca
- all’orizzonte, e le promesse e i lunghi addii
- (impegnativi come un battesimo) nell’attesa mortifera
- dell’orda nazista (ma una stella cadente rigò l’aria
- distillando, sui ghiacci e le rive di dove ora tu vivi,
- i sette angeli di Tobia e la speranza
- per il futuro), e i girasoli nati
- dalle tue mani - tutto ciò è bruciato e succhiato via
- da una polvere che crepita come fuoco
- e punge come il vento del nord... [Oh la primavera
- ferita è comunque una festa su congela nella morte
- questa devastazione! Oh Clizia, guarda ancora
- verso l’alto, è questa la tua sorte, tu che conservi,
- benché cambiata, l’amore immutato
- fino a che il sole nero che porti in te
- si accechi nell’amore di Dio e, annullandosi in lui,
- salvi noi tutti. Forse le sirene e i rintocchi delle campane
- che annunciano l’arrivo di Hitler e Mussolini nella sera
- del loro sabba satanico, si confondono già
- col suono che, proveniente libero dal cielo, discende, trionfa -
- col respiro di un’alba che possa riaffacciarsi domani per tutti
- limpida ma senz’ali
- raccapriccianti, sulla terra arida del sud...
1 Il riferimento è ad un sonetto attribuito a Dante Alighieri ed inviato a Giovanni Quirini (rimatore di origini veneziana, che versificava in toscano e ammirava il “sommo poeta”), intitolato Nulla mi parve mai più crudel cosa. Il verso, il nono del sonetto, allude alla figura di Clizia (senhal dietro cui Montale nasconde Irma Brandeis, ebrea americana fuggita negli Stati Uniti per sfuggire all’incubo nazista nel 1938), protagonista di una vicenda narrata nel IV libro delle Metamorfosi di Ovidio. Clizia, ninfa abbandonata dal Apollo per Leucotoe, provoca per invidia la morte della rivale, ma non riconquista l’amato; la ninfa allora, morendo di dolore, si trasforma nel girasole, per poter guardare continuamente l’oggetto del suo desiderio.
2 falene impazzite: si tratta di farfalle notturne, che qui però sono rese folli dall’evento di quel giorno (l’incontro tra Adolf Hitler e Benito Mussolini, il 9 maggio 1938 a Firenze, per una serata di gala in cui fu recitato il Simon Boccanegra di Verdi), come in un presagio tragico della guerra che si avvicina. Montale, nelle Note di suo pugno alla Bufera, aggiunge: “Hitler e Mussolini a Firenze. Serata di gala al teatro comunale. Sull’Arno nevicata di farfalle bianche”.
3 spallette: sono i parapetti dei ponti fiorentini sull’Arno.
4 che capiva: costrutto alla latina, con valore passivo.
5 stagione morta: la complessa immagine di apertura sta ad indicare che, proprio al culmine della primavera, l’arrivo del dittatore nazista porta con sé una folata di gelo mortale.
6 Maiano: sobborgo fiorentino presso Fiesole, a nord della città.
7 renai: latinismo per indicare le rive in secca dell’Arno.
8 un messo infernale: cioè Adolf Hitler (1889-1945).
9 un alalà di scherani: il riferimento è al grido di battaglia (“Eia! Eia! Eia! Alalà!”) coniata da Gabriele D’Annunzio in occasione di un’incursione dell’aviazione italiana sopra Pola (9 agosto 1917), e poi ripreso per la famosa “beffa di Buccari” (11 febbraio 1918). Nell’espressione D’Annunzio unisce il nome (Alalà) della divinità della guerra sacra agli opliti di Sparta e l’incitamento (Eia!) con cui Alessandro Magno pare fosse solito spronare il suo destriero. Passa poi come motto alle prime squadracce fasciste, che qui incitano, come complici del crimine (gli “scherani”, appunto), la parata nazifascista del maggio 1938.
10 golfo mistico: allude alla suddivisione del teatro proposta da Richard Wagner (1813-1883), in cui il “golfo” corrisponde alla sezione dell’orchestra. Montale insiste qui su un lessico colto e talvolta oscuro per far trasparire tutto il proprio sdegno e la riprovazione violenta per la rozza volgarità della dittatura.
11 pavesato di croci: addobbato con le croci uncinate, simbolo del nazismo.
12 miti carnefici: l’ossimoro (che unisce due realtà tra loro opposte, ma di cui una spiega una caratteristica inedita dell’altra) indica l’irresponsabilità di coloro acclamano il regime, senza capire le conseguenze drammatiche che ne verranno.
13 sozzo trescone: la tresca, ballo popolare medievale, viene qui storpiata in una danza infernale e macabra, in cui si calpestano le ali delle “falene” morte del v. 1.
14 le candele romane: sono i fuochi d’artificio, tradizionalmente lanciati per la festa del patrono, san Giovanni, del 24 giugno.
15 gli angeli di Tobia: riferimento al Libro di Tobia dell’Antico Testamento e ai sette angeli tra cui Dio scelse l’arcangelo Raffaele per aiutare il protagonista e la consorte nel ritorno a Gerusalemme per curare la cecità del padre.
16 eliotropi: i “girasoli” che si riferiscono al mito (cfr. la nota 2) di Clizia, su cui da questi versi in poi cominciano a stratificarsi virtù e doti miracolistiche, in quanto dovrà essere lei a purificare il mondo dalla pestilenza della guerra imminente.
17 sinibbio: voce toscana con cui si identifica un vento freddo, spesso misto a neve, che soffia sulla costa.
18 Evidente il paradosso invocato dal poeta: la primavera “piagata” (ferita e violentata dalla follia della guerra) è tuttavia una festa se riesce a congelare la pulsione di morte che soffia sull’umanità.
19 il cieco sole: in questa immagine concettosa, Montale indica il senso della missione rigeneratrice di Clizia (per cui il “sole” è la pulsione alla vita e all’amore che il mondo ha perduto e che deve ridiscendere da Dio sulla Terra). L’espressione è ossimorica alludendo alla natura terrena e divina al tempo stesso dell’amore salvifico di Clizia (e si noti che anche il cognome della donna che sta dietro a Clizia, cioè Irma Brandeis, si presta a questo gioco retorico: in tedesco, Brand è “incendio, arsura”, mentre Eis significa “ghiaccio”).
20 È questo il punto in cui Clizia (e l’intera storia d’amore tra lei e il poeta, interrottasi per la partenza per gli Stati Uniti nel 1938 e per le pressioni di Drusilla Tanzi, compagna ufficiale di Montale) si modella quasi esplicitamente sulla Beatrice dantesca, diventando quindi una sorta di nuovo angelo redentore dell’umanità, sacrificando i propri affetti personali e se stessa per il bene comune.
21 i mostri della sera nella loro tregenda: ultimo, inappellabile giudizio sulla pervesione e sulla obbrobriosa malignità del convegno dei due dittatori; nelle mitologie nordiche, la “tregenda” è il raduno notturno di diavoli, demoni e streghe.
22 Timidamente, la speranza si affaccia negli ultimi versi de La primavera hitleriana: il rumore delle celebrazioni del male assoluto sono in parte velate da un suono che proviene dal cielo, annunciando un’alba di rinascita. Le “ali di raccapriccio” sono un rimando alle falene morte dei versi di apertura, mentre i “greti arsi del sud” alludono ad una terra (l’Italia) resa sterile dalla dittatura.