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"Il sogno del prigioniero": analisi e commento

Questo componimento fa parte della raccolta “La Bufera e altro” di Eugenio Montale, pubblicata nel 1956. Anche in questi versi troviamo fortemente espresso il pessimismo montaliano nei confronti della condizione umana. Il poeta descrive infatti, come viene già anticipato nel titolo, la condizione esistenziale del prigioniero. Montale si identifica così con il protagonista della sua poesia, descrive la vita da recluso, in cui albe e notti si distinguono appena.

Considerando l’anno a cui risale la raccolta poetica in cui questo componimento figura, la critica ha spesso riconosciuto nel prigioniero montaliano un recluso dei campi di sterminio nazisti, o dei gulag staliniani. Più verosimilmente il protagonista del componimento è invece il poeta stesso, inteso come rappresentante del genere umano. La condizione di prigionia e di oppressione si riferisce quindi a tutta l’umanità, che vive intrappolata tra le trame della società moderna. L’uomo è conscio, come il prigioniero della poesia, che l’unico modo per sopravvivere a questa reclusione è la denuncia, sacrificare la vita di qualcun altro per avere salva la propria. Il protagonista dei versi non sa ancora come si comporterà, e forse neanche Montale, se seguirà la sua morale o se si farà travolgere dal richiamo che la vita, con le sue attrattive, ancora esercita nei suoi confronti.

Gli unici momenti di speranza e accennata positività che interrompono questo flusso negativo avvengono durante il riposo notturno, quando il prigioniero può finalmente sognare la donna amata, come leggiamo nel decimo verso “se dormendo mi credo ai tuoi piedi”. Ritroviamo quindi l’idea della figura femminile come figura salvifica, che riconnette il poeta al mondo e lo guida nella vita.

Dal punto di vista metrico riscontriamo la presenza di versi liberi.



Albe e notti qui variano per pochi segni.


Lo zigzag degli storni sui battifredi

nei giorni di battaglia, mie sole ali,

un filo d'aria polare,

l'occhio del capoguardia dello spioncino,

crac di noci schiacciate, un oleoso

sfrigolio dalle cave, girarrosti

veri o supposti - ma la paglia é oro,

la lanterna vinosa é focolare

se dormendo mi credo ai tuoi piedi.


La purga dura da sempre, senza un perché.

Dicono che chi abiura e sottoscrive

può salvarsi da questo sterminio d'oche ;

che chi obiurga se stesso, ma tradisce

e vende carne d'altri, affera il mestolo

anzi che terminare nel patée

destinato agl'Iddii pestilenziali.


Tardo di mente, piagato

dal pungente giaciglio mi sono fuso

col volo della tarma che la mia suola

sfarina sull'impiantito,

coi kimoni cangianti delle luci

scironate all'aurora dai torrioni,

ho annusato nel vento il bruciaticcio

dei buccellati dai forni,

mi son guardato attorno, ho suscitato

iridi su orizzonti di ragnateli

e petali sui tralicci delle inferriate,

mi sono alzato, sono ricaduto

nel fondo dove il secolo e il minuto -


e i colpi si ripetono ed i passi,

e ancora ignoro se sarò al festino

farcitore o farcito. L'attesa é lunga,

il mio sogno di te non è finito.