Il Piccolo testamento, composto nel 1953, occupa (con Il sogno del prigioniero del 1954) l’ultima sezione de La bufera e altro (1956), sintomaticamente intitolata Conclusioni provvisorie. Il testo riassume alcune delle costanti della raccolta montaliana: la crisi e la sfiducia nella Storia, che nel periodo recente ha solo causato dolori e lutti all’umanità, che si risolve in prefigurazioni apocalittiche; la rivendicazione di una propria coerenza personale (anche a costo di solitudini e sofferenze) e soprattutto l'esplicitazione della funzione indispensabile della poesia; l’appello ad una figura femminile salvifica, e ai piccoli simboli della memoria che combattono strenuamente contro l’oblio e la fine di tutto.
Metro: versi liberi.
- Questo che a notte balugina
- nella calotta del mio pensiero,
- traccia madreperlacea di lumaca
- o smeriglio di vetro calpestato 1,
- non è lume di chiesa o d'officina 2
- che alimenti
- chierico rosso, o nero 3.
- Solo quest'iride posso
- lasciarti a testimonianza
- d'una fede che fu combattuta,
- d'una speranza che bruciò più lenta
- di un duro ceppo nel focolare 4.
- Conservane la cipria nello specchietto 5
- quando spenta ogni lampada
- la sardana 6 si farà infernale
- e un ombroso Lucifero scenderà su una prora
- del Tamigi, dell'Hudson, della Senna
- scuotendo l'ali di bitume semi-
- mozze dalla fatica, a dirti: è l'ora.
- Non è un'eredità, un portafortuna
- che può reggere all'urto dei monsoni
- sul fil di ragno della memoria 7,
- ma una storia non dura che nella cenere
- e persistenza è solo l'estinzione.
- Giusto era il segno 8: chi l'ha ravvisato
- non può fallire nel ritrovarti.
- Ognuno riconosce i suoi: l'orgoglio
- non era fuga, l'umiltà non era
- vile, il tenue bagliore strofinato
- laggiù non era quello di un fiammifero 9.
- Questo tenue luccichio che riluce fiocamente
- nella mia testa intenta a ragionare,
- come una bava color madreperla di lumaca
- o rimasuglio calpestato della levigatura del vetro,
- non è luce di fede religiosa o dall’ideologia
- marxista, che dia forza
- a comunisti e fascisti.
- Io posso lasciarti solo questa scaglia colorata,
- come mio ricordo e testimonianza
- di una fede che ha conosciuto una dura lotta,
- di una speranza che bruciò più lenta
- di un solido ceppo di legna sul fuoco.
- Conservane un po’ a mo’ di amuleto nel tuo
- specchietto, per quando, calate le tenebre
- sul mondo, la danza sarà infernale
- e Lucifero, angelo delle tenebre, scenderà
- su una barca del Tamigi, dell’Hudson, della Senna,
- agitando le ali incatramate e spezzate
- dalla fatica, per dirti: è giunto il momento.
- Ciò che ti lascio non è un’eredità, un portafortuna
- che possa reggere l’impeto degli uragani
- lungo la labile ragnatela della memoria,
- ma una vicenda umana che non è eterna e che
- conosce solo l'oblio nella continua distruzione, [cui
- tutti siamo destinati]. Il segno mandato era giusto:chi l’ha colto,
- non può sbagliare a ritrovarti.
- Ognuno riconosce i simili: il mio orgoglio
- non era una fuga, la mia umiltà non era
- vigliaccheria, la tenue luce baluginata laggiù
- non era quella di un semplice fiammifero.
1 I referenti (la bavetta di una lumaca o i resti di un vetro smerigliato) indicano da un lato il tremolante luccichio del “testamento” del poeta, e dall’altro rivendicano il rifiuto di grandi costruzioni teorico-filosofico, a cui si oppongono per antitesi minimi oggetti quotidiani.
2 lume di chiesa o d’officina: il richiamo polemico è alle convinzioni e alle “fedi” delle due grandi “chiese” del Dopoguerra e della Guerra fredda, ovvero la fede cattolica e l’ideologia comunista.
3 chierico rosso, o nero: altro attacco sarcastico alla situazione socio-politico nazionale, ancora spezzata tra forze di destra e di sinistra, entrambe convinte d’essere depositarie di verità assolute ed incontrovertibili.
4 Affermare che la propria poesia è una “iride” modesta, non vuole affatto sminuirne il valore complessivo. La “fede” e la “speranza” che l’hanno alimentata e l’alimentano tuttora hanno infatti superato dure prove negli anni di guerra.
5 la cipria nello specchietto: è questo uno dei tratti fondamentali della poetica di Montale, sin dagli Ossi di seppia e poi soprattutto con Le Occasioni: ovvero la presenza, per gli uomini, di piccoli oggetti che possano farsi emblema e portavoce di una speranza laica, di una fede in un avvenire libero dagli orrori del presente e redento dalle colpe degli uomini. Si veda, per analogia, Dora Markus, composta tra il 1928 e il 1939, e i vv. 24-28: “[...] forse | ti salva un amuleto che tu tieni | vicino alla matita delle labbra, | al piumino, alla lima: un topo bianco | d'avorio; e così esisti!”.
6 sardana: si tratta di una voce catalana, che designa una danza popolare collettiva del XVI secolo; il poeta qui la usa per indicare una sorta di sabba infernale che celebri, simboleggiando la follia collettiva dell’umanità, la calata di Lucifero sul mondo e la fine dei giorni. Per un’atmosfera analoga si veda, sempre ne La bufera e altro, il testo La primavera hitleriana, vv. 14-19: “la sagra dei miti carnefici che ancora ignorano il sangue | s’è tramutata in un sozzo trescone d’ali schiantate, | di larve sulle golene, e l’acqua séguita a rodere | le sponde e più nessuno è incolpevole”.
7 sul fil di ragno della memoria: è immagine emblematica di ciò che Montale sceglie di opporre, con lo strumento della poesia, ai “monsoni” della Storia e ai suoi immensi dolori; eppure, la labiltà dei ricordi personali e la scelta apparentemente modesta di ciò che il poeta consegna a Clizia non disconosce il valore e l’impegno (anche etico) nell’opporsi strenuamente all’insensatezza che circonda tutti.
8 Giusto era il segno: come in altre poesie della raccolta (si pensi anche qui a La primavera hitleriana) anche qui Clizia assume tratti messianici, assumendosi sulle spalle il compito di redimere un presente di rassegnata accettazione del male, impersonato dal Lucifero dalle “ali di butime”. La donna-angelo, che è al tempo stesso figura dell’assenza e della solitudine, si muove ad un segno stabilito con “i suoi”, cui trasmettere il suo messaggio di salvezza.
9 Torna negli ultimi versi del Piccolo testamento (che si occupa quindi di un’eredità poetica e morale, e non certo quantificabile materialmente) la rivendicazione orgogliosa da parte di Montale della propria coerenza personale nei difficili anni del Dopoguerra (come già sopra, in polemica contro quel “lume di chiesa o d'officina” delle diverse fazioni politiche ed ideologiche), insieme con la puntualizzazione del valore intrinseco della propria attività poetica, che non è certo un “tenue bagliore [...] di fiammifero” (con ulteriore parallelismo con i vv. 3-4)