Il poemetto Digitale purpurea compare dapprima sulle pagine della rivista «Il Marzocco» nel 1898, per figurare poi nei Poemetti a partire dalla loro seconda edizione nel 1900 (e quindi nei Primi poemetti del 1904).
Metro: terzine di endecasillabi.
- I - Siedono 1. L’una guarda l’altra 2. L’una
- esile e bionda, semplice di vesti
- e di sguardi; ma l’altra, esile e bruna 3,
- l’altra... I due occhi semplici e modesti,
- fissano gli altri due ch’ardono. “E mai,
- non ci tornasti?” 4 “Mai” “Non le vedesti
- più?” “Non più, cara” “Io si: ci ritornai;
- e le rividi le mie bianche suore 5,
- e li rivissi i dolci anni che sai;
- quei piccoli anni così dolci al cuore…” 6
- L’altra sorrise “E di’: non lo ricordi
- quell’orto chiuso 7? i rovi con le more?
- i ginepri tra cui zirlano 8 i tordi?
- i bussi amari? quel segreto canto
- misterïoso 9, con quel fiore, fior di 10...?”
- “morte 11: sì, cara” “Ed era vero? Tanto
- io ci credeva che non mai, Rachele,
- sarei passata al triste fiore accanto.
- Ché si diceva: il fiore ha come un miele
- che inebria l’aria; un suo vapor che bagna
- l’anima d’un oblìo dolce e crudele 12.
- Oh! quel convento in mezzo alla montagna
- cerulea!” Maria parla: una mano
- posa su quella della sua compagna;
- e l’una e l’altra guardano lontano.
- II - Vedono 13. Sorge nell’azzurro intenso
- del ciel di maggio il loro monastero,
- pieno di litanie, pieno d’incenso.
- Vedono; e si profuma il lor pensiero
- d’odor di rose e di viole a ciocche,
- di sentor d’innocenza e di mistero.
- E negli orecchi ronzano, alle bocche
- salgono melodie, dimenticate,
- là, da tastiere appena appena tocche...
- Oh! quale vi sorrise oggi, alle grate,
- ospite caro? onde più rosse e liete
- tornaste alle sonanti camerate
- oggi: ed oggi, più alto, Ave, ripete,
- Ave Maria, la vostra voce in coro;
- e poi d’un tratto (perché mai?) piangete... 14
- Piangono, un poco, nel tramonto d’oro,
- senza perché. Quante fanciulle sono
- nell’orto, bianco qua e là di loro 15!
- Bianco e ciarliero. Ad or ad or, col suono
- di vele al vento, vengono. Rimane
- qualcuna, e legge in un suo libro buono.
- In disparte da loro agili e sane,
- una spiga di fiori, anzi di dita
- spruzzolate di sangue, dita umane 16,
- l’alito ignoto spande di sua vita.
- III - “Maria!” “Rachele!” Un poco più le mani
- si premono. In quell’ora hanno veduto
- la fanciullezza, i cari anni lontani.
- Memorie (l’una sa dell’altra al muto
- premere 17) dolci, come è tristo e pio 18
- il lontanar d’un ultimo saluto!
- “Maria!” “Rachele!” Questa piange, “Addio!”
- dice tra sé, poi volta la parola
- grave a Maria, ma i neri occhi no 19: “Io,”
- mormora, “sì: sentii quel fiore. Sola
- ero con le cetonie verdi. Il vento
- portava odor di rose e di viole a
- ciocche. Nel cuore, il languido fermento
- d’un sogno che notturno arse e che s’era
- all’alba, nell’ignara anima, spento 20.
- Maria, ricordo quella greve 21 sera.
- L’aria soffiava luce di baleni
- silenzïosi. M’inoltrai leggiera,
- cauta, su per i molli terrapieni
- erbosi. I piedi mi tenea la folta
- erba. Sorridi? E dirmi sentia, Vieni!
- Vieni! E fu molta la dolcezza! molta!
- tanta, che, vedi... (l’altra lo stupore
- alza degli occhi, e vede ora, ed ascolta
- con un suo lungo brivido... 22) si muore!”
- I - Si siedono. Si guardano a vicenda. Una
- è magra e bionda, con vestiti semplici come
- i suoi sguardi; l’altra, magra e bruna, invece,
- l’altra… i due occhi onesti e pacati, sono fissi
- sugli altri due che sono infuocati. “Non ci sei
- più tornata?” “Mai più” “Non le ha viste
- più?” “Mai più, amica mia” “Io sì, ci sono tornata;
- e ho riviste le vesti bianche delle suore,
- e ho rivissuto i dolci anni che anche tu conosci;
- quegli anni dell’infanzia così dolci nel ricordo…”
- Rachele sorrise: “ Dimmi: non lo ricordi
- l’orto recintato? I rovi e le more?
- i ginepri dove cinguettano i tordi?
- i bossi amari? E quella segreta canzone
- misteriosa, su quel fiore, un fiore di….?”
- “...di morte: sì, cara” “Era vero [ciò che si diceva]?
- Io ci credevo a tal punto, cara Rachele, che mai
- mi sarei avvicinata a quel fiore fonte di tristezza.
- Perché si diceva: quel fiore spande come un miele
- che diffonde un’ebbrezza nell’aria: un suo vapore
- che intride l’anima di un piacere dolce e spietato.
- Oh! Quel convento in mezzo alla montagna
- stagliata nel cielo!” Maria parla: e posa
- una mano su quella di Rachele;
- e insieme guardano lontano.
- II - Si ricordano. Si staglia nel cielo azzurro
- limpido di maggio il loro convento, in cui
- risuonano litanie, e si diffonde l’incenso.
- Si ricordano: e nella loro mente si diffonde
- ancora l’odor di rose e di mazzi di viole,
- il presagio d’innocenza e di mistero.
- E nei loro orecchi risuonano, e intanto salgono
- alla bocca melodie dimenticate, da laggiù
- da tastiere sfiorate appena appena…
- Oh! quale gradito ospite vi ha sorriso oggi
- dalle grate? Motivo per cui tornaste, felici
- ed arrossate, alle vostre camerate suonanti di musica
- oggi: e sempre oggi, Ave, Ave Maria,
- ripete la vostra voce nel coro;
- e poi d’un tratto (perché?) piangete…
- Piangono, un po’, nella luce dorata del tramonto,
- senza un motivo. Quante fanciulle stanno
- nell’orto, puntinato dalle loro vesti candide!
- Un orto bianco e pieno di voci. Mano a mano,
- [le fanciulle] tornano, col rumore delle vele
- al vento. Resta qualcuna, a leggere il suo libro devozionale.
- Lontano da loro, agili e giovani,
- i fiori della digitale, che sembrano dita
- umane chiazzate di sangue
- spandono il profumo ignoto della loro fioritura.
- III - “Maria!” “Rachele!”. Le mani si stringono
- un po’ di più. In quell’ora hanno rivissuto
- la fanciullezza, i cari anni ormai passati.
- Memorie tenere (e l’una conosce bene quelle
- dell’altra, senza parole), così come è malinconico
- e rispettoso l’estremo saluto che si allontana
- “Maria!” “Rachele!” Questa piange, “Addio!”
- dice tra sé, poi rivolge a Maria la parola
- carica di ricordi, ma non gli occhi neri: “Io”
- mormora, “sì: ho provato quel fiore. Ero da sola
- con i coleotteri. Il vento
- trasportava odori di rose e viole
- a mazzi. Nel cuore, [avevo] il fermento languido
- di un sogno che bruciò nottetempo e che, all’alba
- s’era spento, nell’anima inconsapevole.
- Maria, mi ricordo quella sera perturbante.
- L’aria trasportava il lampo di fulmini che ancora
- non scoppiavano in tuoni. M’inoltrai rapida,
- ma cauta, su per i terrapieni erbosi, cedevoli
- al mio passo. L’erba folta sembrava frenare
- il mio passo. Sorridi? Io sentivo chiamarmi
- ‘Vieni, vieni!’ E fu molto dolce! Molto!
- Così tanto che, capisci… (Maria alza gli occhi
- stupiti, e comprende, e ascolta
- con un brivido profondo…) se ne muore!”
1 Siedono: le due protagoniste di Digitale purpurea sono Maria (dietro cui si cela Mariù, la sorella prediletta di Pascoli) e una sua fittizia compagna d’infanzia, Rachele.
2 L’una guarda l’altra: i due pronomi, centrali sin da primo verso, vengono inseriti dal poeta in una struttura di riprese anaforiche a breve e lunga distanza (vv. 1, 3, 4, 25, 73) che mettono subito in evidenza la vicinanza (ma anche l’intima contrapposizione) tra le due figure.
3 esile e bruna: il ritratto di Maria e Rachele procede per dettagli, di stampo impressionistico; entrambe sono di corporatura esile, ma già il differente colore dei capelli anticipa una diversità più profonda, che verrà svelata (o meglio, allusa) solo nel finale di Digitale purpurea.
4 La prima a rendere la parola nel colloquio è Maria, colei che è tornata a visitare i luoghi dell’infanzia.
5 le mie bianche suore: sono le suore agostiniane del convento di Sogliano al Rubicone, dove trascorsero l’infanzia le sorelle del poeta.
6 Predominante nelle parole di Maria sembra il ricordo affettuoso e malinconico (“le mie bianche suore”, v. 8; “quei piccoli anni così dolci al cuore”, v. 10) degli anni infantili.
7 quell’orto chiuso: nell’espressione di Rachele sarebbe già presente un’allusione ad un passo del Cantico dei cantici, un testo poetico - tradizionalmente attribuito a Re Salomone (1011ca. - 931ca. a.C.) ma risalente al IV secolo a.C. - in cui la “sposa” protagonista, con evidente metafora erotica, è paragonata ad un “giardino chiuso, [...] una fontana sigillata” (4, 12). Il Cantico dei cantici è inserito nell’Antico Testamento.
8 zirlano: verbo onomatopeico che indicano specificamente il verso dei tordi; è un ottimo esempio della precisione terminologica della poesia di Pascoli, che spesso si appoggia anche sul lessico più tecnico e specialistico.
9 misterïoso: la dieresi serve per separare per ragioni metriche la - i - dalla - o - nella scansione sillabica.
10 fior di: SI noti qui il preziosismo della rima franta, per cui “ricordi” (v. 11) e “tordi” (v. 13) rimano con due parole separate tra loro.
11 fior di morte: si tratta appunto della digitale purpurea (detta anche digitale rossa), una pianta erbacea dai fiori di colore rosso cupo o viola da cui si estrae una sostanza che in farmaceutica è usata come cardiotonico. In concentrazioni eccessive, può essere tossica.
12 un oblìo dolce e crudele: l’ossimoro serve ad indicare che la sensazione suscitata dalla digitale purpurea è duplice: da un lato, essa è potenzialmente portatrice di morte, ma dall’altro è anche affascinante e seducente.
13 Vedono: il verbo allude più che altro ad una visione all’indietro nel tempo, che rievoca il tempo trascorso al convento e gli anni felici dell’infanzia, tra le suggestioni della fede (v. 28: “pieno di litanie, èpieno d’incenso”) e le prime inquietudini amorose. Tutta la seconda parte del poemetto è occupata da questo flashback cinematografico. Anche qui, il verbo è ripreso con anafora al v. 29.
14 La rievocazione degli anni conventuali, iniziata al v. 26, è bilanciata sull’antitesi, qui molto sfumata, tra le certezze rasserenanti della vita di fede e le suggestioni di un “mistero” (v. 31) che le giovani non comprendono ancora e che, nel turbamento che provoca, le induce talvolta al pianto.
15 bianco qua e là di loro: l’immagine spiega bene la tecnica impressionistica della poesia pascoliana: lo sguardo prospettico sull’orto del convento coglie il colore bianco, dovuto alle vesti delle educande, che “puntinano” lo scenario.
16 dita spruzzolate di sangue, dita umane: l’analogia (un procedimento retorico per cui una similitudine da esplicita si fa implicita, e quindi meno immediatamente intelleggibile) unisce qui il colore dei fiori della digitale con il presagio di morte di dita umane sporche di sangue, che alludono al senso del peccato carnale.
17 l’una sa dell’altra al muto premere: la condivisione di una memoria - simboleggiata dalla stretta delle mani tra le due - anticipa però quello che è il tema dell’ultima parte della Digitale purpurea, ovvero l’antitesi tra l’esperienza di Maria e Rachele.
18 tristo e pio: la coppia di aggettivi deriva dal quinto canto dell’Inferno di Dante (vv. 116-117: “e cominciai: «Francesca, i tuoi martìri | a lagrimar mi fanno tristo e pio»”). Assai significativo - data l’allusione sessuale della Digitale purpurea - che il canto dantesco cui Pascoli rimanda sia proprio quello in cui si narrano le pene dei lussuriosi.
19 Si noti come Pascoli sia attento alle dinamiche psicologiche tra i due personaggi: Rachele, al momento della confessione di aver ceduto ai piaceri dell’eros, non riesce a reggere lo sguardo di Maria.
20 La figura retorica dell’iperbato spezza qui l’ordine naturale della frase, conferendo rilievo all’“ignara anima” e dislocando a fine frase il participio passato (“spento”) che si riferisce al “languido fermento” del v. 63.
21 greve: l’aggettivo si riferisce sia all’arrivo del temporale (come si dice ai vv. 67-68) sia all’imminente rivelazione di Rachele.
22 Costruzione: “l’altra alza lo stupore degli occhi, e vede ora, ed ascolta con un suo lungo brivido”. Da notare la costruzione assai particolare e letteraria del verbo “alzare”, che qui regge un astratto (“lo stupore”) cui si collega un complemento di specificazione concreto (“degli occhi”).