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Catullo, “Cui dono lepidum novum libellum”: traduzione e analisi

Introduzione

 

Il carme, proemio del liber catulliano, è una dedica all’amico Cornelio Nepote (100 ca. - 27 ca. a.C.), suo conterraneo e autore di una storia universale per noi perduta intitolata Chronica, oltre che della più nota raccolta biografica De viris illustribus. Cornelio era anche un estimatore di poesia e aveva incoraggiato Catullo a comporre versi, che il poeta chiama nugae, ovvero “cose da poco”, “bazzeccole”. Con questo termine egli indica con professione di modestia la sua produzione leggera e poco impegnata (con una sorta di captatio benevolentiae, quindi), ma al tempo stesso prende velatamente di mira la poesia epica e polemizza con chi, come Cicerone, denigrava il nuovo modo di comporre dei poetae novi. Del resto anche il diminutivo libellus suggerisce che la sua opera non è un pesante volume di molte migliaia di versi (cosa da evitare secondo Callimaco, poeta greco del III secolo che è uno dei modelli di Catullo), ma una composizione agile, accurata e rifinita nei dettagli (v. 1: “lepidum”; v. 2: “pumice expolitum”).

La struttura e le scelte stilistiche stesse di questo carme, che pure vuole dare impressione di spontaneità e immediatezza, sono frutto di una precisa elaborazione formale: i primi due versi hanno per oggetto il liber di Catullo, mentre i vv. 3-7 riguardano la figura di Cornelio, la sua opera storica e il suo interesse per le nugae. Con una composizione di tipo circolare si torna infine al libellum (v. 8), ricordato dapprima con modestia (v. 8: “quidquid”; v. 9: “qualecumque”), poi sottoposto alla protezione della Musa (v. 9: “patrona virgo”), la quale ne garantirà la sopravvivenza.

 

Metrica: endecasillabo falecio.

  1. Cùi donò lepidùm 1 novùm 2libèllum
  2. àridà modo pùmice èxpolìtum 3?
  3. Còrnelì, tibi: nàmque tù solèbas
  4. mèas èsse 4 aliquìd putàre nùgas,
  5. iàm tum, cum àusus es 5 ùnus Ìtalòrum
  6. òmne aevùm tribus èxplicàre 6 càrtis 7,
  7. dòctis, Iùppiter, èt labòriòsis 8.
  8. Quàre habè tibi 9 quìdquid hòc libèlli 10
  9. quàlecùmque; quod, ò patròna vìrgo 11,
  10. plùs unò maneàt perènne 12 sàeclo 13.
  1. A chi dono il nuovo bel libretto
  2. appena levigato dalla ruvida pomice?
  3. O Cornelio, a te: infatti tu eri solito
  4. ritenere che le mie poesiole valessero qualcosa,
  5. già allora, quando osasti, unico tra gli Italici,
  6. trattare tutta la storia in tre tomi
  7. eruditi, per Giove, e che ti sono costati fatica.
  8. Perciò accetta questo libretto per quel che è
  9. e per quel che vale; ed esso, o vergine protettrice,
  10. possa durare nel tempo per più di una sola generazione.  

1 L’aggettivo viene da lepos, leporis, che indica il fascino e la grazia che derivano da un’attenta elaborazione formale, come raccomandato dai canoni poetici alessandrini (dal greco leptòtes).

2 novum: l’aggettivo sottolinea certamente che il libro è stata appena pubblicato, ma fa riferimento anche alla novità contenutistica e formale della poesia di Catullo e dei neoteroi.

3 Il participio indica dal punto di vista fisico la rifinitura dei bordi del rotolo di papiro (solitamente, con una pietra pomice, la “pumice” del v. 2), ma metaforicamente rimanda alla cura formale con cui Catullo si è dedicato alla composizione dei suoi carmi.

4 Esse qui significa “valere”.

5 ausus es: il verbo audeo, audes, ausus, es, ausum, audere sottolinea la difficoltà dell’opera di Cornelio, che vuole riassumere la storia universale in soli tre rotoli di papiro.

6 explicare: Il verbo indica dal punto di vista materiale l’azione di chi srotola il volumen di papiro, ma in senso astratto significa “trattare un argomento”, “spiegare”.

7 Il grecismo carta, al posto del comune volumen, è indice della raffinatezza delle scelte lessicali di Catullo.

8 L’impresa di Cornelio Nepote è costata fatica: non da meno è l’opera compiuta da Catullo, che ha cesellato i propri carmi con la propria doctrina. L’aggettivo laboriosus, -a, -um ha in latino un valore passivo.

9 habe tibi: è al tempo stesso formula giuridica ed espressione di uso colloquiale.

10 libelli: si tratta di un genitivo partitivo retto dal pronome neutro “hoc” (v. 8.

11 La Musa è chiamata “patrona” (v. 9) perché tra lei e il poeta si instaura un rapporto paragonabile a quello della “clientela” nel mondo romano. L’invocazione alle Muse è una caratteristica tipica del proemio dei poemi epici (come quello dell’Eneide).

12 perenne: l’aggettivo deriva da per + annus e indica qualcosa “che dura tutto l’anno” o “che dura continuamente”.

13 saeclo: forma sincopata di saeculum, designa propriamente il tempo di una o più generazioni.