Introduzione
In memoria viene posta in apertura de Il porto sepolto (1916), il primo libro di liriche pubblicato da Giuseppe Ungaretti. L’anno precedente era già uscita sulla rivista «Lacerba» in una versione ancora abbozzata; confluirà poi ne L’Allegria, che raccoglie le liriche del primo Ungaretti.
La poesia è dedicata all’amico arabo Moammed Sceab, con cui Ungaretti condivideva una stanza nel Quartiere Latino, morto suicida perché incapace di sopportare lo sradicamento dalla sua patria originale. Sceab non può integrarsi nell’ambiente parigino e nemmeno rimanere legato ai costumi della sua vecchia patria. Nomade non solo per motivi di sangue (i suoi mitici progenitori sono appunto “emiri nomadi”, v. 4), Sceab non possiede il dono della poesia, attraverso cui Ungaretti riesce invece a sopportare il medesimo destino. Ungaretti condivide con Sceab la condizione di sradicato (déraciné): il poeta nasce nel 1888 ad Alessandria d’Egitto da genitori italiani, e lì trascorre la giovinezza. Si trasferisce poi a Parigi nel 1912, entrando a contatto con i grandi intellettuali del tempo. Tuttavia, a differenza del compianto amico arabo, Ungaretti riesce a “sciogliere il canto del suo abbandono” (vv. 20-21) e salvarsi grazie alla poesia.
Le liriche del primo Ungaretti contengono elementi di grande innovazione stilistica, specialmente rispetto alla tradizione letteraria italiana. Bisogna infatti ricordare che “all’inizio, l’esperienza di Ungaretti è legata, assai più che alla cultura poetica italiana, a quella francese” (come spiega il critico Pier Vincenzo Mengaldo). Grazie a questa “extraterritorialità culturale” Ungaretti può allontanarsi con forza dirompente dai modelli tradizionali italiani. La metrica è alla base della sua rivoluzione: il verso viene disgregato “in versicoli, frantumando il discorso in una serie di monadi verbali sillabate quasi come attonite interiezioni liriche” (Mengaldo). Questo meccanismo carica la singola parola di un’inedita energia espressiva. Alla metrica franta del primo Ungaretti corrisponde un preciso ideale di poetica, ovvero quello di recuperare “l’assoluto quasi religioso della parola vergine, originaria” (Mengaldo). Anche In memoria esprime questa concezione sacrale della poesia, percepibile nel tono quasi mistico con cui viene descritta la tragedia di Sceab e nel potere salvifico che Ungaretti attribuisce al “canto”.
Metrica: versi liberi. Oltre alla metrica franta, in cui parole isolate possono costituire da sole un verso (come “suicida”, v. 5), bisogna notare l’assenza di punteggiatura, che Ungaretti eredita dal poeta parigino Guillame Apollinaire (1880-1918) e la funzione degli spazi bianchi, che separano le strofe o risultano dall’accostamento di versi di lunghezza differente (si veda sempre “suicida”, compreso tra due versi più lunghi). Gli spazi bianchi, al di là del loro impatto grafico, rendono ancora più incisiva la scansione del ritmo, in cui le pause di silenzio giocano un ruolo cruciale (si noti, tra gli altri, il ritmo spezzato dei vv. 30-34) . Tutte queste strategie formali rientrano nella poetica dell’essenzialità verbale tipica del primo Ungaretti.
Locvizza il 30 settembre 1916 1
- Si chiamava 2
- Moammed Sceab
- Discendente
- di emiri di nomadi
- suicida
- perché non aveva più
- Patria
- Amò la Francia
- e mutò nome
- Fu Marcel
- ma non era Francese
- e non sapeva più
- vivere
- nella tenda dei suoi 3
- dove si ascolta la cantilena
- del Corano 4
- gustando 5 un caffè
- E non sapeva
- sciogliere
- il canto
- del suo abbandono
- L’ho accompagnato
- insieme alla padrona dell’albergo 6
- dove abitavamo
- a Parigi
- dal numero 5 della rue des Carmes
- appassito 7 vicolo in discesa.
- Riposa 8
- nel camposanto d’Ivry
- sobborgo che pare
- sempre
- in una giornata
- di una 9
- decomposta 10 fiera
- E forse io solo 11
- so ancora
- che visse
- Si chiamava
- Moammed Sceab
- Discendente
- di capi politici arabi nomadi
- suicida
- perché non possedeva più
- una patria
- Amò la Francia
- e cambiò nome
- Divenne Marcel
- ma non era Francese
- e non sapeva più
- vivere
- nella tenda dei suoi famigliari
- dove si ascolta recitare cantando
- il Corano
- bevendo un caffè
- E non sapeva
- esprimere
- in poesia
- la sua solitudine
- Ho seguito il suo corteo funebre
- insieme alla padrona dell’albergo
- dove abitavamo insieme
- a Parigi
- partendo dal numero 5 della rue des Carmes
- vicolo malinconico in discesa.
- È sepolto
- nel cimitero di Ivry
- un paesino fuori Parigi che sembra
- sempre
- in un giorno
- in cui una
- fiera popolare è appena terminata
- E forse solo io
- so ancora
- che è vissuto
Bibliografia:
G. Ungaretti, Vita d’un uomo, Milano, Mondadori, 1969.
P. V. Mengaldo, Poeti italiani del Novecento, Milano, Mondadori, 1978.
R. Luperini - P. Cataldi - F. D’Amely, Poeti italiani: il Novecento, Palermo, Palumbo, 1994.
G. Baldi - S. Giusso - M. Razetti, G. Zaccaria, Dal testo alla storia dalla storia al testo, v. 3, t. 2, Dal Primo Novecento ad oggi, Torino, Paravia, 1995.
C. Segre - C. Ossola, Antologia della poesia italiana, Novecento, Torino, Einaudi, 1999.
N. Lorenzini, Poesia del Novecento italiano, Milano, Carocci, 2002.
1 Nella maggioranza dei testi inclusi ne L’Allegria Ungaretti indica data e luogo: la ricerca di assoluto della sua poesia rimane sempre ancorata a un punto preciso nel tempo e nello spazio. Le indicazioni spazio-temporali risalgono tutte al periodo della Grande Guerra, e servono anche a dare enfasi all’immagine del poeta-soldato che compone versi al fronte (Locvizza era infatti una località sul fronte del Carso).
2 Si chiamava: l’imperfetto allude sia alla morte sia alla rinuncia di Sceab al proprio nome originario.
3 suoi: indica i famigliari, ma anche i compatrioti.
4 La citazione del Corano, libro sacro dell’Islam, si riferisce anche all’allontanamento di Sceab dalle sue radici religiose.
5 gustando: francesismo, coerente con l’ambientazione della poesia.
6 Da questi versi traspare l’atmosfera di solitudine del funerale, a cui probabilmente hanno partecipato solo il poeta e la padrona dell’albergo.
7 appassito: il vicolo è connotato da un aggettivo participiale che rientra nel campo semantico funebre: “appassito” infatti si dice del fiore ormai prossimo alla morte. È evidente il richiamo al destino sventurato di Sceab.
8 Riposa: eufemismo molto frequente per indicare la sepoltura dei morti.
9 Verso costituito dall’accostamento di due parole vuote, esempio estremo della tecnica metrica del primo Ungaretti.
10 decomposta: nel contesto letterale della frase significa “appena terminata”, ma è portatore di una forte violenza espressiva. Oltre a connotare l’aria triste della fiera appena smantellata, intensifica l’atmosfera di squallore del funerale e richiama un dettaglio macabro della sepoltura.
11 Il poeta è forse l’unico testimone della vita di Sceab. Attraverso la poesia Ungaretti salva dall’oblio il nome e la memoria dell’amico, offrendogli una specie di riscatto “postumo”.