Idillio recanatese composto, con tutta probabilità, tra la primavera e i primi di ottobre del 1820. Compare, con il titolo originale de La sera del giorno festivo, prima sul «Nuovo Ricoglitore» milanese del dicembre 1825 insieme con gli altri testi leopardiani - L’infinito, Alla luna, La vita solitaria, Il sogno e il Frammento XXXVII «Odi Melisso...» - poi nell’edizione bolognese dei Versi (Stamperia delle Muse, Bologna, 1826) e in quella fiorentina dei Canti (Piatti, Firenze, 1831). Il titolo attuale, oltre ad alcune varianti al testo, arriva solo con la seconda edizione dei Canti curata dall’autore e dall’amico Antonio Ranieri (Starita, Napoli, 1835).
Metro: endecasillabi sciolti.
- Dolce e chiara è la notte e senza vento 1,
- e queta sovra i tetti e in mezzo agli orti
- posa la luna, e di lontan rivela
- serena 2 ogni montagna. O donna mia 3,
- già tace ogni sentiero 4, e pei balconi
- rara traluce la notturna lampa 5:
- tu dormi, che t’accolse agevol sonno
- nelle tue chete stanze 6; e non ti morde
- cura nessuna; e già 7 non sai né pensi
- quanta piaga m’apristi in mezzo al petto.
- Tu dormi: io questo ciel, che sì benigno
- appare in vista, a salutar m’affaccio,
- e l’antica natura onnipossente 8,
- che mi fece all’affanno. A te la speme
- nego, mi disse 9, anche la speme; e d’altro
- non brillin gli occhi tuoi se non di pianto.
- Questo dì fu solenne 10: or da’ trastulli
- prendi riposo; e forse ti rimembra
- in sogno a quanti oggi piacesti, e quanti
- piacquero a te: non io, non già, ch’io speri,
- al pensier ti ricorro. Intanto io chieggo
- quanto a viver mi resti, e qui per terra
- mi getto, e grido, e fremo. Oh giorni orrendi
- in così verde etate! Ahi, per la via
- odo non lunge il solitario canto
- dell’artigian, che riede a tarda notte,
- dopo i sollazzi 11, al suo povero ostello;
- e fieramente mi si stringe il core,
- a pensar come tutto al mondo passa,
- e quasi orma non lascia. Ecco è fuggito
- il dì festivo, ed al festivo il giorno
- volgar succede 12, e se ne porta il tempo
- ogni umano accidente 13. Or dov’è il suono
- di que’ popoli antichi? or dov’è il grido 14
- de’ nostri avi famosi, e il grande impero
- di quella Roma, e l’armi, e il fragorio 15
- che n’andò per la terra e l’oceano 16?
- Tutto è pace e silenzio, e tutto posa
- il mondo, e più di lor non si ragiona.
- Nella mia prima età, quando s’aspetta
- bramosamente il dì festivo, or poscia
- ch’egli era spento 17, io doloroso, in veglia,
- premea le piume 18; ed alla tarda notte
- un canto che s’udia per li sentieri
- lontanando morire a poco a poco,
- già similmente mi stringeva il core.
- La notte è mite e serena e senza vento,
- e la luce lunare si posa quieta sui tetti e in mezzo
- ai giardini, e da lontano rende nitida
- ogni montagna. O donna mia, ormai ogni via
- del borgo è silenziosa, e la lampada notturna
- manda una luce fioca dai balconi:
- tu dormi, poiché un sonno rapido e conciliante
- ti ha accolto nelle tue stanze silenziose; e nessuna
- preoccupazione ti angoscia; e non sai per nulla
- né ci pensi alla ferita che m’hai procurato al cuore.
- Dormi; io mi affaccio a salutare questo cielo,
- che alla vista sembra così benevolo, e la natura
- eterna ed onnipossente, che mi ha creato
- affinché io soffrissi. [La natura] mi disse: “A te nego
- anche la speranza stessa, e i tuoi occhi
- non brillino se non per le lacrime.
- Questa è stata una giornata di festa; ora tu ti riposi
- dai divertimenti; e forse ti ritorna in mente
- in sogno a quanti oggi sei piaciuta, e quanti
- ti piacquero: certamente non sono io a ricorrere nei tuoi pensieri,
- né mi illudo che ciò possa avvenire. Intanto io mi domando
- quanto mi resti da vivere, e mi getto, urlo,
- e fremo qui nella mia stanza.
- Oh giorni tremendi nell’età giovanile! Ahi, per la strada
- sento non distante il canto solitario
- dell’artigiano, che torna a tarda notte,
- dopo i piaceri e i divertimenti, alla sua misera casa;
- e il cuore mi si stringe in maniera feroce e dolorosa,
- nel pensiero di come al mondo tutto sia transitorio,
- e non lascia quasi nessuna traccia di sé. Ecco
- è passato anche il giorno di festa, e a questo segue
- il giorno ordinario, e trascina con sé tutti gli avvenimenti umani.
- Dov’è ora il suono di quei
- popoli antichi? Dov’è adesso la voce
- che si leva alta dei nostri celebri antenati, e il grande
- impero di Roma, e il fragore delle sue armi,
- che attraversò terre ed oceani?
- Tutto è pace e silenzio, e tutto il mondo
- si riposa, né più si ha memoria di loro.
- Nella mia età giovanile, quando si aspettava
- il giorno festivo con un desiderio febbrile,
- dopo che questo era trascorso, io, insonne e sofferente,
- restavo disteso a letto; e a notte fonda
- un canto che si udiva smorzarsi
- allontanandosi a poco a poco per i sentieri,
- allo stesso modo di oggi mi soffocava il cuore.
1 Il celebre incipit de La sera del dì di festa rimanda ad un passo di Omero (Iliade, VIII, 555-559) che Leopardi ha già tradotto in un passo del suo Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica, del 1818: “Sì come quando graziosi in cielo | rifulgon gli astri intorno della luna, | e l’aere è senza vento, e si discopre | ogni cima de’ monti e ogni selva | ed ogni torre; allor che su nell’alto | tutto quanto l’immenso etra si schiude, | e vedesi ogni stella, e ne gioisce | Il pastor dentro all’alma”.
2 Serena: l’aggettivo si riferisce con funzione predicativa a “montagna”.
3 O donna mia: incerta - e senza dubbio poco rilevante per il senso complessivo della lirica - l’identificazione del personaggio; possibile che si tratti di una giovane, tale Serafina Basvecchi, figliastra di uno zio del poeta, Vito Leopardi.
4 già tace ogni sentiero: immagine questa volta desunta da Virgilio (Eneide, IV, 525).
5 Costruzione: “e la notturna lampa [la lucerna da tavolo] traluce rara [fa passare una luce fioca e debole] pei balconi”.
6 chete stanze: le stanze sono “chete” nella doppia accezione di “silenziose” e “tranquille”; il contesto in cui ha luogo il canto del poeta contrasta insomma con la sua disperazione intima e personale.
7 Il “già” serve da rafforzativo alla negazione, in un passaggio dove anche il verbo (“morde”, v. 8) è connotato espressivamente.
8 Costruzione: “io mi affaccio a salutar questo cielo, che sì benigno appare in vista, e [sottointeso: mi affaccio a salutar] l’antica natura onnipossente”.
9 Il soggetto sottointeso è “l’antica natura onnipossente”.
10 solenne: latinismo che qui indica il giorno festivo contrapposto a quello feriale (o “giorno | volgar” come detto sotto ai vv. 31-32). Probabile il riferimento alla festività di San Vito (15 giugno), patrono di Recanati, anche se vale soprattutto per indicare la felicità altrui contrapposta al senso di esclusione dell’io lirico.
11 i sollazzi: ai “trastulli” (v. 17) della donna amata si aggiungono qui i divertimenti di un comune popolano in una giornata di feste: il gioco e il vino.
12 succede: dal latino succedĕre, nel senso di “subentrare”, “prendere il posto di”.
13 “Accidente” mantiene qui un forte collegamento con l’idea di “caso”, come ad indicare che, per Leopardi, l’intera vita umana è governata da una logica estranea ai desideri e alle volontà dei singoli individui.
14 il grido: da intendersi come “voce”, nel senso di fama tramandata nei secoli.
15 l'armi, e il fragorio: i due termini “armi” e “fragorio” costituiscono un’endiadi, cioè una figura retorica (dal greco ἓν διὰ δυοῖν, “uno attraverso due”) per cui si esprime un’idea, un concetto o un’immagine con due elementi distinti.
16 Si noti che l’accento metrico cade qui su "oceàno".
17 Un passo dello Zibaldone del 20 gennaio 1821 sembra rimandare quasi alla lettera a queste amare ed acute considerazioni: “Osservate ancora che dolor cupo e vivo sperimentavamo noi da fanciulli, terminato un divertimento, passata una giornata di festa ec. Ed è ben naturale che il dolore seguente dovesse corrispondere all’aspettazione, al giubilo precedente: e che il dolore della speranza delusa sia proporzionato alla misura di detta speranza”.
18 Espressione classicheggiante e letteraria per “restavo a letto”.