5'

Leopardi, "La sera del dì di festa": analisi e commento

Parafrasi Analisi

Introduzione

 

La sera del dì di festa è uno dei sei idilli di Leopardi che rientrano nell’edizione dei Versi del 1826 (insieme, tra gli altri, a L’infinito, Alla luna oppure Il sogno) e viene composto nel corso del 1820.

 

Le tematiche e lo stile dell’idillio

 

Due sono qui i grandi temi affrontati nella Sera del dì di festa:

  • l'infelicità del poeta e il suo senso di esclusione alle gioie della giovinezza;
  • il distruttivo passare del tempo che annienta ogni opera umana.

Questi due campi di riflessioni, tipici della riflessione leopardiana sull’esistenza, vengono distribuiti nelle tre parti in cui è suddivisibile l’idillio.

 

Introduzione: il paesaggio notturno (vv. 1-14)

 

La poesia si apre con la descrizione di un tranquillo paesaggio notturno (vv. 1-4) di stampo classico, che ricorda quelle di poeti greci e latini (per esempio Omero, Virgilio e Ovidio) e Petrarca. Il ritmo dell’incipit è abilmente rallentato dall'uso di congiunzioni e dai due aggettivi che anticipano il sostantivo a cui si riferiscono (“dolce” e “chiara”). Già da questi primi versi emerge un senso di indeterminatezza, che caratterizza tutta la poetica degli Idilli; la suggestività del paesaggio notturno, tipico di gran parte della poesia romantica europea, diventa lo sfondo per la confessione sentimentale del poeta, attraverso un’antitesi tra la pace del mondo notturno (vv. 2-4: “e queta sovra i tetti e in mezzo agli orti | posa la luna, e di lontan rivela | serena ogni montagna. [...]”) e il tormento del poeta.

Il lessico utilizzato (v. 10: “quanta piaga m’apristi in mezzo al petto”) è quello della poesia amorosa, poiché Leopardi, descrivendo il sonno di una donna amata, cui il poeta si rivolge con un’apostrofe (v. 4: “O donna mia”) ma che rimane indifferente alle sue sofferenze. La prima parte della poesia si chiude così, in una serie di versi dall’andamento prosastico (vv. 11-14), individuando la causa del male che affligge il poeta: si tratta della “antica natura onnipossente” (v. 13), che ha evidentemente creato Leopardi solo perché soffrisse.

 

La sofferenza amorosa e la Natura matrigna (vv. 15-33)

 

La seconda parte della Sera del dì di festa sviluppa il tema della delusione e della sofferenza d'amore, che per il poeta si ricollega direttamente all’intrinseca infelicità imposta dalla Natura alla sua esistenza, escludendolo dalle gioie della vita:

[...] A te la speme
nego, mi disse, anche la speme; e d'altro
non brillino gli occhi tuoi se non di pianto 1.

 

Si noti il forte enjambement tra v. 14 e v. 15, utile per evidenziare la negazione (“nego”) della speranza (“speme”) che la Natura impone. Qui la riflessione è interiore e personale, ed è tipica della fase del pessimismo storico, in cui il dolore non accomuna ancora tutti gli uomini. Con una climax ascendente (e cioè con una progressione evidente dei verbi tra i vv. 22-23: "A terra | Mi getto, e grido, e fremo") il poeta esprime la propria disperazione, che si chiude con la comparsa di un elemento uditivo esterno:

[...] il solitario canto
dell'artigian, che riede a tarda notte,
dopo i sollazzi, al suo povero ostello 2;

 

È uno stimolo sensoriale che induce il poeta, come avviene nell’Infinito, a riflettere sulla caducità delle cose umane 3, chiudendo così la seconda parte dell’idillio sulla pessimistica riflessione che il nostro mondo è dominato dal caso (“l’accidente” del v. 33)

 

La conclusione: il paragone con le età antiche e con l’infanzia (vv. 34-46)

 

La terza sezione della Sera si apre con una tragica considerazione sul potere distruttivo del tempo, che nel suo inesorabile passaggio conduce all'oblio le grandi imprese dell'uomo. La constastazione erompe dal cuore del poeta con una serie di interrogative retoriche di tono drammatico, ulteriormente sottolineate dalla figura retorica dell’enjambement che spezza i vv. 33-37. Ciò che rimane alla fine è solo  “pace e silenzio” (v. 38): i due termini richiamano la situazione iniziale del paesaggio notturno e ricordano a Leopardi un episodio dell'infanzia, collegato alla situazione presente.

Si istituisce così un paragone assai importante per comprendere il messaggio profondo del testo, che Leopardi chiarisce al v. 46). Il “canto” (v. 44) dell’artigiano che, spegnendosi a poco a poco nei sentieri in mezzo alla campagna, svelava al poeta bambino l’insoddisfazione del piacere del giorno festivo (vv. 40-45), stringe ancora il cuore di Leopardi (v. 46): l’unico guadagno per lui è aver preso consapevolezza della amara legge esistenziale che lo condanna 4. Il tema della rimembranza, tipico della poesia leopardiana, sarà poi ampiamente sviluppato dal Sabato del villaggio (1829).

1 G. Leopardi, La sera del dì di festa, in Canti, a cura di N. Gallo e C. Garboli, Torino, Einaudi, 1993, p. 110, vv. 14-16.

2 Ivi, vv. 25-27.

3 Si confrontino i vv. 27-28 (“mi si stringe il core, a pensar come tutto al mondo passa”) della Sera con i vv. 8-13 de L'infinito: “E come il vento | Odo stormire tra queste piante, io quello | Infinito silenzio a questa voce | Vo comparando: e mi sovvien l’eterno, | E le morti stagioni, e la presente e viva, e il suon di lei”.

4 Da questo punto di vista, la lirica sembra essere stata sviluppata da un passo dello Zibaldone, in cui viene presentata la riflessione leopardiana sullo scorrere del tempo: “Dolor mio nel sentir a tarda notte seguente al giorno di qualche festa il canto notturno de’ villani passeggeri. Infinità del passato che mi veniva in mente, ripensando ai Romani così caduti dopo tanto romore e ai tanti avvenimenti ora passati ch’io paragonava dolorosamente con quella profonda quiete e silenzio della notte, a farmi avvedere del quale giovava il risalto di quella voce o canto villanesco” (Zibaldone, 50-51).