La produzione politica minore del Machiavelli, offuscata dalla pubblicazione del suo grande capolavoro, Il Principe, presenta alcune tematiche ed osservazioni che confluiranno nell'opera maggiore.
Questo è il caso Dell’arte della guerra, opera pubblicata mentre l’autore era ancora vivente e su cui egli si concentra tra il 1519 e il 1520. Questo trattato politico, che si compone di sette libri anticipati da un Prologo, presenta al lettore, sotto forma di un dialogo tra Cosimino Rucellai e Fabrizio Colonna (che dà voce qui ai pensieri del Machiavelli stesso), il tema dell’organizzazione militare cui dovrebbe mirare uno Stato saldo e ben diretto. Machiavelli, guidato dalla consapevolezza che lo accompagnerà in tutta la stesura del Principe, ovvero che è la forza a regolare i rapporti sia tra gli uomini che tra le varie potenze statali, sostiene l’esigenza per uno Stato di avvalersi di un proprio esercito, e di smettere di assoldare truppe mercenarie, pericolose e poco affidabili. L’autore fa leva sulla coscienza perduta di un’età dell’oro italica cui bisogna nuovamente tornare. In quest’ottica egli propone di rifarsi all’organizzazione militare dei Romani (dimostrando, senza dubbio, un certo anacronismo).
Secondo la logica della forza, alimentata dal terrore del “ruinare” degli stati italiani in mano agli stranieri, il Machiavelli indica come necessità imminente la riforma dell’apparato militare, senza concentrarsi in questa sede su quello politico o sociale. La pratica militare predicata da Machiavelli è quella dell’istituzione della milizia popolare, ponendo in secondo piano la tradizionale cavalleria feudale.
Nelle Istorie fiorentine, cui lo scrittore si dedica dal 1520 al 1525, vediamo invece come il Machiavelli ponga la storia alla base di ogni teoria e ragionamento politico, tesi elaborata poi anche ne Il Principe. Sovvenzionata e voluta dai Medici, l’opera è composta da otto libri e si muove dal generale al particolare, secondo un ragionamento di tipo deduttivo, iniziando col parlare della storia italiana per concentrarsi poi su quella di Firenze. La condizione storica e personale attorno alla composizione delle Istorie è quindi paradossale: desiderata dai Medici come opera celebrativa e ufficiale, è commissionata a uno scrittore che attribuisce l’abbruttimento di Firenze proprio all’esercizio del potere da parte di questa signoria. Machiavelli riesce però ad aggirare il problema e ad esprimere il proprio reale punto di vista sfruttando il ruolo degli oppositori ai Medici all’interno dell’opera. Le Istorie testimoniano allora l’attitudine del Machiavelli alla storiografia, e la sua volontà razionale di capire i nessi e i collegamenti tra i vari eventi, e abbandonando la visione provvidenziale e celebrativa della storia.