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Isocrate, "Sulla pace" (34-36): traduzione e commento

 Cenni biografici  dell’autore e contesto storico-culturale

 

Isocrate (436-338 a.C.) fu uno dei principali protagonisti della vita culturale di Atene nella prima metà del IV secolo. Si tratta di un’epoca particolarmente delicata per l’intero mondo greco che, dopo l’apogeo militare e culturale di Atene del secolo precedente, vive un periodo di profonda instabilità: dopo la fine della guerra del Peloponneso (431-404 a.C.), infatti, l’egemonia  greca è passata nelle mani di Sparta prima (anni 404-371 a.C.) e di Tebe poi (anni 371-362 a.C.); nessuna delle due città è però riuscita a sostituirsi ad Atene come guida del mondo ellenico e nel frattempo, a partire dagli anni Cinquanta, la  Macedonia ha iniziato  una  politica  di espansione territoriale a danno delle poleis greche sotto il sovrano Filippo II, i cui successi culminano nella vittoria di Cheronea del 338 a.C.

La vita di Isocrate si intreccia con le vicende del suo tempo: da giovane vive gli anni della guerra del Peloponneso e, dopo un’educazione filosofica e retorica da parte dei  più noti sofisti dell’epoca, per far fronte alle difficoltà economiche della famiglia dovute alla guerra, è costretto ad esercitare la professione di logografo 1; in seguito, nel 390 a.C., apre una scuola dove propone un’educazione alternativa a quella dei sofisti e dell’Accademia platonica; infine, quando sul panorama politico greco si affaccia la figura di Filippo II, Isocrate si inserisce nel dibattito politico e si schiera inizialmente tra gli  avversari della Macedonia, sostenendo che il ruolo egemone della Grecia spetti ancora ad Atene. Compreso però l’ormai mutato clima storico-politico, a differenza di Demostene, Isocrate è disposto ad accettare la nuova egemonia macedone, purché la Grecia rimanga unita e lotti contro i Persiani. Muore nello stesso anno della battaglia di Cheronea.

 

Pensiero e produzione letteraria

 

Isocrate viene considerato uno dei principali rappresentanti dell’oratoria greca insieme a Lisia e Demostene; tuttavia egli rifiutava l’appellativo di retore, perché si sentiva piuttosto un pedagogo e un filosofo. Per quanto riguarda la sua paideia, egli si oppose apertamente all’educazione impartita ai cittadini ateniesi da parte dei sofisti, tra cui si possono annoverare a suo avviso anche i platonici, e propose un’educazione basata sull’arte della parola, intesa come mezzo capace di per sé di trasmettere i principali valori morali utili al cittadino, tra cui spicca innanzitutto la giustizia. Anche sul piano politico Isocrate auspica il trionfo della giustizia, che coincide, in questo caso, con una restaurazione degli antichi equilibri: il mondo ellenico deve ritornare ad essere unito e a difendere la propria identità, opponendosi all’avanzata dei barbari. Perché questo avvenga, è necessaria una guida degna, che Isocrate identifica per lo più con la città di Atene, la quale però dovrebbe tornare ai suoi antichi splendori; altrimenti, si può cercare una nuova guida anche in alcune figure di sovrani illuminati, come quelle del giovane re cipriota Nicocle oppure persino del sovrano macedone Filippo.

Della sua ampia produzione retorica sono oggi conservate 21 orazioni, alcune delle quali appartengono al genere dell’oratoria giudiziaria (e risalgono al periodo in cui Isocrate esercitò la professione di logografo), mentre la maggior parte sono ascrivibili al genere epidittico 2 e a quello politico. Tra le opere più significative dello stile e degli interessi culturali di Isocrate si possono ricordare alcune orazioni epidittiche come l’Encomio di Elena (opera in cui, sulle orme di Gorgia, si celebra Elena di Troia) e il Busiride (paradossale elogio del re egizio ucciso da Eracle), quelle in cui Isocrate propone il suo programma pedagogico (es. Contro i sofisti) e soprattutto quelle in cui espone il proprio pensiero politico (es. Panegirico, Nicocle, Sulla pace, Areopagitico, Filippo).

 

L’orazione Sulla pace e il passo da tradurre

 

L’orazione Sulla pace è un’opera in cui Isocrate critica la politica estera aggressiva di Atene contro i suoi alleati, perché così facendo essa ha generato in loro invidia e odio. L’oratore esorta pertanto i suoi concittadini ad abbandonare il sogno imperialistico e a ricercare una vera pace duratura.

Isocrate nel brano proposto parte da una riflessione di carattere morale: è meglio vivere secondo giustizia poiché, anche se chi è virtuoso non sempre ha vantaggi immediati, generalmente questo atteggiamento premia sul lungo periodo. Bisogna dunque sfatare il mito, radicato persino in chi sceglie – almeno in linea teorica – la via virtuosa, secondo il quale chi opta per la strada della malvagità ha vita più semplice. Questa condotta porta indubbi vantaggi anche sul piano politico ed economico: l'oratore esorta pertanto gli ascoltatori a non fidarsi di demagoghi e guerrafondai che, richiamandosi a parole agli esempi degli antenati del tempo della talassocrazia ateniese, in realtà agiscono solo per interesse personale.

 

“Vivere secondo giustizia non è solo corretto, ma anche conveniente per il presente e per il futuro”

 

Testo originale:

Ὁρῶ 3 γὰρ τοὺς μὲν τὴν ἀδικίαν προτιμῶντας 4 καὶ τὸ λαβεῖν τι τῶν ἀλλοτρίων μέγιστον ἀγαθὸν νομίζοντας ὅμοια πάσχοντας τοῖς δελεαζομένοις τῶν ζώων, καὶ κατ᾽ ἀρχὰς μὲν ἀπολαύοντας ὧν ἂν λάβωσιν, ὀλίγῳ δ᾽ ὕστερον ἐν τοῖς μεγίστοις κακοῖς ὄντας, τοὺς δὲ μετ᾽ εὐσεβείας καὶ δικαιοσύνης ζῶντας ἔν τε τοῖς παροῦσι χρόνοις ἀσφαλῶς διάγοντας καὶ περὶ τοῦ σύμπαντος αἰῶνος ἡδίους 5 τὰς ἐλπίδας ἔχοντας. Καὶ ταῦτ᾽ εἰ μὴ κατὰ πάντων οὕτως εἴθισται συμβαίνειν, ἀλλὰ τό γ᾽ ὡς ἐπὶ τὸ πολὺ 6 τοῦτον γίγνεται τὸν τρόπον 7. Χρὴ δὲ τοὺς εὖ φρονοῦντας, ἐπειδὴ τὸ μέλλον ἀεὶ συνοίσειν οὐ καθορῶμεν, τὸ πολλάκις ὠφελοῦν 8, τοῦτο φαίνεσθαι προαιρουμένους. Πάντων δ᾽ ἀλογώτατον πεπόνθασιν ὅσοι κάλλιον μὲν ἐπιτήδευμα νομίζουσιν εἶναι καὶ θεοφιλέστερον τὴν δικαιοσύνην τῆς ἀδικίας 9, χεῖρον δ᾽ οἴονται βιώσεσθαι τοὺς ταύτῃ χρωμένους 10 τῶν τὴν πονηρίαν προῃρημένων. Ἠβουλόμην δ᾽ ἄν 11, ὥσπερ προσῆκόν ἐστιν ἐπαινεῖσθαι τὴν ἀρετήν, οὕτω πρόχειρόν εἶναι πεῖσαι τοὺς ἀκούοντας ἀσκεῖν αὐτήν· νῦν δὲ δέδοικα μὴ 12 μάτην τὰ τοιαῦτα λέγω. Διεφθάρμεθα 13 γὰρ πολὺν ἤδη χρόνον ὑπ᾽ ἀνθρώπων οὐδὲν ἀλλ᾽ ἢ φενακίζειν δυναμένων, οἳ τοσοῦτον τοῦ πλήθους καταπεφρονήκασιν ὥσθ᾽ 14 ὁπόταν βουληθῶσι πόλεμον πρός τινας ἐξενεγκεῖν, αὐτοὶ χρήματα λαμβάνοντες λέγειν τολμῶσιν ὡς χρὴ τοὺς προγόνους μιμεῖσθαι, καὶ μὴ περιορᾶν ἡμᾶς αὐτοὺς καταγελωμένους, μηδὲ τὴν θάλατταν πλέοντας τοὺς μὴτὰς συντάξεις ἐθέλοντας ἡμῖν ὑποτελεῖν.

Vedo che coloro che preferiscono l’ingiustizia e ritengono un bene supremo l’impadronirsi di qualcosa degli altri hanno la stessa sorte di quelli, tra gli animali, che sono attirati da un’esca e all’inizio traggono godimento da ciò che prendono, ma poco dopo si trovano nei mali più grandi; coloro che invece vivono secondo pietà e giustizia sia trascorrono la vita tranquillamente nei tempi presenti sia hanno le più dolci speranze per tutta l’eternità. Se anche queste condizioni non sono solite verificarsi in ogni caso, tuttavia generalmente accade in questo modo. Bisogna che coloro che hanno senno, dal momento che non riconosciamo ciò che ci gioverà in futuro sempre, dimostrino di scegliere questo, cioè ciò che è utile spesso. Si trovano nella condizione più irragionevole di tutte quanti ritengono che la giustizia sia una condotta di vita più bella e più gradita agli dei dell’ingiustizia e tuttavia pensano che coloro che se ne servono vivranno peggio di coloro che hanno scelto la malvagità. Vorrei che, come è conveniente lodare la virtù, così sia facile persuadere chi ascolta a praticarla; ora invece temo di pronunciare tali parole inutilmente. Già da molto tempo siamo rovinati da uomini capaci di nulla se non di imbrogliarci, i quali provano tanto disprezzo per il popolo che, qualora vogliano portare guerra contro qualcuno, prendendo essi stessi del denaro, osano dire che bisogna imitare gli antenati e non permettere che noi stessi veniamo derisi né che coloro che non vogliono pagarci i tributi solchino il mare.

1 I logografi,  figure professionali simili agli avvocati moderni, scrivevano per i propri clienti – sotto pagamento – i discorsi che questi avrebbero poi dovuto pronunciare di persona durante il processo.

2 Si tratta di orazioni concepite per la lettura e che circolavano solo in forma scritta; avevano come scopo quello di stupire il lettore.

3 Il verbo ὁρῶ regge il participi predicativi dell’oggetto πάσχοντας, ἀπολαύοντας, ὄντας, διάγοντας e ἔχοντας.

4 I participi προτιμῶντας, νομίζοντας e ζῶντας sono invece sostantivati (i primi due retti da τοὺς μὲν, il terzo da τοὺς δὲ)

5 La forma del superlativo ἡδίους equivale a ἡδίονας.

6 Ὡς ἐπὶ τὸ πολὺ significa “generalmente”.

7 L’espressione τοῦτον τὸν τρόπον ha valore avverbiale e significa “in questo modo”.

8 Il participio sostantivato τὸ ὠφελοῦν (da ὠφελέω) significa “ciò che è utile”.

9 Il genitivo τῆς ἀδικίας e il successivo τῶν… προῃρημένων sono due secondi termini di paragone.

10 Il verbo χράομαι regge il dativo ed equivale al verbo latino utor (servirsi di).

11 Ἄν con l’indicativo dei tempi storici esprime un’irrealtà.

12 I verba timendi si comportano come in latino: δέδοικα μὴ significa dunque “temo che” ed è seguito dal congiuntivo λέγω.

13 Il perfetto di διαφθείρω ha qui valore risultativo, perciò meglio tradurre “siamo rovinati”, “siamo corrotti”.

14 La congiunzione subordinante ὥστε regge il congiuntivo τολμῶσιν.