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Petrarca, "De vita solitaria": riassunto e commento

Introduzione

 

Il De vita solitaria è un trattato filosofico-morale in forma di lettera di Francesco Petrarca, in cui viene sviluppato il tema della solitudine e della pace come condizioni ideali per la vita dell’intellettuale. L’opera è divisa in un proemio e in due libri.

La tematica dell’opera e lo stile (il trattato è in latino) avvicinano l’opera al Secretum e al percorso di spiritualizzazione delle passioni terrene che attraversa tutto il Canzoniere.

 

Analisi

 

La composizione dell’opera

 

Secondo la tradizione, Petrarca si sarebbe accinto alla composizione di questo trattato nell’amata Valchiusa, durante i giorni della Quaresima del 1346. L’occasione deriverebbe dal breve soggiorno in Valchiusa di Filippo di Cabassoles (1305-1372), ambasciatore pontificio, vescovo di Cavaillon e infine patriarca di Gerusalemme, nonché carissimo amico del poeta. I due discutono per due settimane dei vantaggi della solitudine e della vita ritirata e serena per l’uomo di lettere, che può così dedicarsi pienamente allo studio.

Il De vita solitaria verrà più volte ripreso e rielaborato dall’autore, e verrà pubblicato solo nel 1366.

 

Le tematiche del “De vita solitaria”

 

Nel Proemio del De vita solitaria Petrarca, dedicando l‘opera all’amico vescovo Filippo, tratteggia l’ideale locus amoenus - assai simile alla sua Valchiusa - in cui il sapiente dovrebbe ritirarsi per dedicarsi in pace ai propri studi, lontano dalla confusione e dalle preoccupazioni della vita cittadina. Nel primo libro vengono espresse le argomentazioni del poeta su questa condizione ideale di vita. La solitudine, oltre a favorire lo studio e la creazione artistica, migliora l’essere umano, aiutandolo nella conquista della pace interiore e nel raggiungimento di un più sereno esame di coscienza personale, utile al costante autoperfezionamento di sé.

La solitudine è dunque per Petrarca un modello etico, una dura disciplina morale e intellettuale, che implica la rinuncia ad ogni altra attività, se non quella pura e disinteressata dello studio e dell’erudizione. Questo è del resto un ideale profondamente umanistico, modellato a sua volta sull’otium litteratum degli autori classici latini, tra cui il riferimento più citato è Seneca e, in generale, la corrente stoica.

Nel secondo libro, l’autore suggerisce una serie di esempi, tratti dall’antichità o dalla storia biblico-cristiana, di uomini e spiriti eletti che hanno raggiunto l’ideale pace della solitudine. Dall’Antico Testamento sono presenti Abramo, Isacco, Giacobbe e i profeti Elia, Eliseo e Geremia; dalla tradizione cristiana i Padri della Chiesa (Sant’Ambrogio, Sant’Agostino e san Gregorio Magno), insieme ai santi Benedetto e Francesco; dalla storia classica sono presenti invece filosofi, oratori e condottieri vari. Nella conclusione del De vita solitaria Petrarca invita il suo amico Filippo da Cabassoles a tornare al godimento di una vita pacifica e solitaria.