Testo capitale per definire compiutamente la teoria della conoscenza e delle idee in Platone, la Repubblica è anche opera fondamentale per fissare, nell'intero pensiero occidentale, paletti determinanti su questioni che vanno dall’organizzazione della polis fino alla teoria dell’anima, passando per il celebre mito della caverna e la funzione dell’arte all’interno delle società umane; in tal senso, siamo di fronte alla vera e propria opera della maturità di Platone, che arriva qui a definire molti punti fermi del suo pensiero.
Architettata in dieci libri e composta in un arco cronologico decisamente ampio (dal 390 al 360 circa a.C.), la Repubblica nasce inizialmente come un trattato politico che prende le mosse dal problema della giustizia, su cui, nel primo libro, dibattono Socrate (protagonista di tutta la “Repubblica”) e Trasimaco. Da qui si passa coerentemente a trattare della polis ideale, e dei modi per governarla al meglio. La definizione di questa “utopia” (la prima delle molte che si susseguiranno nella storia della filosofia occidentale) poggia le proprie fondamenta su tre classi distinte: i filosofi, che sanno qual è il vero “bene” per la cittadinanza, i guerrieri, tutori dell’ordine, e i lavoratori, destinati al sostentamento degli altri due soggetti. Alle tre classi corrispondono le tre parti dell'anima umana, quella razional-conoscitiva (loghisitkòn), quella volitiva (thymikòn) e quella concupiscibile (epithymetikòn).
Al di là degli aspetti comunitari o “comunistici” del pensiero platonico (e del suo sentito appello affinché potere e ricchezza vadano sempre separati col massimo rigore...), è considerevole che al centro di questa filosofia politica vi sia sempre l’idea del “bene”, conoscibile per Platone attraverso la pratica della dialettica. Platone affronta dunque la questione dell’idea stessa del bene, che sarà il vero e più alto obiettivo di ogni filosofia (e, quindi, di ogni proposta politica); così dice Socrate:
“Ma per belle che siano ambedue, conoscenza e verità, avrai ragione se riterrai che diverso e ancor più bello di loro sia quell’elemento. E come in quell’altro àmbito è giusto giudicare simili al sole la luce e la vista, ma non riternerle il sole, così anche in questo è giusto giudicare simili al bene ambedue questi valori, la scienza e la verità, ma non ritenere il bene l’una o l’altra delle due. La condizione del bene dev’essere tenuta in pregio ancora maggiore. [...] Puoi dire dunque che anche gli oggetti conoscibili non solo ricevono dal bene la proprietà di essere conosciuti, ma ne ottengono ancora l’esistenza e l’essenza, anche se il bene non è essenza, ma qualcosa, che per dignità e potenza trascende l’essenza”.
(Platone, Repubblica)
Anche l’allegoria della caverna, in apertura del VII libro della Repubblica, è giustamente nota come un passaggio che, discutendo l’idea di bene, sintetizza con efficacia la teoria filosofica di Platone, ribadendo il carattere ontologico e trascendente delle idee. Il mito dell’uscita dalla caverna, che ripercorre il cammino della conoscenza umana, arriva dunque ad una precisa e puntuale sintesi del concetto di bene, cui è associato il compito civile del sapiente:
“È dunque compito nostro, dissi, compito proprio dei fondatori, quello di costringere le migliori nature ad accostarsi a quella disciplina che prima abbiamo definita la massima, vedere il bene e fare quell’ascesa. E quando sono salite e l’hanno vista pienamente, non dobbiamo permettere loro ciò che si permette ora”. “Che cosa?” “Rimanere colà, feci io, senza voler ridiscendere presso quei prigionieri e partecipare delle fatiche e degli onori del mondo, a prescindere dalla minore o maggiore loro importanza”.
(Platone, Repubblica)